In 3 sorsi – La Francia disloca i propri soldati dal Mali al Niger per continuare a mantenere il controllo della regione in cooperazione con gli altri Stati europei. Lo spostamento delle truppe favorisce la presenza sino-russa in Mali.
1. LA DECISIONE DI MACRON
Tra giugno e settembre di quest’anno i 2.400 soldati della Task Force francese Berkhane stanziati nel Mali si ritireranno, andando invece a rafforzare la loro presenza in Niger. Questa è la decisione presa dal Presidente Macron qualche giorno fa, in seguito all’escalation delle tensioni tra Bamako e Parigi. I rapporti tra l’Eliseo e la giunta militare salita al potere dopo il colpo di Stato del 2020, stavano infatti deteriorandosi da tempo per diversi motivi, tra cui la decisione di rimandare le elezioni previste in Mali per il febbraio 2022 al 2025 e la recente espulsione dell’ambasciatore francese dal Paese con un preavviso di 72 ore lo scorso 31 gennaio. In particolare il sentiment generale di avversione da parte della popolazione e la decisione del Governo maliano di firmare un contratto con i mercenari russi del Gruppo Wagner per il loro dispiegamento sul territorio sono stati deleteri per i rapporti bilaterali. La Francia dunque lascia il Mali, ma non il Sahel. Macron infatti ha affermato che continuerà a supportare l’operazione MINUSMA delle Nazioni Unite, dal momento che riportare la stabilità nel Sahel e combattere il terrorismo jihadista è uno dei principali obiettivi della politica estera europea.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Le forze speciali francesi durante l’addestramento di militari maliani, nel contesto della task force Takuba
2. UN BILANCIO SULLA PRESENZA DELLE TRUPPE FRANCESI
Dopo nove anni di intervento militare, al momento del ritiro il bilancio delle operazioni francesi ed europee in Mali non può ritenersi del tutto positivo. Giunte nel 2013 su richiesta del Governo locale per contenere le ribellioni dei Tuareg e la minaccia terroristica dei gruppi affiliati ad al-Qaida con l’Operazione Serval, le truppe francesi insieme al G5 Sahel hanno ampliato nel 2014 il loro intervento a livello regionale con l’Operazione Barkhane, nella quale dal 2020 è stata integrata la task force europea Takuba. In Mali invece, al fianco dei francesi, sono intervenuti anche i caschi blu dell’ONU, con il contingente MINUSMA. La massiccia presenza militare tuttavia non ha impedito l’aggravarsi del disastro umanitario della regione, anzi ne è stata una concausa insieme alla debolezza dei Governi della regione e alla diffusione del jihadismo. Le truppe europee non sono riuscite a contenere la minaccia terroristica e a garantire la tutela dei diritti umani, violata a volte dagli stessi contingenti internazionali. Il risultato è stato dunque l’aumento delle ribellioni e del malcontento popolare, soprattutto nei confronti della Francia, la cui presenza è spesso ritenuta in continuitĂ con il passato coloniale. Negli ultimi periodi le proteste si sono intensificate e i cittadini maliani sembrano appoggiare la decisione del Governo militare di transizione di favorire la collaborazione con il Cremlino piuttosto che con l’Eliseo.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Un incontro tra l’ex Ministro degli Esteri del Mali Abdoulaye Diop e il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, Mosca, novembre 2021
3. POSSIBILI SCENARI FUTURI
Il Sahel rimane una prioritĂ per la politica strategica europea, al fine di contenere i flussi migratori e la minaccia jihadista. Tuttavia, considerando che la fine dell’Operazione Berkhane e le incertezze sulla task frica Takuba stanno causando anche il ritiro degli altri contingenti europei dal Mali, una maggiore responsabilitĂ sul coordinamento della presenza militare potrebbe passare alle Nazioni Unite., mentre il nuovo pivot francese potrebbe spostarsi sulla regione dei Paesi del Golfo di Guinea. Nel Sahel invece sono ormai emersi due nuovi attori, entrambi invitati a gran voce dagli stessi Stati africani: la Russia e la Cina. In Mali sono giĂ arrivati i mercenari del Gruppo Wagner e il Direttore generale della Polizia nazionale ha ricevuto l’ambasciatore cinese per rafforzare “una cooperazione dinamica e reciprocamente vantaggiosa”. Il ritiro occidentale sembra dunque favorire la presenza russo-cinese in un’area strategica, nonostante la consapevolezza dell’importanza della regione per le prospettive europee.
Alessandra De Martini
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