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AUKUS: oltre gli acronimi di un’alleanza

AnalisiIl 15 settembre Stati Uniti, Australia e Regno Unito hanno annunciato AUKUS (acronimo formato dalle iniziali delle tre potenze), un nuovo partenariato strategico per la sicurezza dell’area dell’Indo-Pacifico. Le irritazioni di Pechino non sono tardate e a esse si sono aggiunte anche quelle di Parigi, con cui l’Australia era legata da un accordo di collaborazione per l’acquisto di dodici sottomarini.

AUKUS: COSA LEGGERE TRA LE RIGHE

Si dice “mantenere la stabilitĂ  e la sicurezza nell’Indo-Pacifico”, si legge “contrastare l’espansione commerciale, la modernizzazione militare e l’influenza cinese nella Regione”. Questo è l’obiettivo della nuova alleanza tra Australia, Regno Unito e USA. Sebbene nella conferenza stampa congiunta del 15 settembre scorso non si sia fatta menzione alla Cina, gli intenti erano piuttosto ovvi. In effetti a molti questo preciso impegno strategico non sarĂ  apparso così innovativo. Il Dipartimento della Difesa USA indicava giĂ  tra i suoi obiettivi, nell’Indo Pacific Strategy Report (IPSR) pubblicato nel giugno 2019, la conclusione di alleanze e partnership mirate ad assicurare “la credibilitĂ  delle forze di combattimento”. AUKUS diviene allora la risposta a questa sfida geo-strategica: un’alleanza fra tre potenze marittime, di matrice culturale e con finalitĂ  strategiche e risvolti economici-industriali. L’elemento culturale si riferisce in primo luogo alla comune origine anglosassone delle tre potenze, alleate di lungo corso, anche e soprattutto nel settore strategico dell’intelligence (partecipando assieme alla Nuova Zelanda e al Canada al Concilio dei “Five Eyes”). Il fattore culturale di AUKUS emerge anche sotto un diverso punto di vista – piĂą volte rimarcato dal Primo Ministro britannico Boris Johnson – e cioè il coinvolgimento delle comunitĂ  scientifiche e tecniche dei Paesi partner. Di qui le finalitĂ  dell’alleanza: quella di fornire all’Australia la tecnologia e l’expertise necessari alla realizzazione di dodici sottomarini a propulsione nucleare. Come affermato dal Primo Ministro australiano Scott Morrison, i sottomarini verranno realizzati ad Adelaide, con la cooperazione e il know-how anglo-statunitense. Va sottolineato che la condivisione di tecnologia nucleare non è così frequente: finora gli Stati Uniti hanno condiviso tali informazioni sensibili solo con il Regno Unito, attraverso il US-UK Mutual Defense Agreement del 1958. AUKUS evidentemente assume rilevanza anche dal punto di vista economico-industriale: non sono ancora disponibili i dettagli dell’accordo, e nello specifico i costi dei sottomarini verranno determinati nei prossimi 18 mesi di consultazioni, ma si stima che possa valere piĂą di 60 miliardi di dollari. Un accordo di tale portata ha ovviamente dei riverberi sulle economie dei Paesi partner: in particolare questo ritorno della “Global Britain” permetterĂ  a Johnson di impiegare forza lavoro specializzata proveniente dai cantieri navali della Scozia, nel tentativo di stemperare le aspirazioni degli indipendentisti. Gli Stati Uniti, da parte loro, potranno dar nuova linfa alla cantieristica navale, che nei prossimi dieci anni avrĂ  ormai concluso i programmi di costruzioni dei sottomarini delle Classi Virginia e Columbia. Tuttavia le maggiori implicazioni si verificano sul piano strategico, a cominciare dallo stralcio del precedente accordo tra Australia e Francia.

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Fig. 1 – Biden durante la conferenza stampa congiunta con Morrison e Johnson

PERCHÉ L’AUSTRALIA HA PREFERITO I SOMMERGIBILI A PROPULSIONE NUCLEARE?

Sono passati poco meno di quattro mesi da quando, il 16 giugno scorso, il premier Scott Morrison, in conferenza stampa congiunta con il Presidente francese Macron all’Eliseo, utilizzava le parole “libertà e affinità” per descrivere l’accordo franco-australiano. Un’affinità che a seguito dell’annuncio dell’AUKUS impiegherà parecchio tempo prima di essere ristabilita.
La cancellazione senza alcun preavviso dell’accordo siglato nel 2016, che aveva un valore di circa 36 miliardi di euro, ha suscitato inevitabilmente la rabbia di Parigi, che si è sentita “pugnalata alle spalle” da un Paese amico, in una fase così delicata per l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali. All’annuncio dell’abbandono del programma il Quai d’Orsay ha proceduto al richiamo per consultazioni degli Ambasciatori francesi presso gli Stati Uniti e l’Australia, evidente segnale di una crisi diplomatica. Nella telefonata del 22 settembre tra Biden e Macron sembrerebbe sia maturata la volontĂ  di procedere a una serie di consultazioni aperte in materia di interessi strategici francesi ed europei. Inoltre si è programmato un incontro in ottobre tra i due leader, al fine di addivenire a una visione condivisa. In altri termini la Francia riceverĂ  una qualche forma di compensazione del danno ricevuto da parte degli USA, nel tentativo di ricucire lo strappo diplomatico. Se da un lato, quindi, la diplomazia non è ancora in grado di spiegare i motivi dell’abbandono della partnership con la Francia, le dinamiche strategico-militari offrono piĂą di un motivo per spiegare perchĂ© l’Australia abbia preferito l’accordo anglo-sassone. Innanzitutto si osservi come AUKUS preveda il trasferimento del savoir-faire relativamente alla produzione di sommergibili a propulsione nucleare. AncorchĂ© l’Australia, in virtĂą degli accordi di non proliferazione delle armi nucleari non possa dotarsi di un arsenale nucleare e quindi di missili a testata nucleare, ha preferito optare per la propulsione nucleare, scartando quella convenzionale (diesel/elettrico) offertagli dalla Francia. In termini di strategia militare ciò vuol dire che i futuri sommergibili australiani saranno dotati di una maggiore autonomia, di un maggiore raggio d’azione, della capacitĂ  di raggiungere profonditĂ  piĂą elevate e di prolungare la durata delle missioni, restando immersi per un periodo maggiore. Fattori questi in grado di garantire maggiori vantaggi tattici e strategici. In secondo luogo il fatto che le Marine statunitensi e britanniche condividano con la Royal Australian Navy la medesima classe di sommergibili riduce la possibilitĂ  per il nemico di stabilire, con i propri sonar, a quale delle tre nazioni appartenga l’unitĂ . Si calcoli che giĂ  di per sĂ© è una operazione estremamente complessa, cui si aggiunge una ulteriore variabile di incertezza. Questo può condurre a due diversi esiti: il primo di deterrenza, ovverosia, di dissuasione dal promuovere un attacco avverso un obiettivo difficile da identificare; il secondo di ingerenza, nella misura in cui, di fronte all’incapacitĂ  di identificare l’unitĂ , si procede comunque ad affondarlo. Con ogni evidenza questo scenario condiziona e intensifica il legame tra le tre Marine, che in caso di conflitto sono evidentemente chiamate a schierarsi insieme. E da qui forse discende la preferenza, da parte degli australiani, per gli alleati statunitensi e britannici a quelli francesi. Infine AUKUS prevederĂ  la cooperazione in ambiti strategici e di difesa piĂą complessi, come l’artificial intelligence e la tecnologia quantum. In altri termini si intensificherĂ  l’utilizzo di quelle macchine capaci di compiere ragionamenti e azioni complesse, assimilabili a quelle di un cervello umano, nonchĂ© l’applicazione della meccanica quantistica per lo sviluppo di strumentazione strategica.

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Fig. 2 – Sommergibile statunitense in emersione

AUKUS, NATO e CED: COSA SIGNIFICA PER GLI ALLEATI EUROPEI?

L’Indo-Pacifico è quindi sempre piĂą il teatro principale della strategia statunitense. Come giĂ  preannunciava Ellen Churchill Semple, in American History and Its Geographic Conditions, nel 1903, se il fattore geografico principale nella storia passata di Washington risiedeva nella sua posizione sull’Atlantico di fronte all’Europa, il fattore geografico distintivo nella sua storia futura sarĂ  la sua posizione nel Pacifico di fronte all’Asia. Ma al contempo Semple osservava che l’avverarsi di tale assioma dipendeva dal fatto che gli Stati Uniti fossero in grado di garantire la propria preminenza su entrambi gli Oceani. Questa suggestione evidentemente riporta il focus del presente scritto sul ruolo della NATO, all’indomani di AUKUS e delle prioritĂ  statunitensi nell’Indo-Pacifico. Se per la “teoria del bilanciamento” avanzata da Stephen M. Walt un’alleanza nasce per far fronte a una minaccia,  è opportuno domandarsi quale sia il ruolo della NATO, oggi, a seguito della fine della Guerra Fredda e del ritiro delle truppe alleate dall’Afghanistan. Come emerso nel Report 2030 la visione programmatica è quella di rendere l’Alleanza “piĂą globale”, per poter fronteggiare le molteplici sfide e minacce sistemiche presenti sullo scenario internazionale. Ciò vuol dire che sarĂ  richiesto un intervento anche degli alleati europei nell’arena dell’Indo-Pacifico? Difficile che ciò si verifichi, certo è che anche l’Europa abbisogna di una autonomia strategica, che tenga conto delle differenti sensibilitĂ  e posizioni rispetto agli Stati Uniti. Effettivamente, la Francia è l’unica potenza nucleare europea, nonchĂ© l’unica con una strategia nell’Indo-Pacifico consolidata. La stessa Germania, adesso impegnata nella formazione del nuovo esecutivo, dovrĂ  considerare se tenere fede alla strategia di cooperazione avanzata nel 2020 dal Governo Merkel. In definitiva, che sia la rivalutazione della NATO oppure la reviviscenza della CED (ComunitĂ  Europea di Difesa) o la nascita di AUKUS, per citare nuovamente S.M. Walt in The Origins of Alliances, l’Europa, in quanto potenza regionale è molto piĂą preoccupata “per le minacce locali, che per la rivalitĂ  tra superpotenze”. Minacce che restano – tra le altre – la stabilitĂ  del Mediterraneo e la gestione delle relazioni con Mosca e la Turchia.

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Fig. 3 – I leader NATO al summit del 14 giugno 2021 a Bruxelles

NIL MIHI CUM PELAGO

AUKUS ha stabilito un nuovo assetto dell’Indo-Pacifico. Dotare la marina australiana della propulsione nucleare significa farne l’alleato statunitense piĂą importante della Regione. Ciò inevitabilmente creerĂ  degli squilibri nelle relazioni sia multilaterali (QUAD), sia bilaterali (USA-Giappone, USA-Corea del Sud), venendosi – di fatto – a concretizzare una gerarchia tra di essi. Se nel breve periodo la capacitĂ  della Cina di mettere in pericolo gli interessi dell’Australia – e dei suoi alleati – possa apparire remota, in quanto le mire di Pechino restano focalizzate sul Mar Cinese Meridionale, in una prospettiva di lungo periodo lo scenario potrebbe mutare. Di fronte al crescente sviluppo della flotta navale cinese e alle foto satellitari circa la costruzione di una nuova classe di sommergibili nucleari la minaccia sul Pacifico Occidentale potrebbe farsi piĂą reale. Non a caso, al netto della superioritĂ  delle forze statunitensi, a Washington sono molti quelli che pensano che sia necessario incrementare il budget per le spese militari. E in questo senso sembra si stia muovendo il dibattito interno alla Camera, che ha visto il 23 settembre – con non poche rimostranze da parte di alcuni democratici – l’approvazione di una legge sul bilancio della Difesa del valore di 768 miliardi di dollari. 

Lorenzo De Poli

Immagine di copertina: “Untitled”, owner “12019”, licensed by “Creative Commons CCO/PublicDomain”

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Perchè è importante

  • La strategia militare di Biden si concentra nell’area dell’Indo-Pacifico nel chiaro intento di limitare le mire espansionistiche della Cina.
  • L’accordo, che prevede la fornitura all’Australia, da parte di USA e del Regno Unito, della tecnologia necessaria per costruire sottomarini a propulsione nucleare, cancella così il precedente da 36 miliardi di euro tra Canberra e Parigi, implicando una crisi diplomatica con la Francia.
  • Nonostante gli stretti rapporti commerciali, dal febbraio 2020 i rapporti tra Australia e Cina risultano sempre piĂą tesi.
  • Di fronte alla strategia statunitense nell’Indo-Pacifico, le questioni circa il destino della NATO sono sempre piĂą urgenti.

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Lorenzo De Poli
Lorenzo De Poli

Praticante avvocato del foro di Roma. Dopo la maturitĂ  classica presso la Scuola Navale Militare “F. Morosini” di Venezia, consegue la laurea in Giurisprudenza presso la LUISS Guido Carli di Roma, optando per un major in diritto amministrativo e discutendo una tesi in diritto urbanistico. Ha frequentato il Master in Studi Diplomatici della SIOI. Oltre al diritto, coltiva da sempre la passione per l’archeologia e la storia dell’arte.

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