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Geopolitica della transizione energetica

Analisi – Lo sviluppo del processo di transizione energetica coinciderà con una transizione geopolitica destinata ad archiviare la posizione di rilievo dei Paesi produttori di idrocarburi, prossimi a essere soppiantati da quelli premiati dalla distribuzione geografica dei minerali privilegiati dalla catena industriale da cui dipendono le prospettive economiche e strategiche della “rivoluzione green”.

LE FONDAMENTA MINERARIE DELLA ‘RIVOLUZIONE GREEN

Il processo di transizione alle energie rinnovabili avviato su scala globale è destinato a trasformare radicalmente sia le condizioni ambientali, che quelle economiche. Lo sviluppo di questo processo rivoluzionerà profondamente gli equilibri che fino ad oggi hanno regolato la sfera delle relazioni internazionali, dal momento che il progressivo abbandono delle fonti combustibili coinciderà con il ridimensionamento di molti dei Paesi produttori di carbone, petrolio e gas naturale. Diversi tra questi Stati saranno costretti a rimodulare drasticamente le proprie strutture economiche, preventivando gli inevitabili scompensi socio-politici derivanti dall’archiviazione di modelli di “rentier state” sempre meno sostenibili, mentre pochi altri avranno la possibilità di farlo, agganciandosi al gruppo produttori dei minerali essenziali all’approvvigionamento della catena industriale alla base del processo di transizione energetica. Va infatti preso atto che l’idea di archiviare il pesante impatto ecologico delle fonti combustibili fossili insieme alle attività minerarie configura un difficilmente eludibile ossimoro insito nella più radicale interpretazione del paradigma ecologico della transizione energetica. A ben vedere il “futuro verde”, verso cui la comunità internazionale procede con risolutezza, ridurrà la dimensione atmosferica dell’inquinamento, ma non coinciderà affatto con il tramonto delle attività minerarie, marginalizzando la questione del loro significativo impatto ambientale. Quello che cambierà saranno semplicemente le materie da estrarre, e soprattutto il dove. E proprio l’ubicazione geografica di minerali sempre più indispensabili al mercato come il cobalto, la grafite, il litio e le terre rare è destinata a rimodulare l’architettura della sfera strategica delle relazioni internazionali.

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Fig. 1 – Una miniera a Doringbaai, sulla costa occidentale del Sud Africa

LA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DELLE RISORSE CHIAVE

Già oggi è possibile intravedere i Paesi che condizioneranno il mercato delle materie prime necessarie allo sviluppo della rivoluzione industriale destinata ad accompagnare il processo di transizione energetica. Uno di questi Paesi è sicuramente la Repubblica Democratica del Congo (RDC), detentrice del 50% delle riserve globali di cobalto. Per comprendere la colossale consistenza di queste riserve potremmo affermare che la RDC rappresenta per il cobalto quello che l’aggregato dei Paesi mediorientali rappresenta per il petrolio. Primato conteso in primo luogo dall’Australia, titolare del 20% delle riserve globali di questa risorsa. All’ombra di questi due titani minerari, trovano una rilevanza fondamentale ai fini della diversificazione del mercato Paesi come Cuba, Zambia, Filippine, Russia, Canada, Madagascar e Cina, che insieme detengono circa il 25% delle riserve globali residue di cobalto. Una situazione simile caratterizza anche la distribuzione geografica delle miniere di litio, per il 45% detenuto dal Cile, il Paese da cui in buona sostanza dipende la produzione globale delle batterie indispensabili al processo di elettrificazione. Riserve che per il 30% sono detenute dall’Australia, e che a livello globale sono integrate dal 25% aggregato di Argentina, Cina, Stati Uniti e Zimbabwe. Relativamente più equilibrata risulta invece la distribuzione della riserve di grafite, il cui 60% è equamente redistribuito tra Turchia, Cina e Brasile. Riserve presenti in maniera rilevante anche in Madagascar, Russia, Mozambico, Ucraina e India, che insieme detengono circa il 30% delle riserve globali di questa risorsa, particolarmente richiesta per la produzione di batterie, elettrodi e altri dispositivi high-tech. Ultimo, ma non certo per importanza, è il settore dei metalli genericamente classificati sotto la denominazione di “terre rare”, essenziali per lo sviluppo di semiconduttori e altre componentistiche ad alto contenuto tecnologico. L’ubicazione di queste ricercatissime risorse premia innanzitutto la Cina, che ne detiene il 35% delle riserve globali, seguita da Brasile e Russia, che insieme ne detengono una quota simile. Ai margini di questa triade trovano spazio l’India, l’Australia e gli Stati Uniti, le cui riserve aggregate valgono poco più del 10% delle riserve globali di terre rare.

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Fig. 2 – Un impianto di lavorazione delle terre rare nell’Australia occidentale

LA RISTRETTA PLATEA DEI PAESI PRODUTTORI

La sostenibilità del processo di transizione energetica è subordinata a una realtà condizionata da un mercato globale aperto, alla quale, tuttavia, corrisponde una ristretta platea di Paesi produttori. Una realtà caratterizzata da volumi produttivi che faticano a soddisfare una domanda in poderosa ascesa. Prendendo in analisi la produzione globale di cobalto, non possiamo che constatare la leggera flessione di produzione complessiva nell’ultimo decennio. Produzione di cobalto dominata della RDC, dove nel 2021 è stato estratto il 70% di questa particolare risorsa mineraria. Volumi produttivi che certificano l’ineludibile primato del Paese africano su un settore in cui la concorrenza aggregata di Russia e Australia fatica a superare il 10% dell’intera produzione mondiale di cobalto. Statistiche che, ai fini della diversificazione del mercato, contribuiscono all’apprezzamento di Paesi caratterizzati da tassi produttivi meno eclatanti come le Filippine, il Canada, la Papua Nuova Guinea, il Marocco, la Cina, il Madagascar e il Sud Africa. Altra posizione egemonica è quella della Cina, dove è stato prodotto circa il 70% della grafite estratto su scala globale, surclassando concorrenti di peso come Brasile, Madagascar, Mozambico, India, Russia e Turchia, che insieme hanno contribuito al 25% dei volumi residui. Anche la produzione globale di terre rare continua a essere dominata dalla Cina, dove è stato prodotto il 60% di questa risorsa, lasciandosi dietro gli Stati Uniti e l’Australia, la cui produzione aggregata ha contribuito a poco più del 20% dei volumi globali. A margine di questi tre colossi trovano rilevanza concorrenti come Thailandia, India, Madagascar e Russia. Per quanto concerne il litio, materiale chiave per la produzione di batterie, non possiamo che rilevare il dominio dell’Australia, che nel 2021 ha prodotto poco più del 50% del litio estratto su scala globale. Produzione record che, rispetto ai tassi registrati nel 2016, l’Australia è riuscita a quadruplicare, andando incontro alle esigenze di un mercato contraddistinto da una domanda in costante ascesa. Produzione di litio cui hanno contribuito in maniera significativa Cile e Cina, che sempre nello stesso periodo hanno prodotto rispettivamente il 25% e il 15% dei volumi globali, integrati dalle quote relativamente marginali provenienti da Argentina, Brasile, Zimbabwe, Stati Uniti e Portogallo. L’analisi di queste statistiche risulta altamente significativa, perché ci aiuta a rilevare la rimodulazione dei poli geopolitici che in un futuro oramai prossimo caratterizzeranno la dimensione energetica delle relazioni internazionali.

Antonino Spina

Photo by stafichukanatoly is licensed under CC BY-NC-SA

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Perchè è importante

  • Il processo di transizione energetica ridimensionerĂ  la rilevanza geopolitica dei Paesi produttori di idrocarburi, sancendo l’ascesa dei Paesi produttori di minerali.
  • La distribuzione geografica delle riserve dei minerali essenziali alla transizione energetica delinea la posizione dominante di alcuni Paesi e la rilevanza di altri ai fini della diversificazione.
  • I volumi produttivi registrati su scala globale configurano un mercato dipendente da una manciata di Paesi da cui dipenderĂ  l’evoluzione degli equilibri geopolitici planetari.

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Antonino Spina
Antonino Spina

Siciliano, laureato in Scienze politiche e delle relazioni internazionali presso l’Università degli studi di Catania. Appassionato di storia e geopolitica. Seguo con particolare interesse la politica internazionale, soprattutto le dinamiche e gli sviluppi inerenti il mondo dell’energia e della difesa.

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