In 3 sorsi – L’entusiasmo delle Primavere Arabe e la caduta di Gheddafi avevano fatto immaginare un futuro migliore per la Libia. Dopo circa sette anni di scontri armati, colpi di Stato e proliferazione di milizie, il Paese rischia concretamente di infiammarsi di nuovo e precipitare nel caos.
1. L’ATTACCO DELLA SETTIMA BRIGATA
Il mese di settembre si è aperto con la proclamazione da parte del presidente libico Fayez al-Sarraj dello stato di emergenza. La decisione è riconducibile agli attacchi iniziati il 27 agosto a sud di Tripoli, a opera della Settima Brigata di Tarhuna (60 chilometri a sud della capitale), guidata da Abdel Rahim al-Khani e che fa riferimento all’ex leader del movimento islamista Libya Dawn, Salah Badi. Gli scontri hanno di fatto segnato la fine della fragile tregua fra la Brigata al-Kanyat e il Battaglione dei Rivoluzionari di Tripoli, una delle milizie cooptate dalle Istituzioni libiche per controllare capillarmente il territorio. La Settima Brigata si è fatta largo violentemente attraverso Wadi Rabie, Al-Khaila e Yarmouk, ha circondato l’aeroporto internazionale ed è arrivata a stringere la capitale in una morsa. La tregua proposta il 31 agosto non ha dato i frutti sperati, così come i due successivi cessate il fuoco. Al contrario, la violenza dilagante ha contribuito a infiammare una rivolta nel carcere di Ain Zara, conclusasi con l’evasione di 400 detenuti, ex-supporter di Gheddafi. L’inesorabile aggravarsi della situazione ha spinto al-Sarraj a invocare l’aiuto delle Forze Anti-Terrorismo (FAT) di Misurata, sotto il comando di Mohammed al-Zein. Gli oltre 600 mezzi inviati dalle FAT e la decisa presa di posizione delle Forze Speciali di Deterrenza, un’ulteriore milizia in controllo di Tripoli, hanno respinto l’offensiva di al-Khani, che ha fatto comunque registrare un bilancio di 115 vittime e 383 feriti.
Fig. 1 – A sette anni dalla caduta di Gheddafi, il Paese è ancora sofferente
2. I PRINCIPALI ATTORI LIBICI
Dalla caduta di Gheddafi nel 2011 la Libia è entrata in una spirale discendente che l’ha portata alle soglie del collasso. Gli eventi del maggio 2014 a Tripoli e Bengasi, la presenza diffusa di cellule affiliate allo Stato Islamico, la regione tribale del Fezzan, crocevia delle migrazioni, e il rigetto parziale del Libyan Political Agreement, siglato a Skhirat nel 2015, hanno contribuito a spaccare il Paese. Da una parte vi sono la Tripolitania e Tripoli, sede del Governo di Accordo Nazionale internazionalmente riconosciuto e del Consiglio Presidenziale retto da al-Sarraj. La Cirenaica, invece, è controllata dal Parlamento di Tobruk e ha l’uomo forte nella figura del generale Khalifa Haftar, a capo dell’esercito libico e supportato fra gli altri da UAE, Egitto e Francia. Nel braccio di ferro fra i due Presidenti, nuovi attori non statali fanno capolino. La capitale è infatti nelle mani di milizie e cartelli, espressione di un potere armato e ramificato, che oscilla fra dimensione istituzionale e criminale. L’affondo della Settima Brigata è di conseguenza leggibile come un tentativo di far breccia in un vero e proprio oligopolio. Sono infatti quattro i maggiori gruppi dominanti nella capitale: le Forze Speciali di Deterrenza, di inclinazione salafita e guidate da Abdulraouf Kara, le milizie Abu Salim sotto il controllo di Ghaniwa al-Kikli, le Brigate Rivoluzionarie di Tripoli comandate da Haitham al-Tajouri e infine il Battaglione Nawasi, anch’esso di ispirazione salafita. Sebbene al-Sarraj abbia incluso questi gruppi armati nel Central Security Apparatus (CSA) libico, essi hanno creato una forma parallela di Stato, che mina alle fondamenta l’autorità di un Presidente riconosciuto internazionalmente, ma debole localmente.
Fig. 2 – Il generale Khalifa Haftar, a destra, con il ministro degli Affari Esteri francese Jean-Yves Le Drian
3. QUAL È IL RUOLO DELL’ITALIA NELLO SCACCHIERE LIBICO?
La Libia rappresenta per l’Italia un Paese chiave nello scacchiere geopolitico per numerose ragioni storiche, politiche ed economiche. Nell’incontro a fine luglio con Donald Trump, il presidente del Consiglio Conte ha ribadito la necessità di una «cabina di regia permanente per il Mediterraneo» a guida italiana. Obiettivo indiretto sarebbe quello di limitare l’espansionismo di Macron, come più volte ribadito dal ministro degli Interni Salvini. La gestione dei migranti, oggetto di discussione con al-Sarraj a fine luglio, e la competizione Eni-Total rappresentano due fra i maggiori motivi del contendere. In più, Italia e Francia hanno assunto posizioni diverse nello scenario politico libico: mentre Roma si è schierata a fianco del Governo di al-Sarraj, Parigi ha più volte mostrato le proprie simpatie per Haftar, arrivando a negoziare elezioni (ora in dubbio) per dicembre. Pur scartando le ipotesi di un intervento militare e del richiamo dell’ambasciatore a Tripoli, il Governo italiano si è mostrato deciso ad affrontare la questione libica, al punto da ospitare l’atteso meeting di novembre, con la speranza di un accordo pacificatore.
Francesco Teruggi