Il Presidente Kuczynski ha concesso l’indulto umanitario all’ex Presidente Alberto Fujimori. Le proteste nel Paese e le condanne internazionali non si sono fatte attendere. L’indulto a Fujimori rappresenta un problema più ampio, quello dell’impunità, che tocca tutta l’America Latina
INDULTO, COME CI SI E’ ARRIVATI
Alberto Fujimori, presidente del Perù dal 1990 al 2000, scontava la pena di 25 anni per il crimine di violazione dei diritti umani durante la guerra ai gruppi terroristici peruviani, prima tra tutti la fazione di ispirazione maoista Sendero Luminoso. Fujimori è stato dichiarato responsabile delle stragi compiute dallo squadrone della morte Colina, che l’ex presidente ha protetto.
Lo scorso 24 dicembre 2017, Fujimori ha dunque ricevuto l’induto dal presidente Kuczynski e una buona fetta di popolazione, soprattutto giovani, si è riversata nelle strade delle maggiori città per manifestare contro la decisione. Le proteste si sostengono su quattro pilastri: la contrarietà e lo stupore di fronte alla misura concessa, la rabbia causata da una promessa elettorale tradita ed il sospetto di una negoziazione politica interessata.
La decisione di PPK sorprende per diversi motivi: la celerità del procedimento, la scarsa trasparenza nel metodo, la coincidenza temporale e politica perfetta che ha visto il figlio di Fujimori e deputato del partito di opposizione, Kenji, salvare il presidente dall’impeachment grazie all’astensione della sua fazione. Kuczynski è stato infatti iscritto nella lunga lista di interessati dal caso Odebrecht.
I sospetti riguardanti l’indulto umanitario a Fujimori, che fino ad oggi non sono diventati prove e sono stati fermamente respinti dal presidente, si basano su una serie di coincidenze, contraddizioni e ambiguità che disegnano un quadro sconsolante della situazione al vertice della politica peruviana. Per rincarare la dose, poi, sono arrivate numerose defezioni tra le file dei deputati, membri del Governo e funzionari prima fedeli al presidente, che hanno bollato la decisione come politica e dunque inaccettabile.
Fig.1 – Alberto Fujimori lascia l’ospedale da uomo libero, il 4 gennaio 2018.
FUJIMORI, ASCESA E OBLIO PRIMA DELL’INDULTO
La rabbia nelle strade, e non solo, è stata certamente scatenata dall’opacità della decisione ma trova origine nella profondità delle fratture interne della società peruviana. Fujimori è la figura più divisiva del panorama politico del suo Paese. Basta controllare i dati delle ultime elezioni per capire che il fujimorismo è sopravvissuto alla caduta del suo leader non solo grazie alle figure politiche dei figli Keiko e Kenji, ma soprattutto grazie alla riconoscenza di quella parte di popolazione che è stata vittima del terrorismo di Sendero Luminoso e che ha trovato nel presidente “chino” (“cinese”, ma Fujimori ha evidenti origini giapponesi) il proprio difensore e liberatore. Esiste poi l’altra metà, lontana dalle idee politico-economiche di Fujimori e vittima degli abusi delle sue politiche di sicurezza, che ha fatto fronte comune dal 2000 in poi e ha sempre portato al governo l’anti-fujimorismo.
Ora, è questa divisione che il presidente Kuczynski e il suo Presidente del Consiglio, Mercedes Aráoz Fernández, hanno affermato di voler superare con questa misura. Tuttavia, sembra che la strategia scelta dai vertici peruviani sia piuttosto l’oblio. Nel video con il quale si è rivolto ai propri concittadini il 24 dicembre, PPK ha riconosciuto i delitti di Fujimori qualificandoli come “excesos y errores graves”, sottolineando come l’ex-presidente avesse scontato già 12 anni di pena. L’eufemismo che trasforma il gravissimo delitto di violazione dei diritti umani in “eccessi ed errori gravi” e la qualificazione della pena scontata fino ad oggi come sufficiente, insieme alle parole della Presidente del Consiglio “conversar, recuperarnos, olvidar” (“parlare, recuperarci, dimenticare”), tracciano il solco che divide il Governo dalle vittime e dalla piazza, che non possono separare i concetti di perdono e riconciliazione da quelli di giustizia e riconoscimento per le vittime.
Fig.2- Nel 2000 si chiedeva di non dimenticare e non perdonare i crimini di Fujimori e Montesinos.
INDULTO ANCHE DI FRONTE A NESSUN PENTIMENTO
Sono quarantacinque le richieste d’indulto arrivate durante questi dodici anni per Fujimori. Nel 2015, il presidente Ollanta Humala non aveva concesso l’indulto umanitario seguendo le raccomandazioni degli organi preposti allo studio del caso. Fujimori non aveva mostrato nessun pentimento per i delitti commessi, e la sua malattia era grave ma non terminale. Ora, i termini clinici sembrerebbero essere cambiati e l’ex presidente sarebbe in pericolo di vita nell’ambiente carcerario. Quello che però sembra non essere cambiato è l’assenza di pentimento. Dopo aver ricevuto la notizia, Fujimori ha diffuso un video nel quale ringrazia Kuczynski, accoglie il suo appello per la riconciliazione nazionale e chiede perdono a quella parte della popolazione che ammette di aver “defraudado”. Un altro eufemismo che suona come una beffa per chi ha dovuto sopportare torture e la perdita di familiari e amici, ben più di una frode.
INDULTO, IL RICORSO
La reazione non si fermerà alle manifestazioni o alle lettere aperte degli intellettuali: ci sarà un ricorso alla Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) da parte delle vittime e delle organizzazioni che lottano per la difesa dei diritti umani. La loro posizione poggia sull’incostituzionalità della misura adottata dal presidente, che rende impossibile un ulteriore giudizio sulla strage di Pativilca, altro brutale atto del gruppo Colina, caso riaperto nel 2017 grazie alla decisione della Corte Suprema del Cile di ampliare l’estradizione dell’ex capo di Stato peruviano.
La Corte ha convocato un’udienza straordinaria per il 2 febbraio 2018. Sarà il primo giudizio su un possibile annullamento di un indulto umanitario.
Fig.3 – Le famiglie delle vittime manifestano contro la decisione di Kuczynski.
IMPUNITÀ, PIAGA LATINOAMERICANA
Nel panorama latinoamericano, il caso Fujimori passa da grande risultato a enorme delusione. Nel 2010, Carlos Rivera Paz scriveva “Non c’è dubbio che il giudizio contro Alberto Fujimori debba essere inteso come uno dei maggiori successi del processo di giustizia in Perù.” Un capo di Stato era stato reso responsabile dei propri reati di fronte alla giustizia, nello stesso continente che aveva lasciato passare impunemente le atrocità di Pinochet e altri. Il giudizio del 2009 doveva essere il punto di partenza per una nuova era dei rapporti tra verità, giustizia, responsabilità e giusto castigo che avrebbero preparato la lunghissima strada per la guarigione e la riconciliazione in ogni angolo della regione.
L’America Latina comprende gli Stati più impuni del mondo. Secondo gli ultimi dati, il Paese che conosce il maggior livello di impunità della regione è il Messico, seguito da Perù, Venezuela, Brasile, Colombia, Nicaragua, Paraguay, Honduras e El Salvador. Il fenomeno, affermano gli analisti, va di pari passo con le diseguaglianze economico-sociali e la corruzione. Nel caso peruviano, se dovessero mai essere confermati i sospetti verso il presidente Kuczynski, saremmo di fronte ad un cocktail esplosivo di corruzione, negoziazione politica interessata e impunità. Rimane un passo indietro che sparge sale su una ferita non ancora cicatrizzata e che avrà grandi ripercussioni interne e regionali.
Elena Poddighe
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
La spaccatura dell’opinione pubblica peruviana è in questi numeri. [/box]
Foto di copertina di Pedro Rivas Ugaz Licenza: Attribution License