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Venezuela, la svendita disperata di Maduro

In 3 sorsi – Il presidente venezuelano Maduro si è recato a Pechino in cerca di nuovi fondi per sostenere la difficilissima situazione economica di Caracas. Vediamo quali sono i risultati di quella che sembra, a tutti gli effetti, una clamorosa svendita. 

1. LA FASCIA DELL’ORINOCO E LA SVENDITA

Situata in Venezuela lungo il corso del fiume Orinoco, che divide il territorio venezuelano e scorre lungo una parte della linea di frontiera con la Colombia, la Faja Petrolífera del Orinoco è una delle maggiori riserve di greggio al mondo. Si tratta di un vero e proprio tesoro per lo Stato venezuelano. Da quest’ampia area di 54mila chilometri quadrati si ricava un petrolio extra-pesante che richiede delle tecniche di estrazione particolari e delle successive tecniche di raffinazione molto articolate e costose. Durante gli ultimi anni, tuttavia, la produzione di barili di petrolio venezuelano ha subito un calo importante, passando da 3,3 milioni giornalieri nel 1997 a 1,9 milioni nel 2016, fino a 1,51 milioni del febbraio 2018. Questo ha certamente contribuito alla crisi economica del Paese, che ha inoltre visto crescere i costi di produzione del proprio greggio rispetto ai ricavi delle esportazioni.
L’area ha sempre attirato le attenzioni delle grandi imprese petrolifere internazionali (vi è anche l’ENI, ad esempio). In particolare, abbiamo recentemente assistito all’accelerazione cinese.

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Fig. 1 – 2011, piattaforma petrolifera costruita sull’Orinoco

2. CINA PIGLIATUTTO NELLA SVENDITA DI MADURO

L’interesse cinese per l’America Latina nasce dalla necessità di sostenere la corsa di Pechino al vertice mondiale. Il territorio sudamericano è una vera e propria miniera agli occhi dei cinesi, che si sono lanciati in tantissimi progetti nelle sue aree più importanti, dal settore energetico a quello delle costruzioni, passando per il settore alimentare. Il Venezuela, ovviamente, risalta nei piani cinesi come fondamentale fonte di greggio. Le relazioni tra i due Paesi si sono sviluppate simultaneamente all’allontanamento di Caracas da Washington e la Cina ha saputo sfruttare l’occasione della crisi venezuelana per inserirsi maggiormente nei punti chiave della sua economia.
È di metà settembre la notizia di un nuovo accordo con Caracas per lo sfruttamento petrolifero della fascia dell’Orinoco. La China National Petroleum Corporation (CNPC) era già presente nell’area grazie alla joint venture (un contratto di collaborazione tra imprese) con il colosso petrolifero venezuelano, la Petróleos de Venezuela, S.A. (PDVSA). Grazie al nuovo accordo, la Cina (non è ben chiaro quale impresa) acquisisce il 9,9% delle partecipazioni, che si va ad aggiungere al 40% già in possesso della CNPC. Con questa vendita, Maduro si sarebbe assicurato un investimento cinese pari a 5,5 miliardi di dollari. L’incontro di Maduro con i vertici cinesi ha ulteriormente aperto le porte del blocco 6 del giacimento di Ayacucho. Anche in questo caso la Cina potrà sfruttare i giacimenti petroliferi venezuelani in cambio di un’estensione dell’investimento nella joint venture Petrozumano.

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Fig. 2 – Proteste degli operatori ospedalieri di un ospedale di Caracas.

3. MADURO SVENDE, LA CINA VINCE

È un’agonia senza fine, quella venezuelana. Un’economia a pezzi, il cui sistema monetario crolla giorno dopo giorno, mentre cresce l’iperinflazione senza controllo. Un esodo biblico che ricade sui sistemi politici, sociali ed economici di un’America Latina in piena fase evolutiva e, dunque, instabile. Un vertice politico, infine, assolutamente incapace di far fronte alle difficoltà e alle sfide dei primi anni post-Chávez e che si è arroccato in posizioni politiche ed economiche rivelatesi autolesionistiche. In tutto questo, la Cina è la sola vera vincitrice. Sebbene Maduro si dichiari soddisfatto dell’accordo con Pechino, l’impressione è che si sia trattato di una svendita disperata. I miliardi investiti dalla Cina saranno dedicati allo sfruttamento delle risorse petrolifere venezuelane da parte delle compagnie cinesi (un modus operandi che ritroviamo in tutti i progetti internazionali della Repubblica popolare), ma non ci sono segnali di entrate concrete, e soprattutto efficaci, per lo Stato venezuelano. Al contrario, non c’è stato alcun accenno all’estensione del credito cinese nei confronti di Caracas: una posizione che non è nuova. È arrivata, comunque, la nave-ospedale cinese Arca della Pace, l’unico aiuto umanitario accettato dal Governo di Maduro, nonostante si tratti piuttosto di un atto puramente simbolico. Il Venezuela è un Paese sull’orlo del fallimento, se non già in caduta libera, e non sarà certamente una nave umanitaria a risollevare le sorti di milioni di persone affamate, malnutrite, depresse, disperate.
L’accordo di metà settembre mette in luce diversi aspetti. Innanzitutto i cinesi non si fidano di Maduro: se l’avessero fatto, avrebbero immesso direttamente ossigeno nelle casse di Caracas. Maduro, dunque, ha un potere contrattuale nullo nei confronti di Pechino. La dimostrazione si trova nella subalternità di Caracas, incapace di ottenere contropartite positive.

Elena Poddighe

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Elena Poddighe

Nata a Sassari nel 1993, ho studiato in Italia, Francia e Belgio. Sono laureata in Scienze Politiche e specializzata in Relazioni Internazionali. Dopo l’esperienza Erasmus ho preso sul serio l’idea che tutto il territorio europeo potesse essere casa mia, così mi sposto costantemente da un punto all’altro, scoprendo pregi e difetti di questa nostra bellissima Europa. Non so preparare il caffè e non lo bevo, ma so cucinare e soprattutto mangiare le lasagne!

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