In 3 sorsi – In Uganda una donna su cinque ha subito violenze. Una difficile realtĂ che sta spingendo le donne a scendere in piazza per chiedere piĂą diritti e piĂą sicurezza.
1. WOMEN’S LIVES MATTER: LA PROTESTA DELLE DONNE UGANDESI
Il 30 giugno le donne ugandesi sono scese nuovamente in piazza per sensibilizzare l’opinione pubblica e i leader politici sulla necessitĂ di affrontare con urgenza e in maniera sistematica le gravi violazioni dei diritti che vivono le donne nel Paese. PiĂą di una donna su cinque di etĂ compresa tra i 15 e i 49 anni ha subito un qualche tipo di violenza sessuale nel corso della sua vita. Molte delle violenze sono consumate in ambiente domestico, sopratutto in aree rurali dove il basso tasso di scolarizzazione e i matrimoni precoci aumentano la vulnerabilitĂ delle donne alle quali sono presentate poche possibilitĂ di emancipazione. Le violenze di genere possono avere conseguenze devastanti per la vita delle donne che si ritrovano molto spesso ad affrontare gravidanze indesiderate, aborti praticati in condizioni non sicure e il rischio di contrarre malattie sessualmente trasmissibili. La manifestazione di Kampala chiede piĂą sicurezza per le donne – solo nell’ultimo anno ci sono stati 20 femminicidi nella capitale – ma sopratutto una risposta concreta da un governo che si è visto piĂą volte portavoce di un modello patriarcale che vede nelle donne delle cittadine di serie b e che difende un sistema di corruzione capillare che perpetua un accesso ineguale alle risorse e, molto spesso, un’applicazione selettiva della legge.
Fig. 1 – La Women’s March tenutasi a Kampala il 30 giugno 2018 per protestare contro l’escalation di violenze, omicidi e sequestri perpetrati contro le donne
2. LA LEGGE ANTI-PORNOGRAFIA E LA STIGMATIZZAZIONE DELLA DONNA
La Costituzione dell’Uganda riconosce pieni diritti alle donne e negli ultimi anni molti sono stati gli sforzi per rimuovere gli ostacoli che impediscono di ridurre il gap di genere che affligge il Paese. La legge contro le violenze domestiche (2010), così come quella contro le mutilazioni genitali femminili (2010), sono state accolte con entusiasmo nel panorama internazionale. Il quadro positivo è completato dalla presenza di donne nel panorama politico nazionale e di un movimento femminista piuttosto attivo. L’impatto di leggi “progressiste” e l’impegno di molte donne nella vita sociale e politica del Paese non sembrano però essere sufficienti a incidere sul volto dell’Uganda dove pratiche tradizionali e una narrativa patriarcale che sovrappone l’identitĂ femminile a quella della moglie ubbidiente e virtuosa relegano le donne in una posizione subordinata. La retorica di molti politici contribuisce a rafforzare l’idea di una cittadinanza duale dove gli uomini si sentono legittimati a giudicare e controllare i comportamenti delle donne. Esemplificativo di ciò è il tentativo nel 2014 di introdurre attraverso la legge anti-pornografia il divieto per le donne di indossare abiti considerati inadatti e provocatori. Anche se questa proposta non è stata accolta dal parlamento ha sicuramente rafforzato la narrativa che vede nel modo di porsi troppo provocante delle donne una delle cause – se non quella principale – che portano a molestie e violenze. Qualsiasi comportamento che non rientri nell’immagine della donna modello viene così stigmatizzato e in qualche modo si assiste a una normalizzazione della violenza per combattere le devianze.
Fig. 2 – L’attivista femminista ugandese Stella Nyanzi durante una protesta contro la gestione dei casi di femminicidio e sequestro di donne a Kampala, 5 giugno 2018Â
3. CORRUZIONE, LAND GRABBING E ACCESSO ALLE RISORSE
La violenza sulle donne in Uganda non passa solo per i loro corpi. Sono moltissime ad esempio le donne che dopo la morte dei mariti si vedono negare il riconoscimento dei propri diritti sulla terra a causa della redistribuzione effettuata dai capi locali che, ignorando sia le leggi nazionali che il diritto consuetudinario i quali non negano assolutamente l’accesso alla terra per le donne, prediligono sempre gli eredi maschi. Poche donne hanno le risorse finanziarie per ricorrere ai mezzi giudiziari per far valere i propri diritti e, anche quando riescono ad adire le corti, molto spesso le sentenze emesse in loro favore sono ignorate dai leader locali. A ciò si aggiunge la complicitĂ delle forze dell’ordine che molto spesso preferiscono ignorare le denunce delle donne in cambio di denaro. Non mancano i gruppi di donne che lottano per il riconoscimento e il rispetto di questi diritti. Un percorso molto lungo dove non bastano riforme legislative e programmi di inclusione ed empowerment, ma piuttosto occorrerebbe una vera rivoluzione delle relazioni di genere.
Marcella Esposito