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Sui bombardamenti russi delle infrastrutture ucraine

Editoriale – I russi bombardano periodicamente le infrastrutture ucraine, in particolare quelle energetiche. È normale per i russi nel loro “modo di fare la guerra” (quella che chiamiamo “dottrina”)?

I bombardamenti russi delle infrastrutture ucraine non cessano davvero mai, alternando momenti meno intensi a quelli con numeri maggiori di missili. Ma è soprattutto l’insistere in tale tattica a colpire l’osservatore meno esperto. È normale farlo così in un conflitto? È normale per i russi nel loro “modo di fare la guerra” (quella che chiamiamo “dottrina”)?

Colpire le infrastrutture nemiche è una tattica vecchia come il mondo e i casi nella storia sono innumerevoli fin dall’antichità. Principalmente lo scopo è militare: elimino quelle strutture e capacità del nemico che sostengono il suo sforzo bellico. Lo scopo addizionale, quello psicologico per fiaccare la resistenza della società nel suo insieme, non è sempre stato usato in maniera analogamente diffusa, ma è comunque piuttosto – purtroppo – frequente, soprattutto se pensate che in passato la capacità militare di un popolo era strettamente legata alla sua demografia.

Tornando a oggi, la dottrina militare russa prevede una vera e propria gestione dell’uso della forza militare, espressa come “gestione dell’escalation”. L’impiego o meno di certi mezzi, armi o strategie (ad esempio il colpire o meno oltre certi limiti) dipende in particolare da cosa si ritenga necessario perché la guerra rimanga entro i limiti prefissati. Cosa significa?

Che in una guerra la preoccupazione russa riguarda la necessità di far sì che ogni conflitto non vada oltre certi limiti e che la valutazione di cosa fare dipende dal timore o meno che questi limiti siano superati.

I LIVELLI DI CONFLITTO

Non è un caso che la dottrina russa parli di diversi livelli di conflitto. In ordine crescente di intensità:

  • Pericolo militare
  • Minaccia militare
  • Conflitto Armato
  • Guerra locale
  • Guerra regionale
  • Guerra su larga scala

Quello in Ucraina è oggi considerato un conflitto allo stadio, per gli standard descrittivi russi, di “guerra regionale”, a causa dell’intervento esterno delle forniture NATO a supporto dello sforzo bellico di Kiev. Diventerebbe invece “guerra su larga scala” in caso di conflitto diretto con la NATO, per esempio.

Nel convincimento che la Russia possa vincere uno scontro a un certo livello di intensità, particolare attenzione è rivolta a cosa fare per evitare che lo scontro “salga” di livello. Quindi ad esempio immaginate l’interesse che una guerra locale non diventi regionale (la preoccupazione Russa che la guerra in Ucraina rimanesse “a due” senza aiuti esterni) o che una regionale non diventi su larga scala (che la NATO non intervenga direttamente). Il tipo di azioni possibili per farlo vanno da quelle militari a quelle non militari, anche se il focus della dottrina militare è ovviamente sugli aspetti militari.

L’aumento della violenza inflitta o dell’uso di determinati asset o nella scelta di determinati bersagli quindi risiede – semplifico – sia nel tentativo di portare l’avversario a cedere, che nel convincerlo che ulteriori aumenti di violenza siano possibili, consigliando quindi di non andare oltre a sua volta.

Vale la pena ripeterlo: si usano certe armi o si colpiscono certi bersagli sia per fiaccare il morale del nemico, che per dimostrargli che la Russia potrebbe anche alzare ulteriormente il livello… per convincere l’avversario a non provare a salire di livello a sua volta.

Che funzioni o meno è tutto da vedere, perché entrano in gioco numerosi aspetti, ma tale è l’idea di base. Torniamo quindi ai bombardamenti sulle infrastrutture.

OPERAZIONI STRATEGICHE PER LA DISTRUZIONE DI BERSAGLI CRITICAMENTE IMPORTANTI

La dottrina russa parla di “Operazioni strategiche per la distruzione di bersagli criticamente importanti”, SOPKVO (in inglese: SODCIT – Strategic Operations for the Destruction of Critically Important Targets).

Da un lavoro del Center for Naval Analysis che lo riassume:

“SODCIT is an operation designed to inflict a combination of material and psychological damage, while limiting civilian casualties and avoiding unintended escalation. The operation is aimed at critically important objects, or targets, of the military, economic, and political-administrative types.”

L’obiettivo di base è appunto degradare la capacità dell’avversario di condurre la guerra: la distruzione delle infrastrutture energetiche, ad esempio, impatta anche la macchina militare. O, come recentemente avvenuto, il colpire le difese antiaeree che impediscono di colpire direttamente le infrastrutture nemiche, come primo passo per poi attaccare più efficacemente queste ultime. La stessa esplosione della diga di Nova Kakhovka vuole impedire operazioni militari attraverso il fiume Dnipro nella zona di Kherson. Ma ci sono tre aspetti importanti da rilevare:

1) “Material and psychological damage”: nella dottrina russa è espliciato l’aspetto di combinare effetti materiali con il fiaccare la resistenza psicologica dell’avversario.

2) “Limiting civilian casualties”: è l’affermazione più controversa. La dottrina russa parla più volte della necessità di limitare le perdite civili nemiche per evitare che rafforzino la loro resistenza o causino problemi politici. Tuttavia questo contrasta con quanto osserviamo ogni giorno: vittime civili, colpi che cadono su case ed edifici che non appaiono bersagli legittimi. Ci sono due aspetti probabili da considerare: da un lato mostra la disponibilità russa ad accettare di causare “danni collaterali” superiore a quanto l’opinione pubblica occidentale riterrebbe accettabile. Dall’altro va ricordato che superiore agli aspetti militari è la decisione politica: la dottrina militare potrebbe prevedere di non colpire i civili, ma dipende dai vertici politici se accettare o addirittura incoraggiare tale pratica. E la demarcazione tra ciò che è considerato accettabile e ciò che non lo è per raggiungere il successo militare dipende fortemente anche da caratteri culturali e sociali.

Esiste quindi la contraddizione tra una dottrina che afferma una cosa e una realtà dei fatti che mostra il contrario. È possibile che i russi siano davvero convinti di evitare vittime eccessive nel loro operato. È tuttavia più probabile che non lo considerino un fattore limitante o che sia secondario rispetto alle necessità militari primarie, soprattutto se legato a un generico disprezzo verso il “nemico” e a chi lo appoggia.

3) “Avoiding unintended escalation”: indica che la decisione di usare o meno un certo livello di violenza o scegliere certi bersagli viene sempre valutato rispetto alle possibili conseguenze in termini negativi per la Russia stessa: la possibilità che entri in guerra qualcuno che prima era ai margini, la possibilità che il nemico colpisca analoghi bersagli miei, la possibilità che il conflitto salga al livello successivo, ecc…

Vale anche il contrario: nella mentalità strategica russa una certa azione nemica deve essere contrastata per far capire che farlo porta con sé determinate conseguenze negative: da qui ad esempio la risposta ciclica a certi attacchi ucraini, nell’idea di convincerli a non ripeterlo.

COLPIRE I CIVILI

Questi aspetti valgono anche per tutti gli altri aspetti di gestione dell’escalation da parte russa, incluso l’eventuale uso di arma nucleare tattica (che abbiamo trattato qui).

Ovviamente tutto questo gioca molto su aspetti anche psicologici e di percezione l’uno dell’altro: quanto sia forte la paura di perdere sul campo rispetto all’evitare vittime eccessive. O quanto sia errata la comprensione del punto di vista altrui: magari si crede di ottenere un certo risultato, o di non causare una certa risposta… e invece avviene il contrario.

Inoltre è evidente che nonostante quanto affermato dalla dottrina, in realtà l’aspetto di tutela dei civili, sia in termini di colpire gli stessi durante i bombardamenti sia in termini di danni indiretti a causa dei danni alle infrastrutture, non sia di fatto presente nell’impiego russo di questo strumento. O meglio: esso non appare una considerazione primaria soprattutto della leadership militare e politica; anzi l’aspetto psicologico che ne deriva appare assolutamente integrale a tale strategia. Non è una novità: lo abbiamo visto ampiamente anche in Siria con il bombardamento sistematico di aree urbane e strutture anche sanitarie.

Del resto il fatto che nella dottrina stessa si citino come negativi l’aspetto di aumentata resistenza delle vittime o i problemi politici derivanti, nega l’aspetto etico-morale, riportando il tema a un semplice calcolo di utilità pratica.

Lorenzo Nannetti

Immagine di copertina: “3x Tupolev Tu-95” by Andrey Belenko is licensed under CC BY 2.0.

Fonti:

M. Kofman, A. Fink, J.Edmond, “Russian Strategy for Escalation Management: Evolution of Key Concepts”, Center for Naval Analysis (2020), https://www.cna.org/reports/2020/04/russian-strategy-for-escalation-management-key-concepts

M. Kofman, A. Fink, D. Gorenburg, M. Chesnut, J. Edmonds, and J. Waller, “Russian Military Strategy: Core Tenets and Operational Concepts”, Center for Naval Analysis (2021), https://www.cna.org/reports/2021/10/russian-military-strategy-core-tenets-and-concepts

M.Galeotti “Putin’s Wars: From Chechnya to Ukraine”, Osprey Publishing (2022)

Sui bombardamenti e operazioni russe in Siria:

T. Cooper, “Moscow’s Game of Poker. Russian Military Intervention in Syria, 2015-2017”, Helion & Company (2018)

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Lorenzo Nannetti
Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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