Le interviste del Caffè – Nel corso delle scorse settimane abbiamo assistito ad importanti eventi riguardanti entrambi i lati dello Stretto di Taiwan. L’incontro in California tra Tsai Ing-wen e lo Speaker Kevin McCarthy, il viaggio di Ma Ying-jeou nella Cina continentale e l’attivazione da parte della Repubblica Popolare Cinese di nuovi round esercitativi. Abbiamo chiesto a Lorenzo Lamperti, direttore editoriale di China Files, di commentare da Taipei questi significativi sviluppi.
Sembra che l’anatomia delle manovre esercitative attivate questo aprile dall’Esercito Popolare di Liberazione sia differente rispetto a quella dell’agosto 2022. Ritieni che questo cambiamento di approccio, meno “muscolare” rispetto al passato, sia da attribuirsi anche al fatto che la Repubblica Popolare sta valutando con attenzione le proprie azioni in vista delle elezioni presidenziali taiwanesi del 2024?
Sì certo, questo è senza dubbio uno dei motivi, ma non è il solo. Dobbiamo precisare che la visita di Nancy Pelosi a Taiwan ha avuto un sapore diverso rispetto a quella di Tsai Ing-wen in California: quest’ultima, nel corso della quale la Presidente della Repubblica di Cina ha incontrato l’attuale Speaker della Camera dei Rappresentanti Kevin MacCarthy, è stata figlia di un “compromesso”, in quanto tanto la parte statunitense quanto quella taiwanese hanno mostrato la volontà di compiere un “passo mediano”. In primis, l’incontro si è tenuto in California e non a Washington, in secundis MacCarthy ha deciso di non recarsi personalmente a Taipei. In ogni caso, non sarebbe stato nell’interesse di Pechino attivare manovre militari eccessivamente vigorose. Se così avesse fatto, la Repubblica Popolare avrebbe posto sul medesimo piano gli eventi di agosto con quelli di aprile, sottolineando quindi l’inutilità di qualunque tipo di compromesso tra le parti. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che mentre Tsai si trovava negli Stati Uniti, anche Ma Ying-jeou stava era impegnato in una visita nella Cina continentale, occasione che può essere sfruttata dal GMD (Guomindang) per sostenere che la visita di Ma abbia giocato un ruolo chiave nel prevenire e tamponare il rischio di eventuali azioni aggressive. C’è poi un discorso più ampio, che riguarda la volontà di Xi Jinping di mostrarsi al mondo come grande stabilizzatore globale. Negli ultimi tempi abbiamo visto la Cina impegnata in importanti attività di mediazione, non ultima quella tra Arabia Saudita ed Iran. Un hype eccessivo sulla questione taiwanese avrebbe contribuito a compromettere la solidità di questa nuova postura stabilizzatrice che la Repubblica Popolare sta sempre più marcatamente assumendo.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – L’ex Presidente taiwanese Ma Ying-jeou, protagonista di un recente e discusso viaggio in Cina
Chi si aspetta un conflitto a Taiwan? E che informazioni ci danno queste esercitazioni sullo stato di prontezza dello strumento militare della Repubblica Popolare Cinese?
Sostanzialmente nessuno crede ad una guerra nell’immediato. Però è sicuramente innegabile che negli ultimi anni la pressione della Repubblica Popolare si sia fortemente irrobustita. Invito in ogni caso a ricordare che la retorica del Governo taiwanese verso l’esterno è molto più allarmistica di quanto non sia verso l’interno, ed il tema della “resistenza”, da attuarsi nel caso in cui la Cina dovesse decidere di attivare una manovra di invasione, non è certamente imperante. A torto o a ragione, non si percepisce un clima da “guerra imminente”.
Evento abbastanza traumatico, ancora ben presente nella memoria degli over-35, è stata invece la “Terza Crisi dello Stretto”. Ci si potrebbe chiedere: come mai, a fronte del fatto che le recenti esercitazioni dell’Esercito Popolare di Liberazione comportano oggi pericoli potenzialmente maggiori rispetto a quelle condotte nel 1996, esse non hanno suscitato reazioni degne di nota nella popolazione di Taiwan? Credo che ciò sia dato dal fatto che quasi 30 anni fa, diversamente da oggi, vi era una molteplicità di “incognite interne”: nel 1996 a Taiwan ci sono state le prime libere elezioni, e non si aveva una chiara visione del futuro. Si sarebbe andati verso un’indipendenza formale? Verso un qualche tipo di federazione cinese? Sarebbe scoppiato un conflitto armato con la Cina Popolare? A questa diffusa incertezza di fondo si addizionava direttamente l’incognita delle manovre cinesi, che all’epoca non si sapeva che tipo di piega avrebbero preso. La situazione odierna è certamente diversa: se è vero che le azioni cinesi sono maggiormente inquietanti ed angosciose rispetto al passato, a livello interno certamente non si hanno incognite. I taiwanesi in maggioranza vogliono lo status quo e, al netto della forte polarizzazione politica interna, c’è comunque un sistema democratico stabile che sicuramente non si mette in discussione. Inoltre, una ipotetica dichiarazione di indipendenza formale non è da considerarsi un’opzione, nemmeno se le prossime elezioni presidenziali del 2024 fossero vinte da William Lai. Relativamente all’aspetto militare, ho l’impressione che la novità maggiormente significativa sia l’utilizzo della portaerei Shandong da parte della Marina di Pechino. Questo mette in evidenza le future, ipotetiche, intenzioni dell’Esercito Popolare di Liberazione, ovverosia provare a presidiare la costa orientale di Taiwan. È chiaro che una simile manovra, anche pochi anni fa, era molto difficile da immaginare, mentre adesso sta diventando una vera e propria opzione. Oggi la Repubblica Popolare non è ancora pronta ad attivare un vero e proprio blocco navale schierando unità della Marina a presidio della costa orientale dell’isola principale, tuttavia si ritiene che all’inizio del 2030 Pechino possa essere effettivamente pronta ad adottare questo genere di strategia. Lo Stretto di Taiwan, inoltre, sta diventando sempre di più una sorta di “mare interno”. Anzi, proprio relativamente a questo creo che la cosa più interessante delle manovre della scorsa settimana sia stata la combinazione tra presidio della portaerei al largo della costa orientale e pattugliamenti della Guardia Costiera cinese nello Stretto. Queste ultime operazioni forse suscitano meno attenzione, ma dal punto di vista di Taipei sono proprio queste azioni ad essere ritenute maggiormente inquietanti, anche perché ad oggi Taiwan non dispone di un vero e proprio protocollo adatto a rispondere. Tuttavia, va detto che di solito agli annunci fa spesso seguito qualcosa di più “low profile”. Se è vero che erano state annunciate queste azioni di pattugliamento speciale, che avrebbero dovuto prevedere anche ispezioni a bordo, al di fuori delle acque territoriali cinesi non si è verificato nulla di tutto questo. Pechino a volte fa annunci roboanti, ma nella pratica a questi non fanno seguito vere e proprie azioni. Penso ad esempio anche alle esercitazioni dello scorso agosto: nelle mappe diffuse da Pechino, alcune delle zone esercitative andavano a sovrapporsi alle acque territoriali taiwanesi, ma nessuna unità cinese ha mai superato tale limite.
Fig. 2 – Guardia d’onore a Taipei per la visita del Presidente del Guatemala Alejandro Eduardo Giammattei, 25 aprile 2023
Mi chiedo: quali possano essere le opzioni di Taipei, anche dal punto di vista militare, per evitare di venire “stritolata” dalla Repubblica Popolare? La “strategia del porcospino”, sulla quale punta la Repubblica di Cina, sarà effettivamente vincente sul lungo periodo?
Prima di tutto, se è vero che la lista dei paesi che riconoscono la Repubblica di Cina si sta assottigliando, è altrettanto vero che Taipei sta guadagnando punti in ambito diplomatico. Anzi, questo è proprio uno dei motivi che stanno portando la tensione a crescere sempre di più. Pechino vede che lo spazio diplomatico di Taiwan sta aumentando, e a testimonianza di ciò si pensi alla nuova fisionomia del rapporto con gli Stati Uniti o al crescente numero di delegazioni che si recano in visita a Taipei. Ciò detto, sul lungo periodo assisteremo globalmente ad una sempre maggiore compressione degli spazi di manovra taiwanesi e ciò, in considerazione del fatto che i mezzi militari a disposizione di Taiwan sono ancora piuttosto limitati, è senza dubbio un problema dal punto di vista militare. Come facevi notare anche tu, se “l’anaconda”, cioè la Repubblica Popolare, continua a stritolare Taipei, non so quanto effettivamente possa rivelarsi vincente questa “strategia del porcospino”. Proprio in considerazione della sostenibilità di questa strategia, ho personalmente avuto modo di appurare che a Taiwan ci si lamenta molto di due cose: in primis, i sistemi d’arma statunitensi arrivano spesso molto in ritardo, ed in secundis non vi è alcun genere di trasferimento tecnologico. E questo crea tutta una serie di problematiche, soprattutto di fronte alle costanti azioni di logoramento esercitate dalla Repubblica Popolare. Logoramento non soltanto psicologico ma anche fisico, che va ad impattare sull’hardware a disposizione del dispositivo militare taiwanese.
Evidentemente, a fronte di queste difficoltà, una ipotetica difesa diventa sempre più difficile. In sostanza, da parte taiwanese si chiede agli americani di puntare più sulla concretezza: meno riflettori, meno politica, meno ideologia e più fatti, ad esempio incrementare il grado di interoperabilità tra le due forze armate. Relativamente alle ipotetiche operazioni che potrebbe attivare la Repubblica Popolare, una cosa da osservare con attenzione riguarda la vulnerabilità dei cavi sottomarini. Se ad un blocco navale dovessero sommarsi anche gli effetti di un’ipotetica interruzione delle telecomunicazioni, evidentemente Pechino potrebbe non avere nemmeno bisogno di sbarcare. Questa, tra l’altro, sarebbe anche una delle opzioni preferibili per la Repubblica Popolare, perché la sgraverebbero dalla necessità di dover governare il territorio dopo aver compiuto un attacco cinetico devastante. Da parte cinese potremmo assistere ad un’azione sì dirompente, ma meno aggressiva di quanto si possa pensare, così da incrementare il proprio grado di controllo verso Taipei.
Fig. 3 – La portaerei cinese Liaoning entra nella baia di Hong Kong
Sono d’accordo. In ogni caso, a meno di eventi imprevisti, sembrerebbe quasi inevitabile che tra le due parti dovrà necessariamente esserci una sorta di “punto di incontro”. I due dovranno sedersi ad un tavolo.
Beh, una cosa che qui si dice molto, e che spesso viene sottovalutata, sta nel fatto che l’hype che si viene a creare quando negli Stati Uniti si parla di invasione spesso ha una ricaduta negativa sugli investimenti in loco. Ad esempio, da quanto so un po’ tutte le aziende americane che operano qui hanno avviato contingency plans, e la stessa Taiwan dal punto di vista statunitense è già stata designata come zona non particolarmente sicura per gli investimenti di lungo periodo. Se anche altri attori dovessero seguire questo esempio, paradossalmente Taiwan potrebbe trovarsi sempre più legata alla Cina. Anzi, Pechino potrebbe scommettere su questa tendenza, integrando nel suo calcolo anche la disastrosa situazione demografica che caratterizza Taiwan che, per inciso, entro il 2050 dovrebbe perdere il 25% della popolazione. Ergo, gli importanti problemi demografici da un lato e un’economia sempre più legata alla Repubblica Popolare dall’altro, potrebbero portare la dirigenza cinese a pensare che, prima o poi, Taipei dovrà necessariamente sedersi ad un tavolo. I calcoli potrebbero evidentemente essere diversi, ma da parte taiwanese questo è senza dubbio un tema importante, che spiega perché Taipei vuole stabilire un accordo di libero scambio con Washington. In ogni caso, va sottolineato che per Taiwan la dipendenza economica dalla Repubblica Popolare è ancora fortissima, nel solo 2021 è stato segnato il record storico dell’interscambio commerciale tra i due.
Inoltre, ricordiamo che Taiwan esporta in Cina continentale molto più di quanto importi. Sono chiaramente speculazioni, ma se da parte occidentale dovesse incrementare l’hype per un conflitto questo potrebbe implicare l’instaurazione di una dinamica che, sul lungo periodo, andrebbe a favorire maggiormente Pechino. Ci sono poi altri segnali interessanti: subito dopo l’ultimo incontro inerente alla cooperazione commerciale tra USA e Taiwan [ci si riferisce al “Joint Trade Initiative for the 21st Century”, n.d.r.], Pechino ha eliminato tutte le restrizioni sull’importazione di diversi prodotti agroalimentari taiwanesi. Ciò è una cosa abbastanza sorprendente, e che soprattutto è in controtendenza rispetto a quanto avvenuto a giugno 2022. Anche all’epoca Taiwan e USA stavano discutendo del medesimo accordo, ma la Repubblica Popolare aveva reagito bloccando subito l’import di una vasta gamma di prodotti. Insomma, da parte cinese c’è anche la consapevolezza di poter modulare con maggiore libertà di azione le diverse risposte in ambito commerciale. Va anche detto che questo è un anno molto particolare, e ritengo che le manovre di entrambe le parti siano fortemente condizionate dalle elezioni presidenziali taiwanesi del 2024.
a cura di Francesco Lorenzo Morandi
La seconda parte dell’intervista è disponibile qui.