In 3 sorsi – Con la scomparsa di Jiang Zemin si chiude un periodo di forte crescita economica, garanzia della legittimità del partito, e se ne apre uno nuovo, che la governance autoritaria di Xi Jinping dovrà gestire tra varie criticità e nuove ansie di libertà.
1. LA PARABOLA POLITICA DI JIANG ZEMIN
Jiang Zemin è scomparso il 30 novembre scorso all’età di 96 anni. Nel 1989 raccolse i resti di un partito spaccato da profonde divergenze politiche, in un contesto di grave crisi economica che aveva indotto i giovani a manifestare, cogliendo l’occasione della morte di Hu Yaobang, ultimo Presidente del PCC, considerato molto vicino alle idee democratiche. Gli studenti, che chiedevano una maggiore apertura, sulla scia di quanto stava accadendo in URSS, furono sgombrati coi carri armati che spararono sulla folla inerme a piazza Tian’anmen. Jiang Zemin fu designato segretario subito dopo l’epurazione di Zhao Ziyang, ritenuto responsabile dei disordini. L’ingegnere, posto a capo della commissione militare centrale nel 1993, fu nominato Presidente della Repubblica, carica che mantenne fino al 2003. Jiang, “architetto chiave” della crescita e delle riforme, sostenne l’“economia socialista di mercato”, secondo la teoria delle tre rappresentanze (三 个 代 表 sān gè dàibiǎo), che trasformarono il PCC da solo rappresentante delle masse proletarie ad avanguardia anche delle forze produttive più avanzate, della cultura più avanzata e degli interessi più generali della nazione, consentendo agli imprenditori e ai capitalisti di essere ammessi a pieno titolo nel partito.
Embed from Getty ImagesFig. 1 -Il Presidente degli Stati Uniti George W. Bush e il Presidente cinese Jiang Zemin salutano dopo una conferenza stampa congiunta nell’ottobre 2002
2. IL RUOLO DI JIANG NELLA RINASCITA DELLA CINA
Jiang Zemin operò nel corso degli anni scelte sempre più pragmatiche, a volte complicate e contraddittorie, tese a costruire un’impalcatura istituzionale funzionale allo sviluppo, idonea a produrre una forte accelerazione del PIL attraverso una sempre maggiore liberalizzazione in ambito economico e un graduale adeguamento delle strutture giuridiche e amministrative, recepite nella riforma costituzionale del 1999, che permisero alla Cina, nel 2001, di entrare a far parte dell’Organizzazione mondiale del commercio. Jiang Zemin, sperimentando l’assimilazione di un’economia capitalistica in un sistema comunista, rese il settore dell’iniziativa economica privata da elemento complementare dell’economia pubblica socialista, a componente importante dell’economia socialista di mercato che crebbe a ritmi impressionanti. Il boom contribuì alla definitiva rottura dell’isolamento diplomatico, in cui la RPC era stata relegata dopo i fatti di Tian’anmen, e le permisero di affermarsi come protagonista negli affari regionali e globali, pronta a rivestire di nuovo il ruolo di grande potenza. Jiang Zemin, grazie al suo operato, viene collocato nella terza generazione di leader, artefici dello straordinario boom economico del Dragone, che migliorò in maniera considerevole gli standard di vita interna, alla base di una sorta di patto sociale con il Partito, messo a repentaglio dalle troppo vistose diseguaglianze. Nell’Olimpo cinese si contano infatti oggi cinque generazioni di leader: la prima è costituita da Mao e dagli eroi della Lunga Marcia e della guerra antigiapponese; la seconda da Deng Xiaoping e dagli artefici della politica della “porta aperta”; la quarta, quella di Hu Jintao, che apriva le porte a burocrati preparati e alla tecnocrazia, fino all’ascesa della quinta generazione, quella di Xi Jinping, artefice dell’epopea della rinascita guidata dal socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Jiang Zemin insieme a Xi Jinping durante il XIX Congresso del Partito Comunista Cinese nel 2017
3. ESEQUIE E PROTESTE
Negli stessi giorni si sono estese le proteste contro la politica della «tolleranza zero» al Covid, con modalità che sembrano riecheggiare quelle della primavera del 1989, iniziate in occasione della morte di Hu Yaobang e che poi presero una piega politica. In effetti le attuali manifestazioni, scatenate da un incendio nella città uigura di Urumqi, che ha ucciso diverse persone bloccate dai lucchetti e dai fili spinati, piazzati per garantire un ferreo lockdown, sono senza precedenti negli ultimi anni: molti giovani, soprattutto nelle università, hanno sventolato fogli bianchi per rappresentare tutto ciò che la popolazione vuole dire ma non può dire, o carta A4 con l’equazione di Friedman, per assonanza “free 的 man” (free man), per invocare le libertà, gravemente ridotte dalla svolta autoritaria del Paese sotto Xi, del quale sono state anche invocate le dimissioni. Questo deja vu assieme alle criticità riscontrate in diverse fabbriche strategiche e in vasti settori economici in forte rallentamento hanno probabilmente determinato l’annuncio di un notevole allentamento generale delle restrizioni anti-Covid, nonostante la conferma di questa politica nel corso del XX Congresso, per la bassa efficacia dei vaccini e la scarsa adesione alle vaccinazioni. Oggi la popolazione cinese è tornata almeno a passeggiare nelle strade, mentre il Presidente Xi Jinping pigia l’acceleratore su una governance unitaria sotto la stretta direzione della sua leadership per ringiovanire la Cina e contribuire maggiormente alla pace e allo sviluppo mondiali. Questa postura, in un contesto internazionale molto complicato, sarà idonea a rispondere alle istanze di libertà che non si manifestavano da molti anni?
Elisabetta Esposito Martino
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