Miscela Strategica – L’incontro-scontro con l’Oriente, nella sua accezione più ampia, riscuote i giusti interessi in un ambito, quello geopolitico, spesso mal inteso, quando non avversato. Che le relazioni tra i due ‘mondi’ siano sempre state presenti è storia, che possano e debbano essere analizzate anche alla luce delle odierne dinamiche è diventata una necessità.
UNA LIAISON STORICA
Lo scorso 24 marzo si è tenuta, presso il Dante International College di Vittorio Veneto, la seconda giornata di studi di Geopolitica, quest’anno dedicata alle tematiche connesse con il confronto tra Oriente e Occidente. Organizzato e introdotto dall’ammiraglio Roberto Domini, l’incontro ha visto la partecipazione di personalità accademiche che, insieme ad altri esperti di varie discipline, hanno cercato di delineare l’evoluzione della situazione generale. Da un punto di vista più strettamente geopolitico, i professori Ghilardi, Breccia e Zampieri, con gli interventi del generale Cucchi, hanno tratteggiato un panorama che, estendendosi dai primi contatti tra Ellenismo e mondo persiano, ha condotto ad ampliare gli spazi per valicare gli Urali, giungere al Pacifico e congiungersi con l’estremo Occidente americano, in un’evoluzione senza soluzione di continuità che ha fatto della Guerra Fredda uno scontro di civiltà senza considerare i reciproci interessi degli attori in gioco. La storia, di fatto, ha accompagnato le visioni di molteplici Occidenti ed Orienti, ovvero di diverse realtà geopolitiche variabili a seconda della latitudine, ma che conservano radici comuni.
DIVERSITÀ AMBIVALENTI
Il βάρβαρος, nella sua accezione classica e in un’ottica ambivalente, è rimasto “il diverso”, un soggetto politico che, per cultura e forma mentis, si è costantemente contrapposto, perseguendo strategie e politiche di potenza peculiari. Sia da Ovest che da Est l’esplorazione navale, insieme con gli orizzonti, ha alimentato il concetto di proiezione di potenza e le mire espansionistiche: gli Occidentali hanno esportato un’idealità continentale che ora, con altri mezzi e altre potenzialità, è stata fatta propria dalla Cina e da un risorgente Giappone. Con la Nuova Via della Seta si ripropone una pervasività che segue percorsi già battuti, secoli fa, dall’ammiraglio Zheng He, riscoperto solo ora dall’iconografia ufficiale. Forza, astuzia, esercizio del dilazionamento del tempo e dello spazio sottolineano le diversità culturali con l’Occidente che, in antitesi, coltiva ideali di scontri violenti e frontali e che giudica dunque l’approccio orientale come irregolare, aggirante, incostante come la forma dell’acqua che, per Sun Tzu, manca naturalmente di equilibrio prevedibile e dunque è vincente. Il sistema valoriale occidentale ereditato da quello ellenistico impone una proiezione di potenza che sostenga un fronte politico interno e del consenso capace di sorreggere vision e supremazia a fronte dell’inaccettabilità orientale del prezzo da pagare in termini di vite umane anche in caso di vittoria, concetto ora mutuato anche dall’Occidente. Le operazioni condotte con droni, lanci missilistici dalla grande distanza e forte resistenza a impiegare forze a contatto, del resto lo hanno già testimoniato e lo stanno ancora provando proprio in questi giorni.
Fig. 2 – In una mappa semplificata, le linee di comunicazione che la Cina vuole aprire con il concetto One Belt, One Road (OBOR)
TELLUROCRAZIA VS TALASSOCRAZIA?
Eurasia e Heartland, nella loro concettualità, ritornano in scena dando rilevanza alla visione di Mackinder, Haushofer, Mahan: tellurocrazia contrapposta a talassocrazia, rivalutazione dei trasporti terrestri a fronte del potere marittimo, rinnovamento del vincolo culturale tra Germania e Russia. Il timore del sorgere di una potenza eurasiatica geneticamente tedesca proiettata a Oriente continua ad impensierire il sea power americano, che si è finora retto sia sulle fondamenta geopolitiche e geoeconomiche offerte dalla NATO e dall’Unione Europea, sia sul paradosso per cui la potenza egemone con il primo debito pubblico globale si contrappone ai maggiori detentori di surplus commerciale. In questo contesto è allora lecito continuare a pensare in termini atlantici a discapito di un progetto difensivo europeo? Le politiche occidentali creano vuoti che le dinamiche internazionali tendono a colmare: il Pivot to Asia statunitense ha spostato, da un vicino a un estremo Oriente, il focus sul Pacifico, tralasciando il Mediterraneo Est, mentre le condizioni ingenerate dalla Brexit hanno indotto i francesi a tentare di occupare posizioni che, a livello globale, gli inglesi tuttavia non intendono cedere, come accaduto in Siria, dove la gara per rassicurare l’Estremo Occidente ha visto azioni belliche coordinate. È dunque logico ipotizzare un armamento nucleare europeo sotto un “ombrello” bellico francese e politico tedesco? Quale ipotesi per un Comando?
PROSPETTIVE FUTURE
La Russia, sempre più votata sia al contenimento NATO, sia alla gestione strategica europea delle risorse energetiche, unica sua fonte concreta di ricchezza, incarna per l’Est quel che la Germania rappresenta per l’Ovest, rigettando la prevalenza della società, dell’individualità e del libero mercato sulla comunità. Orientali e musulmani si affacciano alle porte dell’Occidente, e varcano soglie impensabili: la Cina è riuscita ad “occupare” il porto del Pireo dando corso sia alla Via della Seta terrestre che al Filo di Perle marittimo che la vede presente in punti strategici del Corno d’Africa. In un momento in cui l’Oriente musulmano sta cercando, già dall’epoca nasseriana, la propria identità, l’Occidente sta smarrendo la sua. La ricerca di un punto di contatto tra i due mondi è una necessità ineludibile: che si tratti di un obiettivo da dover perseguire rientra in un esercizio di realpolitik, che prescinde da qualsiasi elemento di carattere culturale. La fine del bipolarismo in Occidente ha svelato sia divergenze di interessi, sia un’aperta competizione tra alleati. Il crollo del sistema politico ha decretato sia la fine di sistemi complementari, quali crisi e guerre locali intese come valvole di sfogo, sia la morte di un equilibrio che ha costretto Francis Fukuyama a rivedere la sua teoria della fine della Storia. Gli elementi su cui ruotano le valutazioni vedono quindi l’Oriente, Russia compresa, che cerca di penetrare sempre di più nei mari caldi di area mediterranea; la Cina che, con un’azione silente e aggirante, apparentemente non invasiva, pone le sue basi strategiche a Gibuti per controllare lo Stretto di Bab el Mandeb; l’Oriente arabo e islamico che, per la seconda volta nella sua storia, punta all’Europa grazie anche alla leva delle sue risorse energetiche. Sia Europa che Islam hanno un problema identitario: in Occidente prevale una generica politica del consenso, nell’Islam le generazioni più giovani si pongono in contrasto con gli aspetti Coranici più radicali, aspetto questo che potrebbe interessare in un futuro molto prossimo anche la (apparentemente) monolitica Turchia. A sua volta il continente africano, sia pur tra molte contraddizioni, sta mutando politicamente: il controllo di dazi e confini porrebbe l’Europa di fronte alla necessità di implementare il suo impegno in termini di hard e di soft power, ma mantenendo stabile un sistema politico interno ormai refrattario a qualsiasi sacrificio e che si avvale sempre più spesso di milizie locali piuttosto che di proprie forze. Un atlantismo in fase critica potrebbe dare effettivamente una green light alle potenze Orientali, Cina e Russia, per conferire loro un vantaggio tattico cui, tuttavia, non sembrano ancora pronte ad affiancare un’effettiva egemonia strategica.
Gino Lanzara
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