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Budget Difesa: sotto l’attacco dell’inflazione

AnalisiCon la recente pubblicazione della National Defense Strategy (NDS) e del progetto di bilancio Difesa per l’anno fiscale 2023, Washington torna a fare i conti con l’inflazione. Dinanzi alla guerra in Ucraina e alla sfida cinese, il budget anziché riflettere uno sforzo aggiuntivo rispetto all’esercizio 2022, registra un calo reale della spesa militare. Le previsioni del Dipartimento della Difesa (DOD) sembrano presupporre per il prossimo semestre un calo del tasso dell’inflazione (attualmente intorno all’8%) fino alla soglia del 2,6%. 

NATIONAL DEFENSE STRATEGY: SFIDE E MINACCE ALLA SICUREZZA USA

Grafico 1 – Fonte: https://comptroller.defense.gov/Portals/45/Documents/defbudget/FY2023/FY2023_Budget_Request.pdf

Nel lontano 1909 Norman Angell pubblicava la “Grande Illusione”. Alla vigilia della Grande Guerra, il saggista e politico inglese – che nel 1933 fu premiato con il Premio Nobel per la Pace – cercò di dimostrare come l’interdipendenza tra le varie nazioni rendesse “illusorio” l’intento di trarre profitto da una guerra europea. Le argomentazioni di Angell – che poi diedero avvio ai movimenti pacifisti – non furono tuttavia sufficienti a mutare il corso della Storia.
A più di 100 anni di distanza, l’ordine mondiale, impostosi con la caduta del muro di Berlino, è ormai tramontato: il revanchismo russo, culminato nell’aggressione all’Ucraina, ha riportato la guerra in Europa e con essa la necessità per l’Occidente di una nuova visione strategico-difensiva. 
Oltre che dalla Russia gli interessi e la sicurezza statunitense sono compromessi dalle ambizioni cinesi nell’Indo-Pacifico e dalle persistenti minacce provenienti da Corea del Nord, Iran e da gruppi estremisti vari.
Di ciò è pienamente consapevole il Dipartimento della Difesa, che nel comunicato riassuntivo riguardante la National Defense Strategy (NDS), indica come priorità:

  1. Difendere la patria, di pari passo con la crescente minaccia multidominio rappresentata dalla Repubblica Popolare Cinese;
  2. Dissuadere gli attacchi strategici contro Stati Uniti, alleati e partner;
  3. Dissuadere aggressioni, pur essendo pronti a prevalere nel conflitto quando necessario, dando priorità alla sfida cinese nell’Indo-Pacifico e alla sfida russa in Europa;
  4. Costruire una forza congiunta resiliente e un ecosistema di difesa.

La Cina resta l’obiettivo strategico numero uno degli USA. Si legge espressamente che Pechino è il “concorrente strategico più immediato” per Washington. Anche la terza priorità è rivolta lì: in particolare, viene data enfasi agli interessi cinesi nel Mar Cinese meridionale e all’area dell’Indo-Pacifico. Si tratta di una chiara risposta all’ambizioso piano di “grande rinnovamento della nazione cinese” entro il 2049 (in occasione dei 100 anni dalla fondazione della Repubblica Popolare). Un rinnovamente che mira a eguagliare, se non superare, l’influenza e il potere degli Stati Uniti. In questo senso, la politica estera di Pechino è tutta rivolta a dare vita a una “comunità di destino comune” che supporti questa strategia di revisionismo dell’ordine mondiale e che punti all’unificazione non solo con Taiwan, ma anche all’integrazione completa con Hong Kong e Macau. Gli obiettivi di modernizzazione delle Forze Armate cinesi sono commisurati a questa visione e beneficiano del modello di crescita economica della cosiddetta “doppia circolazione”, reso noto dal quattordicesimo piano quinquennale della Repubblica Popolare Cinese (2021-2025). Un modello tutto incentrato sull’accelerazione dei consumi interni e sugli investimenti nella produzione industriale di fascia alta, a elevato contenuto tecnologico. Di questa sfida il Congresso e il Pentagono sono pienamente consapevoli.
Non a caso, già dalla Presidenza Trump si è iniziato a guardare con sospetto alcuni colossi della tecnologia cinese attive sul mercato USA – si ricordi ad esempio le sanzioni comminate a Xiaomi o DJI –  e impegnate sempre di più a investire nel settore del 5G e nell’intelligenza artificiale. 
Quella cinese viene avvertita dunque come una minaccia multidominio di lungo periodo: non solo sul piano strettamente militare, ma anche su scala economica e diplomatica. 
Di fronte a tale sfida, l’attacco russo all’Ucraina, sebbene di rilievo nella strategia di difesa statunitense (e ancora di più in quella della NATO), assume una posizione secondaria. Dall’analisi del NDS sembra di capire che, anche se la Russia pone “gravi minacce”, essa non vada trattata allo stesso modo della Cina. Il diverso trattamento, alimentato anche dalla relativa debolezza economica e militare della Russia dimostrata durante questi mesi di guerra, assume tuttavia un peso specifico maggiore agli occhi degli alleati europei: Mosca rimarrà infatti per lungo tempo una minaccia significativa per la sicurezza in Europa.
Non va tralasciato, infine, lo scenario, seppur remoto, di rischio peggiore: quello di una guerra simultanea da parte della Cina e della Russia, la cui cooperazione “senza limiti” è stata annunciata al mondo con il Trattato delle Olimpiadi dello scorso febbraio.

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Fig. 1 – Il Presidente del Joint Chiefs of Staff Gen. Mark A. Milley (L) e il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti Lloyd Austin (C) ascoltano mentre il controllore del Dipartimento della Difesa Michael J. McCord parla durante un’audizione della sottocommissione per gli stanziamenti della Camera sulla difesa in merito alla richiesta di bilancio 2023 per il Dipartimento della Difesa, a Capitol Hill a Washington, DC, l’11 maggio 2022

NATIONAL DEFENSE STRATEGY: LE TRE VIE PER ATTUARE LA STRATEGIA

Il Dipartimento della Difesa suggerisce tre vie principali per adempiere ai quattro obiettivi strategici dichiarati:

  1. Deterrenza integrata;
  2. Campagne militari;
  3. Azioni mirate a realizzare vantaggi duraturi all’interno del comparto Difesa.

    La maggior parte del dibattito politico è incentrato sull’approccio di “deterrenza integrata”. Questo tipo di deterrenza si basa su un approccio globale del Governo attraverso l’utilizzo non solo di strumenti militari, ma anche di mezzi economici (sanzioni) e diplomatici nell’obiettivo di dissuadere l’avversario dall’uso della forza. Il rischio di tale approccio – come notano alcuni analisti – è quello di cadere nella trappola di considerare la minaccia da un punto di vista esclusivamente statunitense, sottostimando la tenacia dell’avversario e conseguentemente sottodimensionare gli investimenti nel campo militare. Di fronte ad avversari altamente determinati, che possano vantare altresì l’arma nucleare, solo una massiccia azione di deterrenza da parte di robuste potenze militari è in grado di ostacolare l’azione nemica.
    Si è avuto modo di vedere in azione questa pratica già nella guerra in Ucraina, laddove gli aiuti militari al Paese messi in campo dagli Stati Uniti e dagli Alleati sono stati accompagnati da pesanti sanzioni economiche e da una poderosa offensiva diplomatica nei riguardi della Russia. Il complesso di sanzioni messe in campo contro Mosca inizia a sortire i primi effetti. 
    Due: la campagna. Con ciò si intende una “serie di operazioni militari correlate tra di loro e volte a raggiungere un obiettivo strategico e operativo entro un dato tempo e spazio”. La “campagna” nel 2022 va al di là dello scenario convenzionale, estendendosi a quella “zona grigia” di competizione che non ricade propriamente nella definizione legale di conflitto armato. Questa situazione può essere caratterizzata da minacce cosiddette ibride, che possono assumere la forma di influenze destabilizzanti, ovvero attacchi informatici. In tal senso si è soliti parlare anche di campagne-cyber, attacchi persistenti attraverso il cyberspazio diretti a minare i sistemi di sicurezza e gli interessi strategici della parte avversaria. La NATO ha già identificato da diversi anni il cyberspazio come nuovo dominio operativo, cui adattare la sua struttura operativa, forze, sistemi e processi.
    Tre: intraprendere azioni mirate alla realizzazione di vantaggi futuri per il comparto Difesa. Quest’ultima modalità di attuazione degli obiettivi strategici implica l’adozione di riforme intese ad accelerare le capacità complessive delle Forze Armate e, in particolare, il loro ammodernamento tecnologico. A ciò vanno aggiunti gli investimenti nella catena di produzione degli armamenti e nel personale. 
    Il comunicato inoltre menziona l’importanza “critica” delle alleanze e delle partnership. Non si tratterebbe di un elemento di novità da menzionare, se non fosse per il riferimento alla volontà di incorporare “alleati e partner in ogni fase della pianificazione della difesa”. Questo aspetto denota un potenziale cambio di passo nella strategia statunitense, suggerendo una pianificazione della difesa in senso più collaborativo e integrato con gli alleati. I dettagli non sono ancora pubblici, ma si può supporre il superamento di barriere, ancora oggi esistenti, nella condivisione di informazioni tra gli Alleati europei e nell’Indo-Pacifico.
    L’Amministrazione Biden ha inteso inoltre integrare la NDS 2022 con la politica in materia di armamenti nucleari, nello specifico, con i documenti Nuclear Posture Review (NPR) e il Missile Defense Review (MDR). Nel primo è indicata la strategia di deterrenza nucleare degli USA. Il secondo documento fornisce un quadro d’insieme sulla difesa missilistica statunitense.

I NUMERI DEL BUDGET DIFESA 2023 

La National Defence Strategy è accompagnata da una richiesta di budget per le spese militari. La finanziaria in materia difesa per l’anno fiscale 2023 vale 773 miliardi di dollari, oltre 30 miliardi in più (o il 4% in più) rispetto al budget stanziato per l’anno fiscale 2022. Si tratta di una delle più grandi richieste di budget per spese militari mai proposta negli Stati Uniti. Tuttavia sono in molti quelli che sostengono che non sia adeguata a soddisfare gli impegni strategici fissati nel NDS. In particolare, il budget richiesto non sarebbe adeguato al reale tasso di inflazione (ad aprile pari ad 8,3%) e all’impatto dell’invasione russa in Ucraina. Ciò significa che l’aumento reale della manovra fiscale rispetto a quella del 2022 è da sottostimare all’1,5%.
La richiesta fatta dal DOD sembra essersi basata su un tasso di inflazione pari al 2,2% o comunque su una previsione di calo dell’inflazione a quota 2,6% per il prossimo semestre. Se l’inflazione resterà al di sopra della cifra inizialmente pianificata, le operazioni militari potrebbero essere ostacolate, necessitando il varo di risoluzioni per lo stanziamento di fondi aggiuntivi. 
Come previsto dalla NDS, le spese principali sono quelle inerenti alla ricerca e allo sviluppo, per un ammontare pari a 130,1 miliardi di dollari.
Il DOD richiede altresì, in linea con il NPR e il MDR, $34,4 miliardi per la modernizzazione nucleare, 24,7 miliardi per la difesa missilistica e altri 27,6 per sistema di allarme, tracciamento missilistico e lancio nello spazio. Gli investimenti sono diretti alla ricapitalizzazione della cosiddetta triade nucleare (missili balistici intercontinentali lanciati dalla terraferma, missili balistici lanciati da sottomarini, ordigni nucleari sganciati da aerei). Nello specifico sono stati previsti capitoli di spesa per la realizzazione di un sottomarino missilistico balistico classe Columbia, per un bombardiere stealth di attacco a lungo raggio B-21 e per i sistemi di deterrenza strategica a terra e missili stand-off a lungo raggio, sofisticati missili nucleari a bassa osservabilità in grado di eludere il fuoco nemico dall’area bersaglio.
Vengono poi richiesti 6,9 miliardi di dollari per l’Iniziativa di deterrenza europea, la NATO, e il contrasto all’invasione russa in Ucraina. In aggiunta, il bilancio prevede la richiesta di 682 milioni di dollari per l’Ucraina, per fronteggiare le esigenze emergenti connesse a sicurezza, approvvigionamento energetico, sicurezza informativa e stabilizzazione economica. 1,8 miliardi sono invece destinati al sostegno della regione dell’Indo-Pacifico.

Grafico 2 – Fonte: https://comptroller.defense.gov/Portals/45/Documents/defbudget/FY2023/FY2023_Budget_Request.pdf

Per quanto riguarda le singole forze armate, molti dei fondi sono destinati alla realizzazione e completamento di progetti già avviati nel corso degli ultimi anni. Gli investimenti più rilevanti per l’Aeronautica sono quelli destinati alla realizzazione di 61 cacciabombardieri F-35 (per un valore complessivo di $11 miliardi): si tratta del jet supersonico di 5° generazione più avanzato al mondo. Le capacità stealth e la connettività di rete, lo rendono adatto all’impiego in scenari tattici complessi e mutevoli.
2,8 miliardi sono destinati alla realizzazione di 24 cacciabombardieri F-15 EX. L’ultima versione del F-15 Strike Eagle monta un avanzatissimo sistema jammer, in grado di rilevare, identificare e rispondere a potenziali minacce attraverso l’energia elettromagnetica. Investimenti per 1,7 miliardi sono infine previsti per la definizione del “Next Generation Air Dominance” (NGAD), un sistema di combattimento aereo, giunto alla sesta generazione, che ha l’obiettivo di ampliare le capacità del velivolo “madre” attraverso le capacità aggiuntive di droni gregari.
Gli ammodernamenti per le forze navali includono investimenti per la realizzazione di due cacciatorpedinieri della classe Arleigh Burke equipaggiati con sistemi missilistici guidati: unità multi-missione, in grado di operare in ruoli strategici di attacco terrestre attraverso i missili da crociera Tomahawk, nel ruolo di guerra antiaerea con l’ausilio di avanzati meccanismi radar e missili terra-aria, antisommergibile e guerra di superficie.
Sono previsti anche 1,3 miliardi di dollari per la realizzazione di una fregata FFG (X), parte di un ambizioso progetto diretto alla costruzione di almeno 20 fregate con missili guidati. Progettata dall’italo-americana Fincantieri Marinette Marine, la nuova fregata sarà dotata di 32 sistemi di lancio verticale in grado di sparare missili antiaerei e antimissile SM-3, SM-6 oltre quello da crociera Tomahawk.  
Con il budget 2023 vengono stanziati fondi per la realizzazione di due sottomarini d’attacco della classe Virginia. Fanno parte di un progetto più ampio che ha già visto la sua prima realizzazione a partire dalla legge finanziaria del 1998 e la recente consegna a febbraio dell’USS Oregon. Si tratta di un’unità multi-missione stealth a propulsione nucleare, adatta sia alla guerra antisommergibile in acque profonde, sia alle operazioni litorali.
Gli investimenti più ingenti per le forze di terra sono destinati alla realizzazione di 3.721 veicoli tattici leggeri per un valore di 1,1 miliardi di dollari. Non mancano investimenti per la realizzazione di veicoli da combattimento anfibi e corazzati multiuso.
Nel complesso sono $134,7 miliardi i fondi richiesti per la Joint Force Readiness, vale a dire lo sviluppo della prontezza operativa delle Forze Armate. 47,4 miliardi per la prontezza della Marina, 29,4 miliardi per l’esercito, 35,5 miliardi per l’aeronautica e 4,1 miliardi per il Corpo dei Marines.
Coerentemente con quanto stabilito nella NDS, sono previsti 11,2 miliardi di investimenti nell’attività nel cyberspazio, al fine di aumentare la resilienza informatica del comparto interforze.

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Fig. 2 – Un F-35 della US Air Force si dirige attraverso il Mach Loop, 20 gennaio 2022

776 MILIARDI DI DOLLARI SONO DAVVERO SUFFICIENTI?

Il dibattito è già particolarmente acceso al Congresso e sono molti gli analisti critici nel dire che la richiesta di budget avanzata dal Dipartimento della Difesa non sia pienamente coerente con la Strategia di Difesa nazionale e gli sviluppi della guerra in Ucraina.
Tra i capitoli di spesa più controversi vi è quello relativo agli investimenti per 34,4 miliardi di dollari in programmi che sono in ritardo per l’aggiornamento delle componenti della triade nucleare.
Alcuni sostengono che, per quanto possa essere lungimirante investire nella ricerca e nello sviluppo di potenziali capacità future, resta comunque il problema di stanziare denaro per armamenti e capacità immediatamente operative. Ciò è sommamente avvertito, soprattutto, in ragione della dismissione di diverse unità navali, aeree e persino di superficie per raggiunti limiti di operatività.
Dubbi permangono anche sulla riduzione degli F-35 (da 48 a 33 per l’Aeronautica), in favore dell’acquisto di F-15 EX, tecnologicamente avanzati, ma comunque con capacità nettamente inferiori rispetto agli F-35. 
Similmente, la Marina si trova ad affrontare un problema di riduzione complessiva delle sue unità, con il rischio di indebolire le sue capacità di fronte al possibile scenario cinese di prendere Taiwan.
Leggendo i dati, quello che si può dire è che gli Stati Uniti restano lo Stato egemone nel mondo nella spesa militare. Sebbene si stimi che la Cina abbia speso circa 293 miliardi di dollari per la difesa nel 2021, registrando un aumento del 4,7% rispetto all’anno precedente, gli investimenti di Pechino non eguagliano quelli di Washington.
Ciò non vuol dire che si possa sottostimare le capacità cinesi: in un’era governata da forme di minaccia ibrida, nuove tecnologie militare e sviluppo di armamenti nucleari, la capacità di una potenza militare non si misura soltanto dalla quantità della sua spesa, ma anche dalla qualità e affidabilità delle proprie Forze Armate, tenuto conto dell’integrazione dello strumento militare con quello degli alleati.

Come ammoniva Richard Hass, “la politica estera inizia a casa”. Con ciò si prefigura un’altra impegnativa battaglia in Congresso per l’Amministrazione Biden. Ma data l’importanza del tema e la somma da investire, come ogni grande democrazia che si rispetti, l’approvazione definitiva del budget non può che avvenire attraverso un serio dibattito politico.

Lorenzo De Poli

Photo by 12019 is licensed under CC BY-NC-SA

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  • La Cina resta il “concorrente strategico numero uno” degli Stati Uniti. In ogni caso, l’impegno a sostegno dell’Ucraina e il contrasto alla sfida russa restano tra le priorità.
  • Tre sono le modalità di attuazione degli obiettivi strategici: la deterrenza integrata, la campagna e le azioni mirate a realizzare vantaggi duraturi all’interno del comparto Difesa.
  • Con un tasso di inflazione intorno all’8%, il valore complessivo della finanziaria – pari a 776 miliardi di dollari – registra un calo reale rispetto al 2022.

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Lorenzo De Poli
Lorenzo De Poli

Praticante avvocato del foro di Roma. Dopo la maturità classica presso la Scuola Navale Militare “F. Morosini” di Venezia, consegue la laurea in Giurisprudenza presso la LUISS Guido Carli di Roma, optando per un major in diritto amministrativo e discutendo una tesi in diritto urbanistico. Ha frequentato il Master in Studi Diplomatici della SIOI. Oltre al diritto, coltiva da sempre la passione per l’archeologia e la storia dell’arte.

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