Il Giappone sta affrontando una nuova fase di maggiore distensione nei rapporti con la Cina, più per strategia e convenienza congiunturale che per reale spirito di cooperazione. Il 9 maggio scorso Shinzo Abe ha incontrato il Premier cinese Li Keqiang e il Presidente sudcoreano Moon Jae-in a Tokyo in un summit trilaterale, con il chiaro intento di mantenere un ruolo da protagonista nella questione nordcoreana e di rilanciare l’integrazione economica regionale.
UN POSTO IN PRIMA FILA
Un summit tra i tre Paesi asiatici non si vedeva dal 2015. L’iniziativa è stata presa proprio dal Premier giapponese Shinzo Abe, che ha annunciato l’incontro al vertice del 9 maggio durante una visita in Giordania. Il motivo è semplice: Abe non vuole correre il rischio di rimanere tagliato fuori dalla questione nordcoreana, visto che sia i Paesi vicini che l’alleato statunitense stanno muovendo le pedine in modo autonomo. Il Presidente sudcoreano Moon Jae-in ha infatti incontrato il 27 aprile scorso il leader nordcoreano Kim Jong-un a Panmunjon, in territorio sudcoreano: un evento di portata storica, visto che in oltre 70 anni nessun leader della Corea del Nord ha mai attraversato quel confine. Dal canto suo, anche la Cina sta lavorando alacremente per la normalizzazione dei rapporti della Corea del Nord con i Paesi limitrofi: oltre ad un paio di incontri con il Premier cinese Li Keqiang, Kim Jong-un ha incontrato direttamente il Presidente Xi Jinping a marzo e, di nuovo, l’8 maggio, prima del summit trilaterale a Tokyo. Secondo l’agenzia cinese Xinhua, i due capi di Stato avrebbero discusso di questioni bilaterali e del processo di denuclearizzazione; Xi avrebbe inoltre manifestato il suo supporto a Kim nei negoziati con gli Stati Uniti, poi improvvisamente messi in dubbio dalla cancellazione da parte di Trump dello storico summit con il leader nordcoreano previsto per metà giugno a Singapore.
In tutto questo è più che legittimo chiedersi: e il Giappone? Sino a prova contraria, è il Paese del Sol Levante il nemico più prossimo di Pyongyang e quindi più esposto a un eventuale attacco militare. Abe, che negli ultimi mesi ha puntato tutti i suoi sforzi diplomatici nel consolidamento dei rapporti con gli USA di Trump, ha capito di non potersi permettere di rimanere escluso dal club degli attori principali, confermando alla prova dei fatti un rapporto di sostanziale sudditanza rispetto a Washington. Organizzare un summit trilaterale ha significato dunque riprendere in mano le redini della politica estera con il vicinato in modo autonomo.
Fig. 1 – Shinzo Abe incontra a Tokyo il Premier cinese Li Keqiang e il Presidente sudcoreano Moon Jae-in, 9 maggio 2018
I RAPPORTI BILATERALI CON LA CINA
Negli ultimi anni i temi scottanti nel rapporto Cina – Giappone sono stati le dispute territoriali nel Mar Cinese Orientale (in particolare per il possesso delle isole Senkaku o Diaoyu) e la questione della Belt and Road Initiative (BRI). Riguardo a questo secondo punto, la posizione giapponese oscilla tra il rifiuto secco di partecipare ad un progetto trainato da Pechino e la tentazione di buttarsi nella mischia con l’obiettivo di assumere una posizione di spicco, conforme alle proprie aspirazioni. In un contesto regionale in cui l’obiettivo condiviso da tutti è quello di mantenere la stabilità e la pace, l’inclinazione di Abe è sicuramente verso la seconda ipotesi. Di conseguenza, si è reso necessario fare dei passi avanti verso la Cina anche in merito al primo punto. I rapporti bilaterali sino-giapponesi hanno conosciuto una fase di progressivo deterioramento dal 2012, anno in cui il Governo giapponese annunciò di voler acquistare le isole Senkaku dai proprietari (la famiglia Kurihara), ufficializzato poi l’11 settembre. L’obiettivo più fattibile e condiviso da entrambe le potenze nel breve periodo era evitare che incidenti marittimi come quelli avvenuti nel 2010 potesse esacerbare i rapporti: da anni si parlava della creazione di una linea telefonica di sicurezza per gestire situazioni potenzialmente problematiche intorno alle isole, e finalmente si è giunti al dunque. Dopo il colloquio bilaterale del 9 maggio, il Premier giapponese Shinzo Abe e il collega cinese Li Keqiang hanno firmato in una cerimonia il patto che stabilisce l’istituzione di questa hotline per gli ufficiali delle rispettive marine entro 30 giorni. Il nuovo Code for Unexpected Encounters at Sea (CUES) prevede anche una serie di incontri regolari tra ufficiali delle due marine e un meccanismo di avvertimento per le navi di eventuali incidenti marittimi nell’area delle Senkaku. Il CUES verrà utilizzato anche da altre nazioni, inclusi gli Stati Uniti.
Durante la cerimonia per il 40° anniversario del Trattato di Pace e Amicizia tra la 2° e la 3° economia mondiale, Li Keqiang ha detto esplicitamente che non c’è ragione per cui Cina e Giappone non debbano stringersi la mano e promuovere gli scambi commerciali in un momento in cui l’economia globale è in una fase di crescita. Una buona notizia soprattutto per l’industria tecnologica giapponese, che dipende in larga misura dall’approvvigionamento di terre rare dalla Cina per poter crescere. Il ricevimento per l’anniversario del trattato è stato infatti fortemente voluto dalla Keidanren, la potente federazione degli industriali giapponesi. In questa occasione è inevitabilmente emerso il discorso inerente alla BRI, sancendo definitivamente il “sì” del Giappone a salire sul treno. Li Keqiang ha voluto sottolineare che la partecipazione all’iniziativa potrà solo essere un vantaggio per l’economia giapponese e che ci sarà un coordinamento tra la BRI e Abenomics.
Quanto alla simbologia, due sono stati gli avvenimenti che meglio esprimono lo “spirito le momento”. Il primo è l’invito ufficiale ricevuto da Abe a visitare la Cina: l’ultima visita di un Premier giapponese a Pechino risale infatti al 2011 (Abe è stato in Cina più volte negli ultimi anni, ma solo in occasione di summit regionali). Il secondo è stato l’incontro di Li Keqiang con l’Imperatore giapponese Akihito, avvenuto il 10 maggio presso il Palazzo Imperiale. L’Imperatore, che gode di una certa simpatia presso i cittadini cinesi per i suoi sforzi di “alleviare le ferite” inflitte dal padre Hirohito al popolo cinese, ha dichiarato la volontà di consolidare l’amicizia tra i due Paesi in modo stabile e duraturo. 8 anni sono passati dall’ultima volta in cui un premier cinese (allora fu Wen Jiabao) fece visita all’Imperatore: le premesse per essere ottimisti su questa nuova primavera dei rapporti Cina – Giappone sembrano esserci tutte.
Fig. 2 – Discorso di Shinzo Abe durante il summit trilaterale di Tokyo, 9 maggio 2018
IL GIAPPONE E LE COREE
Il tema portante dell’incontro trilaterale è stato chiaramente la Corea del Nord. La “comunione d’intenti” sulla cooperazione per la denuclearizzazione della penisola c’è, come attestato dalla dichiarazione congiunta rilasciata; ciò che manca è un accordo su come procedere. Negli ultimi mesi Abe è stato irremovibile riguardo al pugno di ferro con Pyongyang, spalleggiato anche da Trump e dalla sua retorica colorita. Tuttavia, dopo la decisione del Presidente americano di cercare un accordo con il regime di Kim, questo approccio lo ha reso sempre più isolato. Cina e Corea del Sud premono affinché Tokyo abbandoni la linea dura e proceda a stabilire contatti diretti con Pyongyang, cosa che, nella prospettiva giapponese, è ostacolata dalla questione dei cittadini giapponesi rapiti dal regime nordcoreano negli anni ‘70 e ‘80. È anche vero che di recente sono stati rilasciati 3 cittadini americani imprigionati a Pyongyang come segno delle buone intenzioni del regime di Kim di intavolare un negoziato con gli Stati Uniti: non c’è motivo di credere che non possa accadere lo stesso con il Giappone. Sia Li Keqiang che Moon Jae-in hanno cercato di convincere Abe del fatto che applicare la massima pressione nei confronti di Pyongyang non è la via giusta per ottenere l’obiettivo della denuclearizzazione; Moon Jae-in ha sottolineato che il dialogo diretto Giappone-Corea del Nord è necessario tanto quanto quello intercoreano. Abe vorrebbe continuare ad applicare le sanzioni ONU col pugno di ferro fino ad ottenere una “completa, verificabile e irreversibile denuclearizzazione del programma nucleare nordcoreano”: questa terminologia auspicata da Abe non è presente nella dichiarazione congiunta del 9 maggio (dove il riferimento è semplicemente alla “realizzazione di una penisola coreana completamente denuclearizzata”). Come ha sottolineato un diplomatico cinese, se il Giappone decide di escludere un dialogo diretto con il regime nordcoreano, le future discussioni sul tema verranno portate avanti dai suoi vicini senza di esso.
È altamente improbabile che Shinzo Abe decida di imboccare questa strada per gli stessi motivi per cui si è fatto promotore del summit del 9 maggio e, più in generale, di altre iniziative interregionali (in primis il CPTPP, Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific partnership, di cui il Giappone ha assunto la leadership dopo l’uscita di scena degli USA). Ma la nuova rottura tra Kim e Trump sembra dargli l’occasione di rilanciare con successo la strategia della massima pressione, almeno nell’immediato futuro. Poi, a seconda dell’evoluzione dei rapporti tra Washington e Pyongyang, ogni sviluppo diventa possibile: in tal senso l’annuncio di un eventuale incontro al vertice tra Abe e il leader nordcoreano non ci lascerebbe affatto sorpresi.
Mara Cavalleri
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Il Premier cinese Li Keqiang ha regalato all’Imperatore Akihito una coppia di ibis crestati, originariamente presenti in Giappone e poi estinti. Il dono di animali rari è un aspetto peculiare della diplomazia cinese, come la famosa “panda diplomacy” e rappresenta un rituale di tradizione centenaria, volto a rendere omaggio a Paesi amici. [/box]