In 3 Sorsi – Con un accordo quasi in extremis, Londra e Bruxelles hanno chiuso la prima fase dei negoziati per l’uscita del Regno Unito dall’UE. Alcune questioni spinose rimangono però ancora da risolvere, tra cui quali connotati assumerà la partnership futura. Il Primo Ministro è attesa da sfide sempre più dure
1. ACCORDO RAGGIUNTO
E alla fine Theresa May l’ha “sfangata”. Pochi giorni prima della scadenza perentoria imposta dalla Commissione Europea – ovvero il Consiglio Europeo del 14-15 dicembre – Regno Unito e UE hanno trovato un accordo per chiudere la cosiddetta “fase uno” dei negoziati sulla Brexit. Non è stato facile, anche perché fino a pochi giorni prima che fosse trovato un compromesso, le due parti sembravano ancora molto lontane sulla questione del trattamento del confine tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord, di fatto l’unica frontiera di terra che rimarrà tra Gran Bretagna e Unione Europea. Poi, però, la trattativa si è sbloccata e l’accordo preliminare trovato ha ottenuto l’approvazione dei 27 Stati membri rimanenti, potendo dare inizio alla “fase due”, i cui tempi saranno però molto stretti: occorrerà trovare un deal definitivo entro settembre 2018 per poter concedere il tempo necessario agli Stati dell’UE di ratificare internamente l’accordo in tempo per la scadenza del 29 marzo 2019, giorno in cui la “Brexit” sarà realmente operativa
Fig. 1 – Theresa May e Jean-Claude Juncker in conferenza stampa
2. IL CONTENUTO DEL “DEAL”
Il testo dell’accordo è incentrato su tre punti fondamentali:
a. Diritti dei cittadini comunitari residenti in Regno Unito (e britannici residenti in un qualsiasi Paese dell’Unione): per coloro già ufficialmente residenti prima della data in cui la Brexit sarà operativa, verranno confermati tutti i diritti già acquisiti (compresa la possibilità di ricongiungimenti familiari);
b. Contributo al budget comunitario: si trattava di uno dei punti più spinosi, dato che inizialmente non era molto chiara la volontà di Londra di “pagare il conto” prima di uscire dall’UE. Invece, è stato deciso che il Regno Unito contribuirà interamente per la sua quota fino alla fine del 2020, ovvero fino al termine del settennato di programmazione europea 2014-20. Inoltre, Londra cercherà di restare coinvolta – anche dopo quella data – in programmi di cooperazione, ad esempio nel settore scientifico, come Horizon 2020;
c. Confine con l’Irlanda del Nord: in questo caso, si è deciso di “non decidere”. Era la questione più complessa e si è quindi preferito aggirare l’ostacolo per evitare uno stallo che avrebbe pregiudicato la continuazione del negoziato. Londra e Bruxelles si sono limitate a ricordare il rispetto degli “Accordi del Venerdì Santo”, che furono firmati nel 1998 ponendo fine al lungo conflitto nell’Ulster. Non sarà facile trovare una soluzione che accontenti entrambe le parti. Da un lato, infatti, si vorrebbe che Belfast restasse nel Mercato Unico, mantenendo un confine molto “morbido”; dall’altro, gli unionisti del DUP (Democratic Unionist Party), che sta fornendo una “stampella” parlamentare al governo di Theresa May garantendole la maggioranza con il suo piccolo manipolo di deputati, non sembrano disposti ad accettare un trattamento diverso per l’Irlanda del Nord. Chi avrà la meglio?
Fig. 2 – Il Ministro degli Esteri britannico Boris Johnson minaccia di “scalzare” la May
3. UNA FASE DUE RICCA DI INCOGNITE
La seconda fase scatterà dunque a gennaio in un clima di incertezza. Innanzitutto per la complessità delle materie da negoziare, in primis le nuove relazioni economiche tra Gran Bretagna e UE. Londra resterà nel Mercato Unico Europeo, oppure si procederà con un accordo di associazione? Meglio un modello “svizzero” o “norvegese” o, ancora, un accordo di libero scambio sullo stile canadese? Il clima politico interno, inoltre, potrebbe rendere la vita ancora più difficile a Theresa May. Il Primo Ministro ha dovuto subire una sconfitta alcuni giorni fa ad opera di parlamentari della stessa maggioranza, che con il loro voto hanno imposto al Governo il fatto che l’accordo finale con Bruxelles dovrà essere posto al vaglio di Westminster. Inoltre, non mancano gli esponenti di spicco del Governo che non vedono l’ora di “fare le scarpe” alla May, virando verso una Brexit più “dura”, su tutti il Ministro degli Esteri Boris Johnson. Insomma, Theresa può trascorrere delle vacanze di Natale serene, ma da gennaio inizierà un durissimo percorso a ostacoli e contro il tempo.
La Redazione
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