In 3 sorsi – I mondiali in Qatar sono giĂ iniziati. A sfidarsi sui campi degli stadi in costruzione sono squadre multietniche di operai che, nell’ignoranza e nell’indifferenza generale, vivono e lavorano in condizioni di moderna schiavitĂą
1. QATAR 2022
Tra le accuse di corruzione relative alla nomina, la modifica del tradizionale calendario a causa delle elevate temperature estive e la crisi diplomatica iniziata nel giugno 2017, i mondiali attesi per il 2022 in Qatar si preannunciano come i più discussi di sempre. Dopo aver ricevuto la nomina nel 2010, l’emirato del Golfo ha dato avvio a una serie di ambiziosi progetti edilizi tra stadi, hotel e infrastrutture varie, con una spesa stimata di 500 milioni di dollari a settimana. La costruzione e il rinnovamento di edifici e infrastrutture ha comportato tra le altre cose un’elevata richiesta di manodopera a basso costo, a oggi si stima siano coinvolti nei lavori 1,6 milioni di operai, provenienti principalmente da India, Nepal, Bangladesh, Filippine e in numero sempre maggiore dall’Africa.
Fig. 1 – Cantiere qatariota
2. KAFALA E SCHIAVITĂ™ MODERNA
La massiccia importazione di forza lavoro è una pratica diffusasi in Qatar a partire dal boom dell’industria petrolifera degli anni ’70, al punto che attualmente solo il 12% della popolazione dell’emirato – circa 313,000 persone – vanta la cittadinanza qatariota. Un fenomeno migratorio di tale portata è stato finora regolato dalla discussa legge Kafala, un sistema di controllo diffuso nei paesi del Golfo che permette ai governi di delegare la supervisione e la responsabilità dei migranti a compagnie o privati cittadini, concedendogli una serie di poteri legali. Una volta entrati nel Paese, ai lavoratori viene ritirato il passaporto, la loro permanenza legale è strettamente vincolata al contratto stipulato con la compagnia che li ha ingaggiati, senza il cui permesso non possono nemmeno tornare a casa. La riforma della legge proclamata dal Qatar a fine 2016 non prevede mutamenti effettivi del sistema, apportando modifiche alla forma ma lasciando inalterati i poteri decisionali delle aziende su permanenza e libertà di movimento dei lavoratori.
Le organizzazioni per i diritti umani hanno più volte denunciato la situazione di moderna schiavitù a cui gli operai sono costretti; alla privazione di libertà fondamentali come quella di movimento si aggiungono infatti condizioni lavorative estreme a temperature elevatissime, con turni di 12 ore per 7 giorni a settimana (il giorno di riposo dovrebbe essere garantito ma è raramente rispettato) e salari che arrivano con mesi di ritardo. Ingaggiati da intermediari con la promessa di un buon lavoro e di un futuro migliore, gli operai si ritrovano a vivere relegati in dormitori sovraffollati lontani dalle zone residenziali, con accesso limitato a luoghi pubblici frequentati dal resto della popolazione, in condizioni umilianti e di forzata separazione che hanno indotto la Confederazione Sindacale Internazionale a definire la situazione una segregazione razziale. Indagini pubblicate da Washington Post e The Guardian denunciano un elevato numero di morti dall’inizio dei lavori, dati smentiti dal Governo di Doha che nega l’esistenza di qualsiasi legame tra le morti e le costruzioni per i mondiali.
Fig. 2 – Operai impiegati nelle costruzioni
3. THE WORKERS CUP
Nel tentativo di dimostrare a sé stessi e al mondo il valore attribuito alla responsabilità sociale d’impresa, la Qatar Stars League e la Supreme Committee for Delivery & Legacy hanno annunciato la sponsorizzazione del Workers Cup Football Tournament. A partire dal 2013 i lavoratori coinvolti nell’allestimento dei mondiali sono quindi invitati a sfidarsi sui campi degli stadi in costruzione, in rappresentanza delle compagnie che li ingaggiano. I premi assegnati dal comitato organizzativo vanno dai 5500$ per le squadre a 410$ per i singoli giocatori, una fortuna considerando che gli stipendi medi degli operai si aggirano intorno ai 200$ al mese. Con l’obiettivo ufficiale di incoraggiare un positivo cambiamento sociale per il Qatar, il torneo, che celebra già la sua quinta edizione, promuove il superamento delle restrizioni (segregazioni) lavorative, garantendo allo stesso tempo un incremento della visibilità alle diverse aziende coinvolte, sia per quanto riguarda gli appalti futuri, sia per le assunzioni di nuovi operai all’estero. La proclamata volontà di rendere i lavoratori “parte dei mondiali che stanno costruendo” non sembra applicarsi però al di fuori dei campi da gioco: nonostante gli apparenti progressi annunciati dal Qatar, il report di Human Rights Watch pubblicato a settembre 2017 è perentorio nel denunciare la necessità di un’azione urgente a tutela delle migliaia di operai coinvolti nelle costruzioni.
L’articolo 3 dello statuto della FIFA decreta il suo impegno a rispettare i diritti umani riconosciuti a livello internazionale e a promuovere la loro protezione, responsabilità reiterata anche con l’adozione della nuova Human Right Policy nel 2017. Il report commissionato a un gruppo indipendente di esperti richiama la necessità della tutela dei diritti umani in tutte le attività globali della Federazione, incluse quelle in Qatar. Resta da vedere quali provvedimenti verranno presi nella pratica.
Giulia Amoroso
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂąÂ
Il film-documentario “The Workers Cup”di Adam Sobel racconta le vicende e le vite di un gruppo di lavoratori immigrati coinvolti nel torneo. Seguendo allenamenti e partite il regista propone uno spaccato unico ed inedito delle condizioni lavorative nei cantieri del Qatar, presentando allo stesso tempo le storie, le sofferenze e i sogni di individui che sono operai, ma soprattutto giocatori di calcio.
[/box]
Foto di copertina di NazionaleCalcio Licenza: Attribution License