In 3 sorsi – Seppur previsto da tempo, il ritorno al potere dei talebani ha colto tutti di sorpresa sia per la rapidità con cui è avvenuto che per il collasso totale del Governo filo-occidentale di Kabul. Nell’attuale confusione è difficile fare previsioni sul futuro dell’Afghanistan, ma è altamente probabile che il Paese continuerà a essere al centro degli interessi di diversi attori regionali e internazionali.
1. IL REBUS DEL GOVERNO AD INTERIM
Anzitutto bisognerà vedere i risultati delle trattative per la formazione di un Governo di transizione a Kabul, avviate ieri nelle ultime convulse fasi della presidenza Ghani. Si è parlato di un esecutivo a maggioranza talebana ma guidato da Ali Ahmad Jalali, ex Ministro dell’Interno sotto Karzai. Questa ipotesi tuttavia non ha finora trovato conferme, alimentando voci e speculazioni di ogni tipo. Nelle ultime ore, ad esempio, si è fatto più volte il nome del Mullah Baradar, capo dell’ufficio politico dei talebani e protagonista dei negoziati di Doha, come possible capo del Governo ad interim. Difficile che i talebani facciano molte concessioni, visto il carattere schiacciante della loro vittoria militare, ma il gruppo ha dichiarato a più riprese di volere un esecutivo “inclusivo”, anche solo per semplici ragioni d’ordine e di legittimità interni. I negoziati con membri del precedente Governo sono ancora in corso e potrebbero durare diversi giorni. Il fronte opposto sarebbe guidato dall’ex Presidente Karzai e da Abdullah Abdullah, responsabile dell’Alto Consiglio per la Riconciliazione Nazionale.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Talebani a cavallo di una motocicletta per le strade di Kabul, 16 agosto 2021
2. UN FUTURO PIENO DI INCOGNITE
In ogni caso le incognite per il futuro del Paese sono molte. Anzitutto la coesione interna dello stesso movimento talebano, che è tutt’altro che unito e monolitico come vuole apparire. Fazioni moderate e radicali potrebbero infatti scontrarsi presto per la spartizione del potere, mentre le tradizionali divisioni etniche afghane promettono di continuare a rappresentare un serio ostacolo per la governabilità del Paese. C’è poi il problema dell’economia, in seria difficoltà da mesi e ora a rischio di collasso per il probabile azzeramento degli aiuti internazionali. Negli anni passati i talebani sono stati abbastanza abili nel gestire un’economia di guerra basata su traffici illegali, ma ciò non basta per sfamare una nazione, mentre l’incapacità di garantire condizioni di vita minimamente accettabili potrebbe finire per compromettere la solidità del neonato regime islamista. Non va infine dimenticata la presenza di una costola dello Stato Islamico in terra afghana, l’Islamic State Khorasan (IS-K), già responsabile di sanguinosi attentati e nemico dei talebani. Relativamente inattivo negli ultimi tempi, l’IS-K potrebbe lanciare presto nuove campagne terroristiche in diverse zone del Paese e ingrossare le sue fila con i delusi del movimento talebano, diventando un problema serio per il nuovo regime di Kabul.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Soldati americani sorvegliano il perimetro dell’aeroporto di Kabul, dove sono in corso le evacuazioni delle delegazioni diplomatiche occidentali e dei loro collaboratori afghani, 16 agosto 2021
3. RUSSIA, CINA E TURCHIA
Dal punto di vista internazionale è difficile che l’Afghanistan resti isolato come nei tardi anni Novanta. Ci sono infatti troppi Paesi intenzionati a esercitare un qualche tipo di influenza a Kabul al posto dell’Occidente, messo temporaneamente fuori gioco dal proprio fallimento politico-militare. Russia e Cina sono i due esempi principali: entrambe hanno intavolato da tempo trattative con i talebani e hanno intenzione di mantenere una presenza diplomatica attiva in Afghanistan a difesa dei propri interessi strategici. Per la Russia si tratta soprattutto di garantire la stabilità e la sicurezza delle vicine repubbliche centroasiatiche, mentre la Cina mira a proteggere lo Xinjiang da potenziali infiltrazioni jihadiste. Nessuna delle due è entusiasta del cambio di regime a Kabul, ma l’obiettivo è comunque di affrontare pragmaticamente le conseguenze della fine dell’intervento occidentale in terra afghana. Un discorso a parte merita invece la Turchia, che ha sì partecipato alla missione NATO contro i talebani, ma in maniera defilata, e ora vorrebbe trattare con il gruppo per contribuire alla stabilizzazione del Paese. Per Erdogan non si tratta solo di guadagnare influenza in Asia Centrale, ma anche di impedire un esodo migratorio incontrollato che potrebbe finire per destabilizzare la stessa società turca, già preda di forti tensioni per la presenza di milioni di rifugiati siriani. Non a caso il tema Afghanistan è stato al centro della recente visita del Presidente pakistano Alvi in Turchia, con l’ipotesi di un fronte diplomatico comune Ankara-Islamabad per affrontare i prossimi sviluppi della situazione.
Simone Pelizza
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