Le interviste del Caffè – Lorenzo Lamperti, direttore di China Files, ci fornisce uno spaccato delle prossime elezioni presidenziali della Repubblica di Cina. Chi sono i candidati, e a quali scenari andiamo incontro? E come sono state prese le dichiarazioni che Macron ha pronunciato riferendosi a Taiwan? Per finire, qualche considerazione sul rapporto tra Roma, Pechino e Taipei.
La prima parte dell’intervista è disponibile qui.
William Lai sarà il candidato del DPP alle prossime elezioni presidenziali. Quali scenari potrebbe comportare una sua vittoria? Inoltre, quale potrebbe essere una radiografia dei candidati degli altri partiti? Ed il successo nelle precedenti elezioni amministrative del 2022 potrebbe portare dei vantaggi al Guomindang?
Lai è senza dubbio una figura maggiormente radicale di Tsai. Nel 2019 il DPP era ad un passo dalla scissione, proprio perché, all’interno del partito, la corrente di Lai giudicava come troppo morbida la posizione che Tsai aveva nei confronti di Pechino. Tuttavia, a seguito delle azioni allora intraprese dalla Repubblica Popolare Cinese, la frattura si ricompose e Tsai Ing-wen, che non avrebbe dovuto nemmeno candidarsi alle presidenziali del 2020, addirittura vinse. A Lai venne invece affidata la vicepresidenza. Tornando alle elezioni del 2024, sicuramente è vero che nel corso del tempo William Lai ha profondamente smussato la sua retorica indipendentista, ma altrettanto certamente Pechino non si è dimenticata delle sue dichiarazioni a favore della dichiarazione di indipendenza formale. È anche vero che il PCC non ha mai fatto differenze relativamente al rapporto intrattenuto con i vari leader espressi dal DPP, e penso che tale tendenza verrà sostanzialmente confermata anche nel caso di una vittoria di Lai. Nella visione di Pechino c’è solo il DPP, indipendentemente da chi siano le sue figure di punta. Inoltre, credo anche che la Repubblica Popolare continuerà ad agire riducendo sempre di più lo spazio di manovra taiwanese. Forse le manovre verranno condotte con maggiore vigore, ma penso ormai la linea di azione sia stata ampiamente tracciata.
Per quanto riguarda il GMD, all’interno del partito c’è un grande favore per Hou You-yi, attuale sindaco di Nuova Taipei. Non ha ancora ufficialmente annunciato la sua intenzione di candidarsi, ma le mosse che lo stanno vedendo protagonista, tra cui la visita a Singapore che avverrà a brevissimo, non sono a respiro unicamente locale. Inoltre Hou, che ha anche incassato il pieno sostegno di Ma Ying-jeou, è una figura molto popolare e non si è mai occupato di tematiche intra-stretto. Il fatto che il suo rapporto con la Cina continentale non sia “compromesso” è sicuramente un vantaggio per un politico del GMD in questo momento. Tuttavia, nel partito ci sono un po’ di resistenze nei suoi confronti: in primis, chi lo critica sostiene che non abbia una adeguata statura internazionale, in secundis Eric Chu, presidente del partito, cova ancora la speranza di potersi ricandidare per le presidenziali dopo essere stato sconfitto nel 2016.
Ancora, un’ulteriore candidata potrebbe essere Lu Shiow-yen, sindaca di Taichung, che sarebbe più che altro una scelta mediana tra le correnti di Ma e di Chou.
In ultimo, un altro potenziale candidato sarebbe Terry Gou, patron di Foxconn. Dall’esterno sembrerebbe il candidato ideale: uomo d’affari, capitano d’azienda e a capo di uno dei più importanti colossi tecnologici a Taiwan, con fittissimi rapporti tanto in Cina quanto negli Stati Uniti e addirittura ospitato da Trump alla Casa Bianca nel 2019. Tuttavia, sembra che non piaccia moltissimo ai taiwanesi. I sondaggi interni al GMD lo danno dietro sia a Hou You-yi sia a Lu Shiow-yen. Su di lui incidono alcune pesanti dichiarazioni fatte in passato, penso a quando paragonò gli operai di Foxconn a degli animali. È un personaggio controverso e, per quanto sia apprezzato dal settore imprenditoriale, non lo è dalle restanti frange dell’opinione pubblica taiwanese.
Altro candidato sarà con tutta probabilità Ko Wen-je, presidente del TPP (Taiwan People’s Party) ed ex sindaco di Taipei. La sua posizione si colloca sostanzialmente nel mezzo tra il DPP, che giudica troppo filoamericano ed il Guomindang, visto come troppo filocinese. Non credo che Ko abbia la possibilità di competere seriamente per la vittoria, ma una sua candidatura potrebbe fare defluire voti dal GMD, perciò potrebbe fungere da elemento di disturbo per quest’ultimo.
Relativamente al possibile vantaggio del quale godrebbe il GMD a seguito della vittoria alle elezioni amministrative dello scorso anno, in realtà non c’è un collegamento tra le due cose. Per assurdo potrebbe esserci un collegamento se il candidato fosse Chiang Wan-an, pronipote di Chiang Kai-shek e sindaco di Taipei. Una cosa però va detta: meno si parla dei rapporti intra-stretto, meglio potrebbe essere per il GMD. Se questo dovesse riuscire a spostare il voto su tematiche non inerenti al rapporto con la Cina continentale, allora da ciò se ne potrebbero trarre vantaggi. Se però i temi principali rimangono il rapporto con la Repubblica Popolare e questione identitaria, il vantaggio potrebbe averlo il DPP.
C’è anche da dire che la campagna elettorale per queste elezioni risulta complessa, e ho l’impressione che lo stesso GMD non abbia ben chiaro come organizzarla: se è vero che parlare di tematiche intra-stretto è rischioso, è altrettanto vero che, competendo contro un candidato più estremo come Lai, potrebbe essere vantaggioso spostare la campagna su questo tema. Ricordiamo che lo stesso MaYing-jeou ha spesso parlato di “scelta tra guerra e pace”. Insomma, all’interno del partito si vedono un po’ entrambi gli approcci, e la cosa non è benefica per esso, perché si fatica a trovare una sintesi. Ad ogni modo, il candidato del GMD verrà probabilmente annunciato tra maggio e inizio giugno, e solo in quel momento si inizierà la partita vera. Anche se ho l’impressione che il DPP sia comunque più coeso al suo interno.
Fig. 1 – La Presidente di Taiwan Tsai Ing-wen insieme allo Speaker della Camera USA Kevin McCarthy, 5 aprile 2023
Al netto del fatto che nello stesso DPP sono presenti elementi più radicali di altri.
Assolutamente, questo di sicuro. Però il turno spetta a Lai in questo momento, si sa già che sarà lui a correre, quindi anche all’interno del partito sembrano esserci meno discussioni. Poi vediamo chiaramente cosa può succedere da qui a dicembre. Personalmente non escludo un secondo scalo DPP negli Stati Uniti, che potrebbe esserci forse ad agosto. Diverse voci che mi sono arrivate nei giorni scorsi sembrano confermare questa ipotesi, anche se non è ancora chiaro chi tra Tsai e Lai potrebbe andarci. Inoltre, non dimentichiamo che il 30 aprile ci saranno le elezioni in Paraguay: se anche dovesse vincere il candidato che ha promesso di rompere le relazioni diplomatiche con Taipei in favore di quelle con Pechino, ciò non potrà avvenire nel momento dell’insediamento del nuovo esecutivo. E sarà in questa occasione che vedremo chi del governo taiwanese deciderà di presenziare, se Lai o Tsai. Inoltre, sulla strada per il Paraguay sarebbe altamente possibile uno scalo negli USA.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – William Lai, candidato del DPP alla presidenza per le elezioni del 2024
Macron recentemente è stato in Cina, e ha fatto dichiarazioni particolarmente interessanti relativamente a Taiwan. Queste dichiarazioni, che sono state commentate moltissimo, come sono state prese a Taiwan?
Molto male, ed anzi a Taiwan si è parlato più di questo tema che delle esercitazioni militari di Pechino. L’impressione data ai taiwanesi è stata quella di un’Europa pronta a mollare Taiwan. In effetti, le dichiarazioni di Macron sposano il pensiero di Xi Jinping, il quale vorrebbe che il dossier venisse regionalizzato. La Francia, va detto, ha provato a parare un po’ il colpo mandando subito una delegazione, ed una seconda verrà mandata nelle prossime settimane.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – Il Presidente francese Macron insieme a Xi Jinping durante la sua controversa visita in Cina, 7 aprile 2023
Un’ultima domanda. Poco tempo fa è stata battuta una notizia relativa ad ipotetici nuovi investimenti dei colossi tecnologici di Taipei nel nostro paese a fronte dell’abbandono italiano della Belt & Road Initiative. Qual è la tua opinione?
Sostanzialmente credo sia scorretto pensare che l’Italia voglia attrarre gli investimenti dei colossi taiwanesi dei chip utilizzando come leva l’uscita del paese dalla BRI. Alle aziende taiwanesi dei semiconduttori non importa se l’Italia sia parte o meno nella Belt & Road, non è un fattore rilevante. Però sicuramente il governo Meloni può utilizzare questa cosa come pretesto per uscire dalla BRI, e per giustificare ad alcune frange del mondo imprenditoriale italiano l’abbandono dell’iniziativa cinese. In ogni caso, non sappiamo per certo né come verrà gestita la probabile uscita dalla BRI da parte del governo italiano, né quale potrebbe essere la reazione cinese. Sicuramente da parte di Roma c’è l’interesse a mantenere buoni rapporti commerciali con la Repubblica Popolare, ma se Pechino dovesse applicare ritorsioni anche pesanti nel caso in cui l’Italia uscisse, allora questo potrebbe incentivare il nostro paese a prendere posizioni più estreme anche nei rapporti con Taiwan. Ma, in ogni caso, si parla di speculazioni.
a cura di Francesco Lorenzo Morandi
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