Ristretto – Alcune proposte di riforma costituzionale avanzate dal Presidente uzbeko Mirziyoyev hanno provocato violente proteste nel Karakalpakstan, con un alto numero di morti e feriti. Ora le proposte sono state ufficialmente ritirate, ma la tensione nella regione resta alta e molti temono l’inizio di una guerra etnica tra caracalpachi e uzbeki.
Situato nella parte occidentale dell’Uzbekistan, a ridosso dell’ormai scomparso Lago d’Aral, il Karakalpakstan è una vasta regione desertica abitata dai caracalpachi, popolazione di origine turca che parla la lingua karakalpaka. Originariamente faceva parte della Russia sovietica, ma nel 1936 venne incorporato nell’Uzbekistan come repubblica autonoma. Al momento dell’indipendenza dall’URSS, la permanenza della regione all’interno dell’Uzbekistan fu garantita da una serie di disposizioni costituzionali volte a proteggere la sua autonomia dal Governo centrale di Tashkent, compreso il diritto alla secessione. La recente decisione del Presidente Shavkat Mirziyoyev di rimettere in discussione tali disposizioni, proponendo sia l’abolizione del diritto di secessione che il declassamento del Karakalpakstan a semplice provincia, ha provocato la violenta reazione della popolazione caracalpacha: venerdì 1 luglio migliaia di persone si sono radunate nelle strade della capitale Nukus per protestare, scontrandosi con la polizia e cercando di dare l’assalto ai principali edifici pubblici. La crisi sembra essere rientrata nei giorni successivi, con l’annuncio da parte di Mirziyoyev della sospensione delle sue proposte di riforma costituzionale relative al Karakalpakstan, ma il bilancio è comunque pesante (18 morti, 516 arresti, più di 200 feriti) e la tensione nella regione resta altissima. È stato proclamato lo stato d’emergenza sino al 2 agosto, Internet è stato bloccato e i giornalisti locali sono sottoposti a controlli e arresti da parte della polizia. Il Governo uzbeko ha accusato “forze straniere” di essere dietro alle proteste e ha promesso di punire severamente i responsabili dei disordini. Intanto non sono mancate diverse reazioni internazionali: l’Unione Europea ha espresso cordoglio per le vittime e ha chiesto un’indagine “aperta e indipendente” su quanto accaduto, mentre la Russia ha parlato di un “affare interno” all’Uzbekistan. Il Kazakistan, scosso a gennaio da eventi simili, ha espresso totale solidarietà a Tashkent.
Il tentativo di Mirziyoyev di ridurre l’autonomia del Karakalpakstan ha sorpreso molti osservatori della politica uzbeka. Al potere dal 2016, l’attuale Presidente ha infatti cercato a più riprese di differenziarsi dal suo predecessore Islam Karimov e di modernizzare la vita sociale e economica del Paese. Nel caso del Karakalpakstan, Mirziyoyev ha anche varato importanti investimenti a sostegno dell’economia locale, costruendo l’aeroporto di Moynaq e una rete di distribuzione dell’acqua potabile per gli abitanti della zona del Lago d’Aral. A livello politico, però, le promesse iniziali di maggiore democrazia sono rimaste lettera morta e negli ultimi tempi il Presidente uzbeko sembra muoversi lungo una traiettoria più autoritaria, non dissimile per certi versi da quella di Karimov. Non a caso, nel recente pacchetto di riforme costituzionali proposte dal Presidente vi è anche l’eliminazione del limite dei due mandati presidenziali, consentendo quindi a Mirziyoyev di essere rieletto ripetutamente alla guida del Paese. Un maggiore controllo del Karakalpakstan può dunque essere visto come parte di un processo di accentramento del potere e di rafforzamento dell’attuale regime. Il rischio però è quello di scatenare uno scontro etnico e di accrescere l’instabilità dell’Asia Centrale in un contesto internazionale già estremamente frammentato e conflittuale.
Simone Pelizza
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