Le interviste del Caffè – Alla visita a Taiwan di Nancy Pelosi, Speaker della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, ha fatto seguito la decisa reazione della Repubblica Popolare Cinese, le cui Autorità hanno accusato gli americani di avere compromesso lo status quo nello stretto e di avere violato la cosiddetta “One China Policy”. Abbiamo analizzato questa complessa situazione con Lorenzo Lamperti, giornalista e direttore editoriale di China Files, che sta seguendo da Taipei lo svilupparsi degli eventi.
Sembra che lo scenario corrente ci imponga di parlare di “Quarta Crisi dello Stretto”. Come vede Taiwan le manovre esercitative di Pechino, e quali sono le implicazioni che potrebbero avere sul lungo periodo? La prova di forza della Repubblica Popolare quali riflessi può avere sulla politica interna di Taiwan?
Innanzitutto, relativamente alla definizione di “Quarta Crisi dello Stretto”, vi è un dibattito tra esperti ed analisti che, personalmente, non trovo molto appassionante. Restando su fatti concreti, la situazione che si è venuta a sviluppare è, senza alcun dubbio, senza precedenti. Non sappiamo esattamente quanto dureranno le esercitazioni, ma mi sento di escludere che la loro durata sia limitata ai quattro giorni dichiarati dalle autorità della Repubblica Popolare. Le manovre andranno avanti per qualche tempo, con l’Esercito Popolare di Liberazione che sarà impegnato nella conduzione di queste attività in maniera intermittente. Nel futuro, queste esercitazioni potrebbero occupare un determinato periodo di tempo, al quale farebbe seguito uno stop, e potrebbero poi riprendere subito dopo. Mi aspetto, onestamente, uno scenario del genere. Evidentemente, una situazione simile implica un fisiologico incremento dei rischi: se tutto lascia credere che non ci sia l’intenzione, da parte cinese, di compiere un’invasione su larga scala nell’immediato, è altrettanto vero che la permanenza di unità da combattimento cinesi in prossimità dell’isola principale taiwanese comporta necessariamente la possibilità concreta che possano verificarsi degli incidenti, anche rispetto al passato recente. Le probabilità che questo avvenga, in uno scenario simile, è evidente che aumentano a dismisura. La percezione attuale sembra far credere che le regole del gioco siano cambiate, e che lo stesso “status quo” sia in fase di ridiscussione. Relativamente all’impatto sulla politica interna taiwanese, e qui vorrei inserire una piccola nota in quanto spesso sembra che la parte taiwanese sia quella meno considerata, ciò che traspare è che nell’immediato quello che sta accadendo possa avere l’effetto opposto rispetto a quello voluto da Xi Jinping: l’opinione pubblica non sembra essersi spaccata, anzi sembra essersi ulteriormente compattata attorno al DPP. A novembre si terranno le elezioni locali le quali, pur riguardano temi concreti e afferenti alla sfera della vita quotidiana dei cittadini taiwanesi, potrebbero essere condizionate dalla crisi. Anzi, è possibile che il voto locale assuma una fisionomia che metta in luce un accresciuto sentimento identitario, cosa evidentemente avvantaggerà il DPP. Tuttavia, non è comunque detto che questa tendenza possa effettivamente condizionare anche le elezioni presidenziali del 2024. Mancano 18 mesi a queste e, se le azioni cinesi dovessero avere un impatto marcato sull’economia taiwanese, allora sarà possibile che le carte in tavola effettivamente cambino. Il KMT potrebbe avvantaggiarsi politicamente denunciando la cattiva gestione della presidenza Tsai circa la visita di Pelosi, accusando quindi il DPP di avere determinato un peggioramento delle condizioni economiche nazionali. Questa è una variabile che potrebbe condizionare a favore del KMT, entro certi limiti, la tornata elettorale del 2024. Nel breve periodo, però, assisteremo certamente ad un compattamento sulle posizioni del DPP.
Fig. 1 – Un F-16 dell’Aviazione di Taiwan si appresta ad atterrare alla base di Hualien, 6 agosto 2022
Chiaro. Analizziamo le reazioni cinesi successive alla visita di Pelosi. Alcuni hanno accusato la Repubblica Popolare di “overreaction”. A tuo avviso, è un’accusa effettivamente solida? Inoltre, come ha reagito Taipei a questa situazione?
Per quanto riguarda il primo punto, mi sembra lapalissiano che la visita di Pelosi sia stata particolarmente sfortunata, non solo nel “timing” ma anche nella sua gestione complessiva. Questo però non giustifica il lancio di missili balistici sopra la capitale Taipei. È chiaro che la visita di Pelosi abbia spinto Xi Jinping all’angolo, specialmente in considerazione del fatto che di qui a pochissimo si terrà il classico meeting estivo di Beidaihe e, successivamente, il XX Congresso del Partito Comunista Cinese. Chiaramente in questi frangenti era inevitabile aspettarsi una risposta decisa. È anche vero che, dopo che le incursioni nello spazio di identificazione di difesa aerea (ADIZ, n.d.r.) di Taiwan sono divenute affare quotidiano da circa tre anni, evidentemente non c’erano molte altre armi per rispondere ad una escalation che, agli occhi di Pechino, hanno iniziato gli Stati Uniti. A questo punto andrebbe fatta una doverosa precisazione, che è bene mettere in evidenza: ad avere provocato la reazione della Repubblica Popolare, non è stata la visita in sé, ma l’agenda che ha scandito la permanenza di Pelosi. Se ci si fosse limitati ad un mero “scalo tecnico”, anche la reazione sarebbe stata modulata di conseguenza. Il problema è che Pelosi ha passato a Taiwan più di 19 ore, ed oltre al canonico meeting con Tsai, c’è stato anche un passaggio allo Yuan Legislativo (il Parlamento, n.d.r.) e, successivamente, un incontro con diversi attivisti giudicati “spinosi” da Pechino. È stata la confluenza di questi fattori che ha portato ad una reazione così sostenuta da parte della Repubblica Popolare. La cosa effettivamente rilevante sta poi nell’estrema prontezza che i cinesi hanno dimostrato nel grado risposta. Sembra che fosse già qualcosa di pronto, di preparato. In effetti, l’intensità dell’escalation cinese è stata in funzione degli appuntamenti di Pelosi: all’annuncio di un accordo di libero scambio Taiwan-USA e ai riferimenti al “Chips Act” ha immediatamente fatto seguito il blocco cinese all’esportazione di circa 180 prodotti agroalimentari. Ancora, all’incontro di Pelosi con attivisti taiwanesi, Pechino ha risposto arrestando Yang Chih-yuan (attivista taiwanese arrestato a Wenzhou con l’accusa di “secessionismo”, n.d.r.). Infine, abbiamo le esercitazioni militari: se tutti a Taiwan se le aspettavano, certo non si prevedeva che venissero condotte con una simile intensità.
Fig. 2 – Un J-11 dell’Aviazione cinese fotografato sopra l’isola di Pingtan, 5 agosto 2022
Perché gli americani si sono spinti così “in avanti”, quando era evidente quali sarebbero state le reazioni cinesi? E ancora, chi pagherà il prezzo più alto da questa situazione?
Sarà Taipei a pagare le conseguenze della visita. Se nell’immediato non sembrano esserci rischi concreti di un conflitto, il dato che emerge riguarda il fatto che le forze armate cinesi si sono appropriate di spazi di manovra che prima non avevano. L’aver circondato l’isola, sforato la cosiddetta “linea mediana” (la linea che separa le acque di Taiwan da quelle della RPC, n.d.r.), dando tra l’altro seguito alle rivendicazioni di sovranità sullo Stretto formulate qualche settimana fa da Xi, e lanciato missili direttamente sopra il territorio, significa avere conquistato uno spazio che nel prossimo futuro Pechino utilizzerà. Questo “sposta” la crisi verso le coste taiwanesi. Poi abbiamo ancora il discorso economico, un’ulteriore leva a disposizione della Repubblica Popolare. Sarà da vedere se effettivamente Washington sarà in grado di aiutare in maniera diretta i taiwanesi se i cinesi dovessero decidere per un inasprimento delle sanzioni. In realtà, a questo proposito, è necessario dire che i legami commerciali che legano Pechino e Taiwan verosimilmente non verranno totalmente compromessi. Taipei è comunque molto importante per Pechino, specialmente per quanto riguarda la fornitura di semiconduttori. Chiaramente però, al disagio economico potrebbe seguire la spinta taiwanese a diversificare i propri legami economici, quindi il Governo potrebbe essere portato a cercare “altri canali”. Relativamente al primo punto, la sensazione che si ha è che sia stato veramente un colpo di scena, del quale Pelosi è la prima responsabile. Specialmente in considerazione del fatto che l’amministrazione Biden e gli apparati statunitensi erano divisi sul procedere o meno con la tappa a Taiwan. Addirittura, alcuni analisti taiwanesi identificano il viaggio di Pelosi come uno “strumento” con il quale forzare Biden a tornare ad avere una linea maggiormente aggressiva con Pechino. Negli ultimi due mesi abbiamo assistito ad una fase di maggior dialogo tra Cina e Stati Uniti, anche in considerazione delle preoccupazioni espresse dai Paesi europei a Biden in occasione dei vertici di Bruxelles e Madrid, riguardanti approvvigionamento energetico e guerra in Ucraina. Questi fattori, probabilmente, avevano fatto ricalibrare leggermente la posizione di Biden in merito alla Repubblica Popolare. La visita di Pelosi, invece, costringerà la Casa Bianca a prendere una linea maggiormente improntata al confronto.
La seconda parte dell’intervista è disponibile qui.
a cura di Francesco Lorenzo Morandi
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