In 3 sorsi – Il 17 giugno, con un comunicato video, i compagni di Abubakar Shekau ne hanno ufficializzato la morte, avvenuta a fine maggio a seguito di un’incursione del gruppo rivale guidato da Abu Musab al-Barnawi. Un evento che potrebbe portare, smorzati i toni di vendetta, a una riapertura del dialogo tra le due fazioni che anni fa formavano Boko Haram. Nell’impotenza del Governo nigeriano, l’insurrezione continua.
1. CONFERMATA LA MORTE DI SHEKAU
Ora è ufficiale. Abubakar Shekau, lo storico e sanguinario leader del gruppo conosciuto come Boko Haram, è morto. Lo afferma lo stesso gruppo terroristico in un comunicato video indirizzato all’Afp del nuovo comandante, Bakura Modu detto Sahaba. Shekau era stato dato per morto diverse volte in questi anni – soprattutto da parte dell’esercito nigeriano nel 2009, 2013 e 2014 – e questa dichiarazione formale conferma la sua effettiva caduta in combattimento a fine maggio. Shekau, che aveva assunto la guida dopo l’uccisione del fondatore di Boko Haram Mohammed Yusuf nel 2009, pare si sia suicidato con una cintura esplosiva durante l’incursione del gruppo rivale Islamic State West Africa Province (ISWAP) nella foresta di Sambisa, nel nord-est della Nigeria.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Una donna porta un secchio d’acqua nel campo informale di Yawuri alla periferia di Maiduguri, capitale del Borno, Stato devastato dall’insurrezione jihadista, 29 marzo 2021
2. LE INCOGNITE DEL CONFRONTO JIHADISTA
Un evento che sottolinea come lo scontro interno alle due fazioni che anni fa sono emerse da Boko Haram, Jamat Ahl as-Sunnah lid-Da’wa wal-Jihad (JAS) – la componente di Shekau, ora guidata da Sahaba – e ISWAP, sia di estrema attualità. Mossi più dalla ricerca di sfere di influenza politico-economica che dalla religione, in modo analogo a quanto accade in altre aree vicine, queste due formazioni salafite-jihadiste si trovano ora a un possibile punto di svolta. Nonostante Bakura Modu abbia giurato vendetta, non è da escludersi una rinnovata apertura del dialogo tra i due gruppi, soprattutto considerando che l’intransigenza di Shekau e la violenza indiscriminata verso altri musulmani è stata la principale ragione della nascita dei dissidi interni e della separazione avvenuta nel 2016.
Fig. 2 – Il Presidente Muhammadu Buhari durante una visita a una caserma di Maiduguri, in una delle zone ad alta presenza di Boko Haram, 17 giugno 2021
3. NESSUNA SICUREZZA
Le sorti dell’insurrezione, quindi, sono tutt’altro che scontate. Quel che è certo è che questa perdita difficilmente andrà a diminuire la frequenza degli episodi di violenza nell’area, che del resto non accennano a fermarsi. ISWAP sta infatti già dando segnali di allargamento della sua sfera di influenza nello Stato del Borno, come testimonia il recente attacco a una base militare a Gombi, tra Damboa e Chibok, in una zona storicamente appannaggio del gruppo di Shekau. Per quanto riguarda la posizione del Governo nigeriano e delle Forze Armate una possibile unione delle due fazioni sotto l’egida dello Stato Islamico potrebbe moltiplicare le risorse jihadiste e la violenza tra Sambisa e il Lago Ciad, con la possibilità di affermare ulteriormente il controllo territoriale.
Il Presidente nigeriano Muhammadu Buhari ha confessato durante il Democracy Day (12 giugno) di non essere riuscito a mantenere la promessa fatta nel 2015 dopo le elezioni di sconfiggere l’insurrezione. Buhari ha rinnovato quindi l’impegno a contrastare l’insicurezza diffusa in Nigeria, di cui in parte è anch’egli responsabile. Le ragioni principali di questo fallimento sono molteplici: dall’eccesso di fiducia nella sola risposta militare all’abilità di reclutamento dei jihadisti, passando per la corruzione endemica e la scarsità di equipaggiamenti dei militari nelle zone colpite, per arrivare al fallimentare avallo delle formazioni locali di autodifesa e alla limitata efficacia di programmi alternativi seppur meritevoli.
Daniele Molteni
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