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Cosa dicono i dati dei flussi migratori nel Mediterraneo nel 2021

5 domande e 5 risposteTutto sembra tornare alla “normalità” quando nel dibattito pubblico rientra il tema delle migrazioni. Eppure ancora lo si fa senza considerare i dati reali. Cinque domande e cinque risposte per capire come stiano davvero le cose oggi.

Le recenti sentenze sulla nave Mare Jonio e sulla Sea Watch sono state colte da molta meno attenzione mediatica rispetto alle accuse che vennero rivolte loro anni fa quando partirono le indagini. Altrettanta poca attenzione rimane rivolta alla questione migratoria in generale, che viene messa in risalto generalmente solo in occasioni di episodi particolari o di uso politico della stessa. Tuttavia essa mantiene caratteristiche di continuità e di strutturalità che rendono necessario continuare a osservarla per comprendere se le sue dinamiche siano costanti o in cambiamento.
Proviamo a farlo con 5 domande e 5 risposte, concentrandoci, come in passato, sulla migrazione attraverso il Mediterraneo, che abbiamo osservato anche in passato, in quanto risulta essere quella (a torto o a ragione) maggiormente discussa nel nostro Paese. Useremo, come in precedenza, i dati dell’UNHCR, che fornisce mappe e grafici di più semplice lettura (al netto di piccole differenze specifiche, andamenti analoghi sono comunque osservabili usando dati come quelli dell’IOM).

1. I flussi verso l’Europa attraverso il Mediterraneo sono aumentati in questi anni?

No. I flussi verso l’Europa attraverso il Mediterraneo hanno avuto una progressiva e continua riduzione dal 2015 (quando ci fu il picco di arrivi, in gran parte dovuto ai profughi dalla Siria) al 2020. Il 2021 vede numeri (al 24 ottobre) circa in linea con quelli del 2020 con un probabile leggero rialzo. L’Italia rimane la nazione di arrivo principale, seguita dalla Spagna e, con numeri notevolmente ridotti, la Grecia (a causa degli accordi con la Turchia). Per capire l’entità dei flussi attuali, basti considerare che essi sono superiori a quelli pre-2014, ma decisamente inferiori rispetto a quelli della crisi 2014-2017.

Fig. 1 – Flussi nel Mediterraneo | Fonte: UNHCR

2. La dinamica si ripercuote anche nei decessi di migranti?

Per un ovvio effetto transitivo (meno attraversamenti, meno morti) il trend della riduzione dei decessi segue un andamento analogo, ma negli ultimi 2 anni appare essersi sostanzialmente stabilizzato o addirittura in leggero aumento. E, per ricordare che non stiamo discutendo solo di statistiche ma di vite umane, occorre rimarcare che si parla comunque di oltre un migliaio di morti in mare all’anno – senza contare i soprusi e le violenze che accadono prima che i migranti partano, in particolare in Libia: fatti ampiamente documentati.

Fig. 2 – Arrivi e morti nel Mediterraneo dal 2014 al 2020 | Fonte: UNHCR

Il confronto sopra riportato però nasconde anche un altro aspetto. Se i numeri assoluti appaiono in calo, diversa è la percentuale di morti rispetto agli arrivi. La progressiva criminalizzazione dell’accoglienza e del soccorso ha portato alla chiusura delle rotte terrestri tra Turchia e Grecia, bloccato in gran parte quella marittima attraverso l’Egeo (pericolosa, ma meno della più lunga rotta centro-mediterranea) e in generale prodotto una riduzione sensibile degli interventi di salvataggio in mare dal 2016 a oggi.
Questo ha a sua volta portato a una sproporzione: a fronte di un decimo di arrivi in meno rispetto al 2015, i morti nel 2020 sono stati poco meno della metà. Nel 2021 si stanno presentando proporzioni analoghe al 2020 o – in proiezione a fine anno – leggermente superiori. In pratica, oltre ad autorizzare de facto la brutalizzazione dei migranti nei Paesi di transito, le politiche europee sull’immigrazione hanno da un lato contribuito a ridurre (non fermare) i flussi e dall’altro reso le rotte molto più pericolose.

3. Gli arrivi in Italia seguono lo stesso andamento?

A grandi linee il trend degli arrivi specificatamente verso l’Italia segue dinamiche analoghe fino al 2019 a causa degli accordi del 2017 dell’allora Ministro degli Interni Marco Minniti con le fazioni libiche, salvo vedere un incremento progressivo tra 2020 e 2021 proprio a causa del graduale peggioramento della situazione in Libia (che ha ridotto la sua capacità di filtro per lotte interne) e in Tunisia.
Se da un lato può sembrare insolito un aumento degli arrivi in una situazione di pandemia, va ricordato che il confine marittimo risulta non solo essere – per ovvi motivi geografici – il più poroso, ma anche che esistono elementi specifici della situazione italiana: in particolare la vicinanza con la Tunisia. Non è infatti un caso che la maggior parte dei migranti oggi in arrivo in Europa siano tunisini e la quasi totalità arrivino proprio in Italia, come vedremo nel prossimo paragrafo.

Fig. 3 – Arrivi e morti nel Mediterraneo dal 2014 al 2020 | Fonte: UNHCR

4. Da dove provengono i principali gruppi di migranti che hanno raggiunto l’Italia negli ultimi anni?

È qui che si osserva la principale modifica rispetto al passato. Se tra 2014 e 2017 siriani (in fuga dal loro Paese in guerra), nigeriani (situazione socioeconomica compromessa), eritrei e gambiani (entrambe dittature, la seconda terminata nel 2017) erano ai primi posti, osserviamo ora altre nazionalità. In primis la Tunisia (con flussi in aumento dal 2017 almeno), che sconta già da anni una difficile situazione socioeconomica, peggiorata peraltro dalla pandemia e combinatasi negli ultimi mesi con una difficile situazione politica dovuta all’esautorazione del precedente Governo da parte del Presidente Kais Saied. A questo si lega la situazione geografica, data la vicinanza tra Italia e Tunisia che permette l’attraversamento dello Stretto di Sicilia in maniera più rapida e meno rischiosa anche con piccole imbarcazioni sia indipendentemente sia tramite l’opera di trafficanti.

Fig. 4 – Nazionalità in arrivo in Italia dal 1° gennaio a 30 settembre 2021 | Fonte: UNHCR

5. Come si stanno modificando le rotte migratorie nel Mediterraneo?

Come abbiamo spiegato in passato i flussi migratori sono come l’acqua che scorre: seguono i percorsi di minor resistenza e, dove non esiste sfogo, si accumulano e costringono chi chiude ad “aprire le valvole” prima che scoppi. L’effetto diga di cui parlammo anni fa si presenta proprio nella progressiva opera di “ricatto” che i Paesi diga operano nei confronti dell’Unione Europea e nel verificarsi di quanto dicevamo allora: come avevamo ipotizzato, “entro 3-5 anni il sistema rischia comunque il collasso o l’inefficienza perché non sono state fermate le dinamiche alla base che portano le persone a migrare”. Non si è avuto nessun collasso, ma l’effetto di inefficienza si è verificato nel fatto che i flussi permangono e le dinamiche di origine rimangono quelle prioritarie nel determinare il fenomeno.
Al tempo stesso la permeabilità delle “dighe” esiste perché sia le politiche europee sia le dinamiche nei Paesi di transito creano ciclicamente ostacoli o permettono l’apertura di nuovi percorsi. Queste variazioni possono essere molto complesse e dovute alla sovrapposizione di più concause differenti da zona a zona, come spiegato ad esempio dal GI-TOC (Global Initiative Against Transnational Crime). Tali aspetti possono determinare il successo o il fallimento di ogni iniziativa europea al riguardo e confermano come i flussi migratori siano dinamici e mutevoli – una realtà che l’opinione pubblica europea sembra far fatica a cogliere appieno, nella errata convinzione che sia possibile fermarli dicendo semplicemente “non li vogliamo”. Il dibattito pubblico al riguardo rimane pertanto ancora troppo lontano dalla realtà.

Lorenzo Nannetti

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Perchè è importante

  • I flussi migratori nel mediterraneo hanno visto un progressivo calo dal 2015 al 2020.
  • Contemporaneamente la pericolosità delle rotte è cresciuta a causa del fenomeno della criminalizzazione dell’accoglienza e del salvataggio.
  • Anche le nazioni di origine sono variate, sia a causa delle modifiche dei flussi nei Paesi di transito sia del peggioramento delle situazioni socioeconomiche in Paesi specifici come la Tunisia.
  • La modifica delle rotte migratorie dipende da dinamiche a sud del Mediterraneo più che da quello che succede in mare.
  • Il dibattito pubblico italiano ed europeo sul tema rimane spesso immaturo.

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Lorenzo Nannetti
Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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