In 3 sorsi – La Colombia ha un nuovo Presidente. Ivan Duque, protégé di Álvaro Uribe, ha sconfitto Gustavo Petro e si appresta ora a traghettare la nazione colombiana attraverso uno dei momenti più delicati della sua storia.
1. UN PRESIDENTE GIOVANE E INESPERTO
Ivan Duque ha vinto le presidenziali colombiane sconfiggendo al ballottaggio l’ex Sindaco di Bogotá, Gustavo Petro. Queste elezioni segnano un punto di svolta per la partecipazione elettorale, che ha superato il 50% al primo e al secondo turno (si è registrato un leggero aumento dell’astensione al ballottaggio). Un record che si accompagna alla comparsa di un’ipotesi alternativa all’establishment liberale o conservatore che ha guidato la Colombia negli ultimi decenni.
Il nuovo Presidente, candidato per il partito Centro Democrático, ha 41 anni e pochissima esperienza in politica. Sono circa 10 milioni (53,98%) le persone che hanno supportato la sua candidatura lo scorso 17 giugno, circa due milioni in più del suo avversario, che ha ottenuto il 41,81%. Il voto in bianco, che ha acceso un intenso dibattito nelle ultime settimane, è stato espresso dal 4,2% dei votanti, circa 800mila persone. Duque conquista il potere in un momento storico delicato. Questioni interne, come quelle dei rapporti tra i gruppi guerriglieri e lo Stato e delle necessarie riforme economiche e non, e problemi internazionali che ricadono su Bogotá, come la terribile crisi umanitaria del vicino Venezuela, rendono questa Presidenza notevolmente pesante per le spalle inesperte di Duque.
Avvocato formatosi tra la Colombia e gli Stati Uniti, ha lavorato per le Nazioni Unite e il Banco Interamericano de Desarrollo (BID), prima di diventare senatore della Repubblica nel 2014. Duque è un giovane legislatore senza nessuna vera esperienza amministrativa. Tra le sue proposte economiche risaltano diminuzione delle tasse per le imprese, sostegno ai trattati di libero commercio di cui la Colombia fa parte, investimenti nel settore petrolifero colombiano e riforma delle pensioni. Sullo spinoso terreno degli accordi di pace, Duque parte dalla stessa linea dura del suo mentore politico, Álvaro Uribe Vélez. Tuttavia, il bacino di voti “centrali” di Sergio Fajardo (candidato con la piattaforma indipendente di centro-sinistra Coalición Colombia) ha fatto gola all’una e all’altra parte, che hanno cercato di moderare i toni e ritornare su posizioni più riflessive e ragionate.
Così, Duque ha affermato di non voler distruggere l’accordo, ma di avere intenzione di modificarlo per garantire ai colombiani che gli ex guerriglieri non si rifugino senza conseguenze tra i banchi legislativi del Paese. L’ironia della politica ha voluto poi che mentre gli ex guerriglieri andavano a votare per la prima volta a Bogotá, al primo turno, il giovane avvocato vincesse nei territori che un tempo erano sotto il controllo delle FARC. Al secondo turno, Duque ha fatto il pieno dei voti nelle regioni dei campesinos e nelle zone sensibili al confine con il Venezuela. Ha giocato bene le sue carte: ponendo l’accento sull’aiuto all’imprenditoria nelle zone economicamente più dinamiche, riconoscendo le difficoltà della popolazione delle regioni un tempo controllate dai guerriglieri a superare l’ostacolo dell’accordo di pace “imposto” e offrendo una seconda possibilità attraverso la sua elezione, mantenendo una postura rigida nei confronti del vicino Venezuela e assicurandosi così il supporto delle popolazioni costrette a vivere con una migrazione destabilizzante.
Fig. 1 – Il presidente eletto Ivan Duque
2. DA SANTOS A DUQUE, PASSANDO PER URIBE
La vittoria di Duque, però, è da considerarsi un successo del vero uomo forte della politica colombiana: Uribe Vélez. Presidente della Repubblica dal 2002 al 2010, l’attuale senatore ha una grande influenza che esercita sull’opinione pubblica e a livello politico. Dopo aver guidato il Paese per otto anni, nel 2010 Uribe sostenne il suo delfino politico, Juan Manuel Santos Calderón. L’intesa tra i due si incrinò definitivamente con le negoziazioni e l’accordo di pace tra il governo colombiano e l’organizzazione Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC). Mentre a Cuba si trattava, Uribe si dichiarava contrario a qualsiasi accordo. Santos, che è stato successivamente insignito del Premio Nobel per la Pace proprio per i suoi sforzi e successi diplomatici, ha subito poi la cocente sconfitta al referendum dell’ottobre 2016, che riguardava proprio il futuro dell’accordo di pace. Uribe appoggiava il NO, e vinse.
Non mancano i dubbi riguardo alla futura Presidenza. Duque dovrà fare i conti con problematiche complesse e la sua inesperienza preoccupa maggiormente se si teme che, in realtà, Duque sia guidato dal banco del Senato di Álvaro Uribe. Impossibile prevedere il futuro, certo è che dalla convergenza d’interessi tra Uribe e Duque si capirà quanto questa Presidenza possa soddisfare le attese degli elettori. Il pericolo per il neo-Presidente è di vedere la propria popolarità distrutta da uno scontro aperto con il proprio mentore, com’è accaduto a Santos.
Fig. 2 – L’ex presidente Uribe
3. GUSTAVO PETRO, DALLA GUERRIGLIA ALLA PRESIDENZA SFIORATA
Gustavo Petro è la novità di queste elezioni presidenziali. La sua figura non è nuova per l’opinione pubblica, che ha avuto modo di valutarlo come candidato già nel 2010, quando arrivò quarto con il 9,15% delle preferenze per il Polo Democrático Alternativo. Ex guerrigliero del gruppo armato M-19, quello che tentò di occupare il Palacio de la Justicia di Bogotá provocando molte vittime, e che terminò la sua attività con la consegna delle armi nel 1990 e l’accordo di pace con lo Stato colombiano, Petro ha abbandonato la lotta armata per dedicarsi alla politica istituzionale. Consigliere municipale, deputato, poi senatore per il Polo, è diventato sindaco di Bogotá con la piattaforma Bogotá Humana, trasformata in Colombia Humana per le presidenziali.
In realtà, la storia personale del candidato colombiano è meno importante dei dati che ci ha consegnato il primo turno delle presidenziali colombiane 2018. Se nel 2010 Petro aveva contato su 1.329.512 voti, il 27 maggio ne ha incassati 4.850.639, che rappresentano il 25,09% dei voti espressi. Al secondo turno ha aggiunto tre milioni di voti. Il Palacio de Nariño non è mai stato così a portata di mano di un candidato che guarda chiaramente a sinistra, e che ha una spiccata attitudine al populismo. Mentre la maggior parte dei Paesi sudamericani era affascinata e trascinata dall’ondata progressista del primo decennio del XXI secolo, la Colombia ha sempre eletto Presidenti conservatori o liberali. A distanza di otto anni, il fatto che Petro sia stato capace di portare al secondo turno la sua candidatura con un programma che propone delle grandi riforme a livello nazionale ed economico che s’inquadrano in una grande discontinuità rispetto ai Governi precedenti, la dice lunga sull’evoluzione. In Colombia, si è creato uno spazio a sinistra che ha forme e figure distinte, ma che inizia a credere veramente nelle proprie possibilità di crescita e futura vittoria.
Figure come quella di Sergio Fajardo e Gustavo Petro rappresentano movimenti, speranze, progetti che vanno nel segno della discontinuità rispetto al passato. I dati parlano chiaro: i voti del primo turno di Fajardo e Petro, insieme, arrivano al 48,82% e sfiorano l’elezione diretta al primo turno. Attenzione però, questi due candidati hanno incarnato in queste elezioni due anime politiche con più punti di differenza che in comune. Ciò che vogliamo rilevare è che un discorso alternativo alle politiche degli ultimi anni, in Colombia, è possibile. Qualcosa si sta muovendo.
Elena Poddighe
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Il discorso della vittoria di Duque, qui, e la risposta del capo delle FARC, qui.[/box]