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Perché in Ucraina non si raggiunge nemmeno un cessate il fuoco?

Editoriale Perché in Ucraina non si riesce a imporre nemmeno un cessate il fuoco? Perché i contendenti lo vedono molto diversamente da come lo vediamo noi.

Il concetto di “cessate il fuoco” è strettamente legato al processo di pace, ma non solo: esso è infatti anche legato alla situazione militare.

Per capire come questo aspetto risulti poi fondamentale per comprenderne possibilità e limiti, partiamo da una considerazione base: un cessate il fuoco (abbreviamo in CIF per velocizzare la scrittura ogni volta) nelle sue linee base è facile da comprendere, cioè ci accordiamo per smettere di spararci, o comunque di combatterci.

Sembra facile vero? In teoria sì, ma come spesso succede nella pratica no. I CIF sono abbastanza complessi da aver portato alla creazione di una sorta di consorzio internazionale che li studia approfonditamente, costituito da Università di Uppsala, Center for Security Studies (CSS) dell’EZH di Zurigo e Peace Research Institute di Oslo (PRIO). La cosa curiosa è che questi centri studi di fatto si sono concentrati finora principalmente sui CIF relativi a guerre civili e insurrezioni locali… perché guerre tra Stati, prima del conflitto Russia-Ucraina, erano troppo rare e non costituivano casi-studio appropriati. Eppure alcuni aspetti da loro evidenziati si possono provare ad applicare anche ora.

Il concetto di CIF ci appare così banale che non sempre ci rendiamo conto come esso in realtà non comporti solo lo “smettere di spararsi”, ma coinvolga anche tutta una serie di aspetti che ci girano attorno, fondamentali perché un CIF entri davvero in funzione e duri – o non lo faccia. Tanto che

More attention should be paid to the design of ceasefires and the strategic situation in which they are reached, as these factors together shape the expected outcome of ceasefires and their impact on the trajectory of conflict” (G.Clayton, V.Sticher, “Logic of Ceasefires in Civil War”).

Per quello che riguarda noi, che pur essendo indirettamente coinvolti nel conflitto non siamo comunque direttamente sul campo, un CIF è semplicemente un modo per far tacere le armi e dare spazio al negoziato. Vogliamo che i civili abbiano tregua, i feriti ricevano aiuto, la diplomazia un tempo congruo per discutere e raggiungere un accordo, qualunque esso sia. È ragionevole, dal nostro punto di vista. Ma, ripeto, dal nostro punto di vista. Viene visto ugualmente dai contendenti? In realtà no.

Innanzi tutto esistono vari tipi di CIF. Il CSS ne individua tre tipi principali, ma anche limitandoci al primo tipo, la semplice cessazione di ostilità, già esistono varie casistiche: per esempio può essere temporaneo e locale – cessate il fuoco nella singola città per evacuare i civili – o generale – stop ai combattimenti in tutto il Paese.

Già ora si può notare quanto sia difficile far rispettare un cessate il fuoco locale per evacuare dei civili: i corridoi umanitari sono di fatto un CIF limitato nel tempo (per qualche ora) e geograficamente (solo in un’area definita) e richiedono la definizione di tutti questi aspetti e degli accordi per permetterli. Inoltre spesso la mancanza di fiducia (gli altri manterranno i patti?) e la tentazione di approfittare di un CIF (possiamo colpirli mentre pensano di essere al sicuro!) giocano ruoli chiave.

Per un CIF più generale si sommano altre considerazioni. Il problema principale è che noi consideriamo un CIF un qualcosa di intrinsecamente neutrale: si smette di sparare, nessuno si fa più male, crediamo perciò che non aiuti né danneggi nessuno. Semplicemente la cosa si “congela”. Anzi, c’è un aspetto di questo congelamento che è generalmente visto come favorevole per la pace: un cessate il fuoco di fatto aiuta a scollegare un negoziato dalla violenza sul campo di battaglia. Se essa si ferma e si fermano le avanzate, si può ragionare “a bocce ferme”: non c’è rischio di nuove atrocità o di nuove possibilità di conquista che modifichino in corsa la voglia o meno dei protagonisti di trovare un accordo.

Eppure è proprio questo uno dei problemi principali. Se ci fosse un CIF ora, in questo momento, e la situazione sul campo si congelasse nelle posizioni attuali, la cosa non avrebbe un effetto “neutrale”… in realtà aiuterebbe molto una delle parti: l’Ucraina.

Perché? Perché ora la Russia, pur con difficoltà, pensa di poter ancora avanzare e spera di farlo prima che l’arrivo delle armi occidentali cambi gli equilibri sul campo: una pausa permetterebbe agli Ucraini di riposarsi, rinforzare le difese, far giungere le armi (e permettere l’addestramento del personale), fare rotazione dei reparti (sostituendo quelli logorati con altri freschi)… Se il negoziato fallisse e si dovesse riprendere a combattere, ecco quindi che la situazione sul campo non sarebbe più identica a prima del CIF… ma peggiore. Forse fatalmente peggiore (rischio di non aver più possibilità di avanzare).

Vediamo perciò il Segretario Generale dell’ONU Guterres che va a Mosca, chiede che la guerra si fermi e Putin risponde: “Non è ancora il momento”. Dal suo punto di vista è corretto: finché la Russia penserà di aver bisogno di avanzare e penserà di avere chance di farlo, rifiuterà di sospendere i combattimenti, perché ora non ha in mano quasi niente (nemmeno tutta Mariupol) e una tregua aiuterebbe l’Ucraina.

Per questo motivo la Russia potrebbe prendere in considerazione un CIF solo se dovesse vedere esaurita la propria capacità offensiva e valutasse quindi che continuare la guerra costituisce una “alternativa peggiore” al negoziato (ricordate?). Ad esempio nel caso l’Ucraina si sia rafforzata abbastanza da provare a riconquistare le zone occupate.

Questo a sua volta ci porta a domande importanti anche circa la posizione ucraina stessa. Man mano che l’equilibrio sul campo si modifica, paradossalmente potrebbero essere gli Ucraini a pensare che non valga la pena un CIF: per esempio se intendessero contrattaccare e pensassero che una pausa possa aiutare solo i Russi a fortificare le zone occupate.

Esiste perciò un problema di fiducia nello strumento stesso: un CIF infatti non è solo un mezzo per fermare il conflitto… i partecipanti possono vederlo anche come mezzo per, ad esempio, preparare la prossima fase della guerra stessa.

Dipende insomma – lo spiegano molto bene vari studi sul tema – anche dagli obiettivi dei partecipanti e come tale viene valutato da entrambi: per noi esterni il CIF è solo un mezzo per fermare morte e distruzione, ma i contendenti lo valutano sempre attentamente anche chiedendosi “l’altro vuole un CIF per potermi fregare?”

Paradossalmente un CIF potrebbe risultare proprio solo dallo sfinimento reciproco delle due parti dal punto di vista militare… perché a quel punto entrambi capirebbero che davvero nessuno può beneficiarne in maniera “eccessiva”. Anche se poi si aprirebbe un capitolo intero riguardo al rispetto dello stesso, al monitoraggio e alla durata stessa. Prima o poi qualcuno potrebbe voler valutare che la situazione nuovamente rende il conflitto una “alternativa accettabile”. Ma questo è un altro vastissimo tema che ora è prematuro affrontare.

Lorenzo Nannetti

Photo by Matti is licensed under CC0

Fonti:

  • G. Clayton, V. Sticher, “Logic of Ceasefires in Civil War”, International Studies Quarterly, Volume 65, Issue 3, September 2021, Pages 633–646, https://doi.org/10.1093/isq/sqab026
  • G. Clayton, S.J.A. Mason, V. Sticher, C. Wiehler, “Ceasefires in Intra-state Peace Processes”, CSS Analyses No. 252, November 2019, https://css.ethz.ch/…/center…/pdfs/CSSAnalyse252-EN.pdf
  • C. Bara, G. Clayton & S. Aas Rustad, Understanding Ceasefires, International Peacekeeping, 28:3, 329-340, 2021, doi: 10.1080/13533312.2021.1926236
  • V. Sticher, S. Vuković, Bargaining in intrastate conflicts: The shifting role of ceasefires. Journal of Peace Research. 2021;58(6):1284-1299, doi:10.1177/0022343320982658
  • Pagina del Ceasefire Project: https://css.ethz.ch/…/researc…/ceasefires-mediation.html

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  • Arrivare a un cessate il fuoco richiede sempre un percorso complesso e non scontato, a maggior ragione in uno scenario ancora in divenire come quello della guerra tra Ucraina e Russia.

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Lorenzo Nannetti
Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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