Analisi – Il conflitto ucraino ha evidenziato la necessitĂ di dare prioritĂ alla sicurezza energetica, che richiederĂ una riduzione della domanda di combustibili fossili e una diversificazione dell’offerta a breve termine.
LA NUOVA CRISI ENERGETICA
L’inaspettato fallimento dell’intesa diplomatica statunitense ed europea nello scoraggiare l’invasione russa dell’Ucraina ha convinto i leader europei a ridurre la dipendenza dalle esportazioni russe di gas naturale e petrolio, pur coscienti che eventuali soluzioni continuano a non essere semplici né rapide. Ad oggi Mosca è ancora il più grande fornitore combinato mondiale di petrolio e gas: produce il 17% di tutto il gas naturale e il 12% del petrolio mondiale, fornendo circa il 40% del gas naturale dei Paesi dell’UE.
Anche se le attuali sanzioni imposte alla Russia non erano rivolte inizialmente a colpire il commercio di energia, le misure adottate hanno posto in essere un serio ostacolo nei confronti delle esportazioni russe di energia, causando la crisi dei mercati energetici globali. Prima dell’attuale crisi, si era assistito a una lievitazione dei prezzi del petrolio causata dalla riduzione della produzione statunitense, crollata all’inizio della pandemia di Covid-19 e non piĂą tornata ai livelli precedenti. Gli altri principali produttori invece avevano continuato a pompare a ritmi pre-pandemici, causando una riduzione della disponibilitĂ residua nei mercati petroliferi globali che potrebbe essere compensata qualora diminuisse il deficit della produzione statunitense o delle attuali esportazioni russe. Inoltre si continua ad assistere alla rapida riduzione delle scorte globali derivata dalla carenza di investimenti nella nuova produzione. Infatti la pandemia ha amplificato la domanda di base del carburante: i consumi di plastica sono incrementati per il crescente uso di mascherine (beni usa e getta) e di vari beni di consumo, mentre parallelamente aumentavano gli acquisti in modalitĂ e-commerce. Si assisteva, al tempo stesso, alla riduzione drastica dell’uso di mezzi pubblici e alla crescita dell’uso delle autovetture di proprietĂ . Il contenimento dei costi derivanti dalla nuova esigenza di petrolio avrebbe richiesto un aumento della produzione al quale non tutti i Governi occidentali si erano dimostrati favorevoli: gli USA si configuravano come uno dei pochi Paesi ad avere una sottoutilizzata capacitĂ di produzione di petrolio, ma le sue attuali politiche contro i combustibili fossili hanno limitato lo sviluppo di nuovi investimenti nella produzione petrolifera. Un altro importante produttore globale potrebbe essere il Canada, ma da anni è alle prese con la congestione degli oleodotti, che ha causato un eccesso di petrolio nei serbatoi di stoccaggio, originando una riduzione dei prezzi e della produzione per drenare le scorte record. Tali riduzioni sono state revocate nel novembre 2021 con il conseguente aumento della produzione, pertanto il Canada potrebbe presto essere in grado di immettere piĂą petrolio sul mercato.Â
Le nuove sanzioni adottate nei confronti di Mosca, sebbene siano state progettate con lo specifico intento di esentare da tali misure le esportazioni russe di gas naturale in Europa, potrebbero comunque causarne una riduzione. Pariteticamente al petrolio il mercato europeo del gas era già in crisi prima del conflitto ucraino quale diretta conseguenza della politica dell’UE, che nella speranza di favorire un maggiore utilizzo delle energie rinnovabili negli ultimi anni aveva optato per l’adozione di una politica “green”, danneggiando gravemente la sicurezza energetica europea e limitando al contempo lo sviluppo della diversificazione degli approvvigionamenti energetici. Nonostante si fosse assicurata nuovi approvvigionamenti di gas, con la costruzione di terminali LNG e il completamento nel 2020 del corridoio meridionale del gas, tali progetti sono risultati essere insufficienti a soddisfare le esigenze energetiche di tutti i Paesi interessati. Inoltre Bruxelles aveva posto in essere una limitazione delle proprie capacità di attingere a forniture di gas, ponendo fine alla maggior parte dei contratti a lungo termine di gas naturale. Infatti i mercati europei rimasti agganciati a questa tipologia di contratti (come Italia e Grecia) sono riusciti a compensare i danni causati dall’attuale crisi energetica, rispetto a quei Paesi che si erano orientati verso il mercato spot del gas, il quale, se inizialmente era risultato applicare prezzi convenienti, successivamente si è rivelato inadeguato a fronteggiare la repentina crescita della domanda (e relativo aumento dei prezzi) iniziata nel 2021. La fine dei contratti a lungo termine e l’aumento del commercio di gas negli hub spot hanno pertanto rafforzato la capacità russa di influenzare i prezzi in quanto principale produttore di oscillazioni, con la capacità di aumentare e ridurre le forniture negli hub.
Come conseguenza diretta del conflitto e dell’avvenuta interruzione, da parte del Cremlino, dei flussi del gasdotto Yamal-Europa verso la Germania (tramite il quale in Europa veniva convogliato circa il 10% delle forniture totali di gas) si è assistito a una intensificazione delle discussioni occidentali tese a organizzare e ricercare fonti di energia alternative. I leader occidentali hanno pertanto preso coscienza della necessità di garantire nuove forniture di gas che possano compensare le esportazioni russe, qualora il conflitto ucraino si dovesse espandere o qualora Putin dovesse decidere di ridurre drasticamente le esportazioni di energia della Russia. Appare evidente che eventuali soluzioni facili e rapide restano elusive, anche se alcuni Paesi hanno fornito la propria disponibilità a contribuire e ad alleviare (ma non risolvere completamente) la crisi energetica europea. In tale situazione gli USA si sarebbero potuti configurare come il Paese con il maggiore potenziale di mitigazione di questa crisi con nuove forniture di petrolio e gas, ma al momento non hanno inviato segnali tesi a porre in essere la compensazione della produzione alle esigenze energetiche causate dal conflitto: la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, fornendo chiarimenti in merito all’impatto che potrebbe avere la crisi ucraina sul prezzo del petrolio, ha precisato la volontà dell’Amministrazione Biden di continuare a concentrare ogni tipo di sforzo sullo sviluppo delle energie rinnovabili. Pertanto non si è assistito né a segnali di aumento della produzione di petrolio e gas, né allo sviluppo delle capacità degli oleodotti statunitensi che consentirebbero l’incremento delle forniture petrolifere canadesi.
Fig. 1 – Una stazione di servizio della Shell a Mosca. Il colosso petrolifero ha annunciato recentemente la sua fuoriuscita dal mercato russo, amplificando gli effetti della crisi energetica provocata dalla guerra in Ucraina
LE SOLUZIONI ENERGETICHE
Probabilmente il contributo statunitense per la riduzione dell’inflazione petrolifera potrebbe risiedere nel rinnovato accordo nucleare con l’Iran, che consentirebbe di immettere sul mercato globale ulteriori barili iraniani. I commercianti di energia sembrerebbero aver preso in seria considerazione l’aspettativa di un aumento delle forniture iraniane, ma si potrebbe configurare come una falsa aspettativa, in quanto il petrolio iraniano disponibile potrebbe essere limitato: negli anni scorsi Teheran ha infatti continuato a commercializzare il proprio combustibile con la Cina. Relativamente alla problematica connessa alla riduzione dei costi del gas naturale, gli USA potrebbero essere il partner naturale per soddisfare l’esigenza energetica, ma al momento il 90% di tutta la produzione viene usata per esigenze nazionali. Pertanto Washington sarà in grado di soddisfare la domanda europea solo in un prossimo futuro, in quanto ha appena concesso nuovi permessi per la costruzione di terminali e per l’esportazione di LNG. Poiché un’offerta diversificata distribuirebbe il rischio, potrebbe anche essere prudente cercare contratti aggiuntivi con fornitori di altri Paesi, come il Qatar, considerato dagli USA come una potenziale fonte di nuovi approvvigionamenti, avendo avviato lavori tesi ad aumentare la capacità di produzione e di esportazione di LNG. A gennaio, infatti, Biden aveva tenuto un vertice con l’Emiro del Qatar mirato a verificare la disponibilità a compensare i gap causati dalle mancate forniture in Europa da parte del Cremlino. Ma le risposte del Qatar non sembrerebbero aver soddisfatto l’interlocutore statunitense, in quanto Doha ha evidenziato le difficoltà a riorientare il mercato globale dell’energia in tempi rapidi, viste le necessità derivanti dall’attuale crisi. Inoltre il 22 febbraio scorso il Ministro dell’Energia del Qatar, Saad al-Kaabi, evidenziava la quasi “totale impossibilità ” da parte del proprio Paese di sostituire le importazioni russe di gas in Europa, soprattutto a causa dei contratti a lungo termine siglati con i maggiori Paesi asiatici.
Tra gli altri Stati della regione, Algeria e Libia sarebbero in grado di aumentare il flusso di gas verso l’Occidente, ma l’instabilità politica li rende partner energetici problematici e i conflitti regionali ne limitano le capacità di aumentare le esportazioni di gas.
Fig. 2 – I partecipanti all’ultimo Forum dei Paesi Esportatori di Gas (GECF), tenutosi in Qatar lo scorso febbraio
COSTI E PROSPETTIVE
Anche se le soluzioni alla dipendenza dell’Europa dalle forniture energetiche russe non sembrano essere facilmente disponibili, la crisi ucraina ha comunque dato slancio al processo teso a rimodellare la politica energetica attraverso lo sviluppo parallelo sia di opzioni a medio e lungo termine che a breve termine. Il processo di diversificazione degli approvvigionamenti “a medio e lungo termine” dovrĂ prevedere un impegno europeo a sottoscrivere contratti fissi a lungo termine, anche qualora questi dovessero risultare potenzialmente costosi a causa dell’incertezza che circonda la domanda di gas. Inoltre l’allontanamento dal carbone provocherĂ un aumento della domanda di gas, essendo un complemento fondamentale delle energie rinnovabili, compensando l’intermittenza e la rigiditĂ di queste ultime. D’altra parte la domanda di gas dovrebbe diminuire qualora l’UE volesse raggiungere i propri obiettivi di emissione. A lungo termine garantire la sicurezza energetica richiederĂ pertanto investimenti massicci in nuove capacitĂ rinnovabili.Â
Qualora l’Europa fosse costretta ad adeguarsi rapidamente, alcune opzioni a breve termine sarebbero disponibili, anche se economicamente poco sostenibili: ad esempio il rapporto REPowerEU della Commissione Europea prevede il reperimento di 50 miliardi di metri cubi dalle importazioni di LNG entro il prossimo anno, ma tale volume è 2,5 volte superiore a quello che sarebbe disponibile secondo quanto stimato dall’International Energy Agency (IEA) e la Commissione, tra l’altro, ha omesso di identificare gli eventuali fornitori. Una possibilità percorribile potrebbe essere la sostituzione del gas con il carbone, alla luce della facilità di approvvigionamento e della forte presenza di centrali elettriche a carbone ancora presenti in Europa. L’IEA ha stimato che questa capacità energetica alternativa potrebbe compensare il fabbisogno di circa 22 miliardi di metri cubi di importazioni di gas dalla Russia, ma questa soluzione potrebbe essere considerata poco percorribile dai responsabili politici, a causa degli enormi costi previsti dal cambiamento climatico, ai sensi di quanto indicato dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico.
I Governi potrebbero valutare la possibilitĂ di sostenere politiche orientate alla domanda, che includano campagne di spegnimento delle caldaie durante i mesi freddi e dei condizionatori d’aria in estate e l’utilizzo monitorato tramite contatori intelligenti. A parte i costi immediati associati, i Governi dovranno valutare effetti piĂą ampi, derivanti dagli effetti negativi della politica sulla produttivitĂ , dagli aumenti smisurati dei prezzi di petrolio e gas e da ulteriori sanzioni in arrivo, che potrebbero causare carenze nell’immediato futuro e innescare un’inflazione significativa e un enorme malcontento popolare, come accaduto nel 1973 e nel corso di altre crisi energetiche.Â
Fabrizio Lombardi
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