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L’Indo-Pacifico alla prova dell’Ucraina (I): intervista a Lorenzo Lamperti

Le interviste del CaffèLa guerra tra Russia e Ucraina ha scosso anche l’Indo-Pacifico, costringendo le varie potenze della regione a prendere posizione sul conflitto e a ricalcolare i loro interessi strategici. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Lamperti, corrispondente da Taipei per China Files.

Buongiorno dott. Lamperti, la ringrazio per il tempo che mi ha messo a disposizione. Vorrei iniziare l’intervista proprio partendo da un tema di stretta attualità, la crisi in corso tra Ucraina e Russia. Come viene vista questa situazione dalla prospettiva di Taipei?

Innanzitutto, vorrei partire con una premessa: Taiwan non è l’Ucraina e la Cina non è la Russia, e la stessa postura statunitense nei confronti di Kiev non è la medesima che viene tenuta nei confronti di Taipei. Questi sono elementi essenziali da cui bisogna partire, in modo da chiarire che le due situazioni non sono direttamente collegate. Di certo, citando la stessa Presidente Tsai Ing-wen, il Governo taiwanese ha espresso fin da subito “empatia” nei confronti dell’Ucraina. Questo in virtù di una parziale somiglianza situazionale, secondo la quale sia Kiev che Taipei sono poste molto in prossimità di un vicino più grande e potente che, nei loro confronti, avanza rivendicazioni di tipo politico o territoriale. Le somiglianze, in realtà, terminano qui. Le situazioni sono decisamente diverse, e lo sono per una molteplicità di motivi. In primis, Taiwan viene considerata dalla Repubblica Popolare Cinese come parte integrante del suo territorio, e questo fattore è fondamentale in quanto ci aiuta bene a capire quanto le differenze tra lo scenario ucraino e quello taiwanese siano ampie. Le stesse autorità di Pechino hanno più volte ricordato all’Occidente, e tra le righe anche ai russi, la sostanziale diversità esistente tra la relazione Kiev-Mosca e quella Pechino-Taipei. Mettendo bene in evidenza il rispetto per l’integrità territoriale della totalità dei Paesi membri delle Nazioni Unite, de facto la Cina ha lanciato dei messaggi ben precisi: da un lato ha implicitamente dichiarato come la Russia – e dunque anche l’Ucraina – sia già un Paese territorialmente compiuto, mentre dall’altro, in considerazione del fatto che Taiwan non possiede un seggio all’ONU, ha sottolineato come le sue rivendicazioni sul territorio amministrato dal Governo taiwanese siano nella sua prospettiva più legittime rispetto a quelle russe sull’Ucraina. Inoltre, la Repubblica Popolare ha più volte dichiarato di essere l’unico Paese all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a non avere ancora raggiunto l’unificazione territoriale, ad ulteriore riprova del fatto che considera già territorialmente compiuti tutti gli altri. Anche da parte americana, comunque, i due scenari vengono visti in maniera decisamente differente. Si tenga solo in considerazione il fatto che per gli Stati Uniti l’Ucraina rappresenta il sessantasettesimo partner commerciale, mentre Taipei occupa la nona piazza. Gli interessi economici, tuttavia, non sono certamente gli unici ad essere in gioco: Taiwan è importante non solo in considerazione della rilevanza che detiene nel comparto dell’industria dei semiconduttori, ma anche in virtù della sua posizione di preminenza all’interno della strategia americana nel quadrante Indo-Pacifico. C’è anche un ulteriore aspetto, caricato di un forte significato simbolico: ad oggi, Taipei rappresenta l’esempio migliore di democrazia asiatica, e questo motivo gioca un ruolo estremamente importante nel confronto retorico tra Washington e Pechino. Venendo poi alla situazione che caratterizza internamente Taiwan, esiste la consapevolezza che semmai la Cina dovesse decidere di intervenire, evidentemente lo farebbe a prescindere da quanto sta avvenendo in Ucraina. Nondimeno, il Governo taiwanese sta sfruttando la crisi in atto come espediente per “spronare” la popolazione. Una buona parte dei taiwanesi non pensa che si possa effettivamente verificare un conflitto con la Repubblica Popolare, e ciò rappresenta un elemento di criticità per l’attuale esecutivo al potere. Si teme, infatti, che manchi la prontezza necessaria a combattere, a contrastare una ipotetica manovra militare di Pechino. Questo spiega l’operato dell’esecutivo, che cerca di sensibilizzare la popolazione relativamente al fatto che una situazione di crisi (ed eventualmente anche di conflitto) potrebbe, un giorno, verificarsi anche a Taiwan. Detto questo, nessuno a Taiwan traccia una linea diretta tra la situazione domestica e la crisi in atto in Ucraina. Lo stesso Ministero della Difesa taiwanese ha dichiarato che le due situazioni non sono correlate in alcun modo. Tra l’altro, tra pochi mesi si terrà il XX Congresso del Partito Comunista Cinese, motivo per cui si ritiene praticamente impossibile che ci possa essere un’azione militare della Repubblica Popolare nei prossimi mesi, o comunque nel breve periodo.

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Fig. 1 – Il premier taiwanese Su Tseng-chang tiene un intervento al Parlamento di Taipei sulla crisi tra Russia e Ucraina, 1 marzo 2022

Quali sono le relazioni che ci sono tra la Russia e Taiwan? Apparentemente, Mosca sembra avere classificato Taiwan come Paese non amichevole. Questo cosa implica?

Questa posizione è stata molto commentata negli ultimi giorni, ma in realtà c’è una inesattezza di fondo. La lista russa, infatti, integra Paesi e territori. Taiwan per la Russia è un territorio, quindi non c’è nessuna contraddizione tra la posizione russa pre-crisi e quella attuale. La Russia non considera Taiwan un Paese, ergo non c’è nessun tipo di messaggio rivolto alla Repubblica Popolare. Tutti gli stati al mondo tranne 15 non riconoscono la Repubblica di Cina in quanto Paese, e si riferiscono ad essa proprio utilizzando il termine “territorio”.

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Fig. 2 – Riservisti taiwanesi impegnati in un’esercitazione nella base di Taoyuan, 12 marzo 2022

Lei pensa che la crisi in corso possa condizionare le dinamiche imperanti nel quadrante Indo-Pacifico? Partiamo, ad esempio, dal considerare Giappone e Corea del Sud. Come giudica le posizioni di questi Paesi in riferimento alla situazione contingente?

A mio avviso gli avvenimenti ucraini stanno fungendo da moltiplicatore, in Asia, di una serie di tendenze che si erano già viste velocizzarsi con il Covid-19. Riferendoci al Giappone, sappiamo che già da diversi anni la sua posizione nei confronti della Repubblica Popolare si mostra molto più assertiva, molto più “vocale” in un certo senso. Pensiamo al programma “China Exit”, che invitava un numero sempre maggiore di aziende giapponesi presenti in Cina a ritornare in patria, se non, per lo meno, a delocalizzare in altri Paesi del Sud-est asiatico. Ma ancora, la rinnovata assertività giapponese nei confronti della Cina si può vedere in una molteplicità di altri dossier. Ricordo l’annuncio fatto da Kishida in campagna elettorale relativamente all’istituzione di una posizione governativa dedicata esplicitamente allo scottante tema dei diritti umani, con un occhio evidentemente teso verso Xinjiang ed Hong Kong. Ancora, per l’ottavo anno consecutivo abbiamo visto un sostanzioso incremento nel budget militare giapponese, così come importanti sono state le visite di Austin e Blinken, che hanno utilizzato Tokyo come palcoscenico dal quale attaccare duramente Pechino. Tra l’altro, proprio a seguito della crisi tra Russia e Ucraina, abbiamo visto il Giappone chiedere esplicitamente agli Stati Uniti di rompere gli indugi sui suoi impegni difensivi nell’area. L’ex premier Abe, sfruttando la situazione europea, ha chiesto a Washington di abbandonare il concetto di “ambiguità strategica”, che ad oggi è il fulcro attorno al quale è costruito il rapporto tra Washington e Taipei, per andare sempre più verso una nuova “chiarezza strategica”. In relazione alla Corea del Sud, invece, la recente vittoria di Yoon alle elezioni presidenziali potrebbe in qualche modo “giapponesizzare” la postura sudcoreana. Se il Governo democratico del precedente Presidente Moon si mostrava molto più aperto ad una prospettiva di dialogo con Pyongyang ed esibiva una posizione non ostile alla Repubblica Popolare in virtù del ruolo strategico rivestito da Pechino nel dipanamento delle tensioni tra le due Coree, sembra che la tendenza di questo nuovo esecutivo sia volta, seppur cautamente, a porsi in maggiore continuità con le posizioni giapponesi. Ritengo tuttavia che sia molto affrettato pensare che la Corea del Sud possa effettivamente partecipare in maniera attiva ad iniziative come il Quad, quantomeno nel breve-medio periodo. Teniamo sempre in considerazione che per quanto Yoon abbia, tra le altre cose, cavalcato il sentimento anticinese in campagna elettorale, effettivamente bisogna vedere se alla retorica politica seguiranno poi azioni concrete, anche in considerazione del profondissimo legame che esiste tra le economie coreana e cinese. Ad ogni modo quello che possiamo registrare è un maggiore riavvicinamento di Seoul agli Stati Uniti, ed una rafforzata volontà di allontanarsi dal dialogo con Pyongyang. Di riflesso, quindi, è quantomeno pensabile un maggiore coinvolgimento di Seoul in funzione anti-Pechino. Questo è sicuramente un fattore di discontinuità con la Presidenza passata, che negli scorsi anni aveva avuto diverse frizioni con l’amministrazione Trump, specialmente in materia di spese militari. Trump, ad esempio, aveva chiesto a Seoul di impegnarsi per aumentare del 400% delle spese militari. Ma al netto di tutto questo, si tenga presente una cosa: se è ipotizzabile, in futuro, un atteggiamento coreano nei confronti di Pechino che sia meno accomodante rispetto al passato, è pur vero che la minaccia più prossima alla sicurezza nazionale di Seoul non è rappresentata dalla Repubblica Popolare, ma dalla Corea del Nord. E, volenti o nolenti, i sudcoreani sanno di avere bisogno dei cinesi per risolvere questo problema. Al contrario, minaccia diretta alla sicurezza nazionale di Tokyo è senza dubbio Pechino. Pericolo nordcoreano a parte, il Giappone è allarmato dalla costante crescita militare cinese, e considera decisamente più rilevanti i dossier inerenti Taiwan e le rivendicazioni territoriali cinesi nel Mar Cinese Orientale, che includono anche le isole Senkaku. La differenza tra Giappone e Corea, come si può vedere, è abbastanza forte.

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Fig. 3 – L’ex premier giapponese Shinzo Abe insieme al Presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy nel 2019

Quindi, tirando le somme, la crisi in Europa sta avendo nel quadrante Indo-Pacifico un effetto accelerante.

Sì, e l’esempio più lampante è dato proprio dalla dichiarazione dell’ex premier giapponese Abe, che incita gli Stati Uniti ad abbandonare definitivamente il concetto di “ambiguità strategica”. Tuttavia, è una novità che il Giappone stesse andando in questa direzione? No, decisamente no. È da anni che lo sta facendo. Quindi personalmente non credo che la guerra in Ucraina abbia cambiato in maniera clamorosa le dinamiche che sono presenti qui. Può averle forse accelerate, questo sì, ma non ne ha ribaltato l’evoluzione.

E l’India invece?

L’India ha bisogno degli americani in chiave anticinese, ma sulla questione Ucraina si è mossa in linea con la sua postura tradizionale. Non ha condannato l’invasione di Mosca, non si è aggregata a sanzioni di nessun tipo e ad oggi risulta essere un importante acquirente di armamenti russi. Essenzialmente Delhi sta puntando sul fatto che gli americani necessitano di lei per ragioni strategiche, e ha sfruttato ciò per ricavarsi uno spazio di manovra che le consente di non essere obbligata ad imporre sanzioni o a prendere misure offensive nei confronti dei russi.

Francesco Lorenzo Morandi

(Qui la seconda parte)

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  • La guerra in Ucraina ha scosso anche l’Indo-Pacifico, costringendo le varie potenze regionali a prendere posizione e a ricalibrare i propri interessi strategici. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Lamperti di China Files.

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Francesco Lorenzo Morandi
Francesco Lorenzo Morandi

Dopo un percorso accademico presso la facoltà di Ingegneria Aerospaziale, mi sono recentemente laureato in Scienze della Mediazione Interlinguistica e Interculturale presso il Dipartimento di Scienze Teoriche e Applicate dell’Università degli Studi dell’Insubria (con Cinese ed Inglese come lingue di specializzazione). Dal dicembre 2020 collaboro con il Caffè Geopolitico scrivendo per il Desk Asia, ma la mia passione per la politica internazionale mi ha portato a pubblicare articoli anche per il Centro Studi “Geopoltica.info” ed il blog “China Files”.

Oltre alle attività redazionali, presso il Centro Studi “Geopolitica.info” ho anche svolto un tirocinio curricolare che mi ha visto impegnato in compiti di ricerca di materiale, gestione del sito, produzione di podcast, montaggio video e di creazione di contenuti social di vario genere (specialmente per le piattaforme LinkedIn, Facebook, Instagram, Twitter e TikTok). In parallelo con le attività del Desk Asia, svolgo mansioni similari anche per Il Caffè: nello specifico, insieme al team comunicazione, mi occupo della creazione di contenuti per le pagine Instagram e Facebook della testata.

Attualmente frequento il corso di Laurea Magistrale in Studi dell’Africa e dell’Asia presso l’Università degli Studi di Pavia.

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