Analisi – Il 26 ottobre il Governo argentino ha firmato un nuovo accordo con il Fondo monetario internazionale, il Memorándum de Políticas Económicas y Financieras (MPEF). Previsto lo stanziamento di un ulteriore fondo di 6 miliardi di dollari in aggiunta ai 50 del precedente prestito.
MACRI, UN NUOVO PRESTITO
Più del 60% dei fondi verrà erogato entro settembre 2019, a un passo dalle elezioni previste per il 27 ottobre. Le manovre annunciate da Macri per poter rispettare i requisiti del Fondo monetario internazionale (FMI) – che prevedono un deficit fiscale pari a 0 – includono politiche di austerità, tra cui aumento delle imposte, taglio ai sussidi, riduzione della spesa pubblica e licenziamenti di massa. Ma prima facciamo un passo indietro. Il deficit fiscale – ovvero il disavanzo causato da una maggiore spesa dello Stato in opere pubbliche come infrastrutture, beni e servizi rispetto alle entrate provenienti da imposte e multe – in Argentina è la regola. La differenza sta nell’uso di questo deficit. In alcuni Paesi, come la Germania, viene utilizzato per rendere competitiva l’industria e creare lavoro. Al contrario in Argentina il deficit fiscale è dovuto a un debito pubblico abnorme che non genera ricchezza. Ciò comporta una restrizione esterna, nel senso che non ci sono dollari a sufficienza per poter sostenere l’economia. Perché si parla di dollari e non di pesos? La moneta argentina è talmente instabile che l’economia del Paese si basa sul dollaro, tra le monete più forti al mondo. In periodi di sfiducia da parte dei mercati, di fuga di capitali, di pagamenti del debito, di siccità (che nuoce gravemente la produzione agro-pastorale), l’Argentina ha visto alla fine di aprile una svalutazione della moneta pari al 50%.
Di fronte a queste situazioni, sono due le manovre che potrebbero essere messe in atto dai Governi: stampare carta moneta – ma come emblematicamente il Venezuela ha dimostrato, ciò potrebbe comportare una iperinflazione, – oppure indebitarsi. A maggio Macri annunciò la decisione di iniziare le trattative con il FMI per il prestito più grande che l’Argentina abbia mai chiesto, pari a 50 miliardi di dollari da elargire in 36 mesi. La scelta ha scatenato non poche polemiche, visto il passato turbolento con l’Organizzazione durante la crisi del 2001. Ma secondo Christine Lagarde stavolta si tratterebbe di un accordo solido e sostenibile a livello economico, sociale e politico. Per la prima volta, difatti, il programma prevede la salvaguardia dei settori più vulnerabili grazie anche a un monitoraggio continuo degli indicatori sociali, la promozione dell’uguaglianza di genere − soprattutto rispetto al mercato del lavoro – e un ampliamento della spesa sociale pari allo 0,2% del PIL − che in particolar modo sarà diretto ai programmi di Asignación Universal por Hijo, Asignación Universal por Embarazo e Asignaciones familiares. La decisione di Macri si concretizza il 20 giugno del 2018, con la formalizzazione ufficiale dell’accordo con il FMI.
Fig. 1 – Christine Lagarde al recente incontro di Singapore
GLI OBIETTIVI DI MACRI
Gli obiettivi del programma, in maniera sintetica, riguardano:
- Il risparmio del 3,1% del PIL accumulato tra il 2018 e il 2021. In base all’accordo, le mete fiscali fissate precedentemente a -3,2% per il 2018, -2,2% per il 2019, -1,2% per il 2020 e pari allo 0% per il 2021, sono state modificate nel seguente modo: -2,7% nel 2018, -1,3% nel 2019, 0% nel 2020 e un avanzo dello 0,5% nel 2021. Si tratta di uno sforzo finanziario che include una variazione della spesa primaria pari al -3,7%. Tutte le percentuali finora elencati sono in base al PIL.
- La suddetta riduzione della spesa primaria (-3,7%) verrà messa in atto attraverso una serie di politiche di austerità. Si vuole restringere la costruzione di opere pubbliche, abbassando di un 15% il budget del 2019. Inoltre, si limiteranno i trasferimenti alle province fino a un 75% in termini reali, per un equivalente dell’1,2%, sempre rispetto al PIL. Seguirà una riduzione fino al 50% dei sussidi ai servizi di gas, elettricità e trasporti, con un aumento del 500% delle tariffe. E, infine, si vuole contrarre l’aumento dei salari nel settore pubblico, licenziare i dipendenti non prioritari e congelare le contrattazioni. Le pensioni e altre spese sociali (come assegni familiari), però, aumenteranno tra il 2019 e 2020 del 7%.
- L’aumento del debito pubblico, che passerà dal 2,1% del 2017 al 2,4% nel periodo 2018-2019, per poi scendere del 2,0% nel 2023. Il debito pubblico in questione riguarda il settore privato e le organizzazioni internazionali. L’interesse invece – relativo al settore privato, le organizzazioni internazionali e il settore pubblico finanziario – secondo il prospetto salirà dal 29,4% (2017) al 35,2% nel 2018, per poi scendere gradualmente a partire dal 2019 fino al 32,2% nel 2023.
- Il rafforzamento dell’autonomia della Banca Centrale (BCRA), una maggiore trasparenza sui resoconti del bilancio e la definizione di motivi chiari per la rimozione dei membri della direzione. Tutto ciò verrà eseguito attraverso la modifica della Carta Organica della BCRA del 2012. Un altro obiettivo è quello di evitare la volatilità nominale del tipo di cambio che si è visto a partire da aprile, elemento che crea sfiducia e conseguentemente danni all’economia del Paese. La BCRA interverrà nel mercato cambiario nel caso in cui il tipo di cambio mostri eccessiva volatilità − per questo è stata applicata una banda cambiaria di due zone. Lo schema è un sistema di fluttuazione cambiaria con una zona di non intervento tra i 34 e 44 pesos argentini pari a 1 dollaro US, per evitare così disordini nel mercato. Si prospetta, inoltre, che per maggio del 2021 si sarà ridotto il debito netto del Governo in potere della BCRA, per un ammontare di 25 miliardi di dollari US e che per la fine di luglio 2019 la BCRA tenti di avere come controparti nelle sue operazioni solo banche locali.
La serie di politiche sopra elencate non ha portato grande fiducia nel mercato, causando un’ulteriore svalutazione della moneta ad agosto. Di fronte a questa situazione, il Governo si è trovato con un dilemma tortuoso: adeguarsi all’accordo, creandosi però nemici tra la popolazione votante in vista delle elezioni per ottobre 2019, oppure non ricevere alcun finanziamento e slegarsi dal FMI. La soluzione non è stata nessuna delle due. A settembre è stata annunciata l’intenzione di un nuovo accordo Stand-By con il FMI, che prevede lo stanziamento di un ulteriore fondo pari a 6 miliardi e l’erogazione di 14 miliardi per i mesi restanti del 2018 (invece dei 6 previsti inizialmente), più un ammontare pari a 23 miliardi per il 2019 (anziché gli 11 miliardi segnalati nell’accordo di giugno). Inoltre, questi fondi previsti per il 2019 potranno far parte del budget nazionale ed essere utilizzati per la spesa pubblica – soprattutto per la protezione sociale. Quest’ultima continuerà a essere una componente centrale nel nuovo programma, il quale vuole dare priorità alla spesa verso l’assistenza sociale e pianificare un aumento nel caso in cui le condizioni sociali si deteriorino. Inoltre, il Governo acconsente a continuare con la politica di riduzione della spesa pubblica, abbassando quindi il deficit fiscale, che, secondo il FMI, è la fonte di maggiore disequilibrio del Paese.
Fig. 2 – Il presidente argentino Macri
IL PRESTITO E IL MODELLO DI CRESCITA A “V”
Il nuovo accordo, il MPEF, è stato stipulato ufficialmente il 26 ottobre e, secondo l’annuncio, il piano economico rafforzato dell’Argentina punta a consolidare la fiducia e a stabilizzare l’economia, sperimentando una crescita definita a “V”. Secondo questa strategia la crescita cadrà tra il 2-3% nel 2018 e tra lo 0,5-2% nel 2019, causando poi un impatto nel quarto trimestre, momento in cui si constaterà invece un rialzo dell’8,5% del PIL inter-annuale. Questo vuol dire che, anche se il 2018 finirà in recessione, verso il periodo delle elezioni il Governo potrà mostrare dei risultati iniziali. Secondo Lagarde il fatto che proprio l’anno prossimo ci sarà un’erogazione maggiore è un buon segno, visto che nel 2019 scadono diversi debiti dell’Argentina, che si temeva non potesse pagare. Difatti l’obiettivo principale della politica fiscale è sempre quello di raggiungere un equilibrio per ridurre così il debito pubblico e porre le basi per una crescita economica sana, anche a discapito di politiche di austerità che limitano la produzione nazionale. A tal proposito, per migliorare la coordinazione tra il ministero delle Finanze e la BCRA nelle emissioni del debito e per agevolare lo sviluppo del mercato si è stabilito un comitato di alto livello di coordinazione per la gestione del debito. Questo comitato si riunirà settimanalmente e coordinerà le attività vincolate ai piani di emissione del debito. Per quanto riguarda le politiche monetarie, secondo il programma, saranno più solide, verificabili e semplici, focalizzate sempre nella riduzione dell’inflazione. Quest’ultima verrà ridotta attraverso un contenimento dell’offerta monetaria, con tassi di interesse a breve termine per una soglia minima del 60%. Inoltre la BCRA si impegna a non vendere divise per quest’anno, mantenendo l’autonomia operativa.
Ridare fiducia ai mercati, ridisegnare la strategia politica della BCRA per far sì che l’inflazione si abbassi per il 2021, diminuire gli squilibri nella bilancia dei pagamenti e proteggere i settori più vulnerabili: sono questi i principali elementi di attuazione del MPEF. Quanto riferito su questo articolo è un’estrapolazione dalle informazioni riportate all’interno di documenti ufficiali, quali l’accordo di giugno, il MPEF, il Presupuesto 2019 e le varie comunicazioni presenti sulle pagine web del FMI, della BCRA e del Governo argentino. Detto questo, l’effettiva concretezza del programma, nonché le sue solidità, validità e chiarezza – elementi tanto millantati nei vari documenti ufficiali – non sono del tutto immediate. Si è posto l’accento in particolar modo sulla spesa e sull’assistenza sociale, che, in un contesto di dipendenza economica rispetto a un’Organizzazione quale il FMI, non è escluso che possano essere messe da parte. Tuttavia, come la stessa Lagarde ha sostenuto, questa volta non sarà così. Eppure, se si presta un attimo di attenzione, si può notare come la pragmaticità di questo obiettivo non è scontata. Non è chiaro, difatti, in che modo verrà effettuato il monitoraggio degli indicatori sociali, e soprattutto quali “indicatori” verranno presi in considerazione. Monitoraggio − secondo quanto riportato nel MPEF − che servirà ad agire e ad andare oltre la spesa dello 0,2% del PIL prevista per l’assistenza, nel caso in cui ce ne fosse bisogno, attraverso un aiuto mirato. Pure in questo caso, non si è dato ampio spazio alla descrizione effettiva delle politiche sociali, nonostante siano un elemento di novità nell’accordo.
Fig. 3 – L’ex presidente argentina Cristina Kirchner parla al Banco Central nel 2010
Affiancare queste promesse per creare forse un clima di fiducia a politiche di austerità – come una diminuzione dei fondi alle province, dei sussidi per elettricità, gas e trasporto e dei salari, più tagli ai posti di lavoro e aumento delle tasse – suona discordante. Ma secondo Nicolás Dujovne e Guido Sandleris, rispettivamente ministro delle Finanze e Presidente della BCRA, il modello economico a “V” permetterà al Paese un avanzamento in termini di crescita e conseguentemente un restauro della fiducia da parte degli investitori. Modello che, secondo i pronostici, porterà i suoi primi frutti nel quarto trimestre del 2019, in occasione delle elezioni. Successivamente, il modo in cui verrà gestito il debito e le manovre economiche dipenderà dalla nuova classe dirigente del Paese. Col nuovo accordo si è cercato di creare un clima favorevole per l’anno che verrà nei confronti del sistema attuale di libero mercato, che, se si dovesse riscontrare una risposta positiva anche alle elezioni del 2019, si accoderebbe nuovamente agli altri regimi neo-liberisti che recentemente stanno ricomponendo il nuovo assetto politico-economico mondiale.
Sonia Loddo