Analisi – Gli eventi del 7 ottobre hanno aggravato la già difficile situazione umanitaria nella Striscia di Gaza. Con la scarsità dei beni di prima necessità e il blocco dei valichi di frontiera, gli aiuti umanitari sono bloccati al confine della regione e non possono entrare se non dopo approvazione di Israele, riversando la popolazione in una catastrofe umanitaria.
UNA CRISI UMANITARIA GIĂ€ IN CORSO
Nella Striscia di Gaza non era certamente necessario l’inizio di un assedio per far scoppiare una crisi umanitaria. Date le sue peculiari caratteristiche, ovvero essere una delle regioni piĂą densamente popolate al mondo – circa 2,3 milioni di persone in 365 chilometri quadrati – e le condizioni precarie in cui giĂ verteva dovute al blocco marittimo, terrestre e aereo della Striscia dal 2007, a seguito dell’inizio del controllo della Striscia da parte di Hamas imposto da Israele ed Egitto. Un precedente controllo dell’ingresso e dell’uscita di beni e persone era comunque giĂ stato messo in atto dai due Paesi tra il 2005 e il 2006.
Il report di UN OCHA del 2022 (Humanitarian Needs Overview 2022) riportava un numero di persone richiedenti assistenza di base pari a 1,32 milioni all’interno di Gaza e 750mila nei territori della Cisgiordania. Le gravi difficoltà della situazione a Gaza erano iniziate dal 2014 soprattutto in termini di infrastrutture, mancanza di energia e una ridotta attenzione da parte dei donatori internazionali.
I fatti del 7 ottobre scorso hanno aggravato ancora di più la situazione. Secondo l’articolo 23 della Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra, ciascuna parte del conflitto deve autorizzare il passaggio di “qualsiasi invio di medicamenti e materiale sanitario, […] e di qualunque invio di viveri indispensabili”. In realtà , in antitesi al diritto umanitario, all’indomani dell’attacco di Hamas, il Ministro della Difesa Yoav Gallant in un video messaggio ha ordinato l’assedio totale di Gaza e ha annunciato che “non ci sarà elettricità , cibo, acqua, carburante, tutto sarà chiuso”.
Il Flash Appeal di OCHA del 12 ottobre ha identificato un totale di 294 milioni di dollari per rispondere all’emergenza a Gaza e in Cisgiordania dopo gli attacchi israeliani ancora in corso. Il 22 ottobre, UN OCHA riporta un numero di 1,4 milioni di sfollati interni nella Striscia e 15.749 edifici abitativi completamente distrutti. La risposta dei donatori ha coperto al 24 ottobre il 7,9% della richiesta attraverso diversi contributi tra cui di Stati Uniti (58%), Francia (6,8%), Qatar Red Crescent Society (4,3%) e Norvegia (3,6%).
L’Humanitarian Response Plan già in corso prima delle ostilità aveva visto una risposta dei donatori pari al 44,5% rispetto ai fondi necessari calcolati da UN OCHA per rispondere ai bisogni della popolazione nell’anno in corso. I principali donatori sono stati Germania, Giappone, Unione Europea, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti. Questi dati riflettono solo le donazioni nel canale multilaterale di OCHA e non considerano altri tipi di aiuto attraverso organizzazioni non governative internazionali.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Salvataggio di corpi dalle macerie dopo i bombardamenti a sud della Striscia di Gaza. Rafah, sud di Gaza 24 ottobre 2023
IL BLOCCO DEI VALICHI DI FRONTIERA
La conditio sine qua non iniziale per il passaggio di aiuti umanitari attraverso i valichi di frontiera che collegano Gaza con l’esterno era stata il rilascio dei civili israeliani presi in ostaggio da Hamas. A seguito di pressioni internazionali, Benjamin Netanyahu ha acconsentito a permettere che l’unico valico attraverso cui gli aiuti possono passare sia quello controllato dall’Egitto (il valico di Rafah a sud della Striscia), a condizione che i beni non arrivino nelle mani di Hamas. Oltre al passaggio degli aiuti umanitari, il valico di Rafah dovrebbe essere la porta di uscita per i palestinesi prima che Israele cominci la sua operazione di terra dentro Gaza. Ma fuga dei palestinesi non è così facile e soprattutto i Paesi limitrofi, in particolare l’Egitto, temono il loro ricollocamento in maniera definitiva.
Fino ad ora l’apertura e la chiusura dei sette valichi era sottoposta ad alte restrizioni, che hanno portato a definire la Striscia come una “prigione a cielo aperto”, tanto che già nel 2011, in un report dell’Assembla Generale delle Nazioni Unite sulla “questione palestinese” si evidenziava una situazione di “collective punishment of the entire population”.
Il 21 ottobre scorso, con una dichiarazione del Sottosegretario generale per gli affari umanitari e coordinatore degli aiuti di emergenza delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, ha annunciato che la prima carovana di aiuti, composta da 20 camion, proveniente dall’Egyptian Red Crescent è riuscita a passare il valico di frontiera di Rafah. Il 22 ottobre, il valico è stato riaperto con l’ingresso di 14 container con cibo, acqua, e medicinali. Il corrispondente di al-Jazeera James Bays l’ha definita “una goccia nel’oceano” considerando che prima del recente conflitto i container per l’aiuto umanitario a Gaza erano circa cento al giorno.
In nessuno dei due casi è stato fornito carburante che risulta però fondamentale per la risposta umanitaria. Riprendendo le parole del Commissario Generale dell’UNRWA Philippe Lazzarini: “senza carburante, non ci sarà acqua, non funzioneranno né gli ospedali né le panetterie. Senza carburante, gli aiuti non raggiungeranno i più bisognosi. Senza carburante, non ci sarà nessuna assistenza umanitaria”.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Esplosioni provocate dagli attacchi israeliani a sud della Striscia di Gaza. Rafah, 24 ottobre 2023
L’AIUTO DAL GOLFO
A livello regionale, i primi contributi umanitari provengono dal Kuwait, che già l’8 ottobre aveva annunciato l’invio di 2 milioni di dollari all’UNRWA per supportare gli sfollati interni palestinesi. La stessa cifra è stata promessa dall’Arabia Saudita. Nell’inviare il contributo, l’ambasciatore del Kuwait in Giordania, H.E Hamad Rashid Al-Marri, ha dichiarato che il Paese supporta la causa palestinese a seguito anche delle ripetute dichiarazioni in cui il Paese si è opposto ad una normalizzazione delle relazioni con Israele se prima non si fosse raggiunto un processo di pace con la Palestina. Nel 2021 e 2022 il Kuwait aveva donato rispettivamente 11,5 milioni di dollari e 12 milioni di dollari all’UNRWA, attraverso core contributions, in cui il donatore non specifica il settore o la particolare allocazione geografica dei fondi nel canale multilaterale.
Alla lista dei donatori si aggiunge, non sorprendentemente, il Qatar, che, oltre ad essere uno dei principali finanziatori della Striscia di Gaza -solo nel 2021 ha ripartito 310.5 milioni di dollari ai territori di Gaza e della Cisgiordania – ha anche condannato severamente Israele e si è schierato prontamente con la causa palestinese. Qatar Red Crescent Society (QRCS) ha allocato un 1 milione di dollari per fornire materiali sanitari per aiutare gli ospedali a Gaza (Disaster Response Fund), mentre Qatar Charity ha lanciato la raccolta fondi “For Palestine” per aiutare il popolo palestinese.
Anche gli Emirati Arabi Uniti hanno donato all’UNRWA 20 milioni di dollari per gli aiuti umanitari. La posizione degli EAU, in realtà , se da un lato desta stupore considerati i forti legami con Israele, sono stati, infatti, i primi a firmare gli accordi di Abramo del 2020 per la normalizzazione, dall’altro, rimane in linea con la politica seguita in questi anni, che ha visto il finanziamento di diversi fondi tramite l’UNRWA per i campi profughi palestinesi, stimando che tra il 2021 e il 2022 siano stati stanziati circa 172.8 milioni di dollari.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – Servizi di emergenza palestinesi in cerca delle vittime negli edifici colpiti a Khan Yunis a sud della striscia di Gaza, 24 ottobre 2023
DIPLOMAZIA UMANITARIA E VOLONTĂ€ POLITICA
A livello internazionale sono molti sia i Paesi che si sono impegnati nell’invio di finanziamenti per l’assistenza umanitaria nella regione, si pensi ad esempio agli Stati Uniti, che hanno annunciato una donazione di 100 milioni di dollari per la risposta all’emergenza palestinese.
L’Unione Europea tramite ECHO (European Civil Protection and Humanitarian Aid Operations) ha lanciato l’operazione EU Humanitarian Air Bridge che consiste nell’invio di diversi cargo via aerea attraverso l’Egitto per il trasporto di beni necessari alla prima risposta umanitaria. La Presidente von der Layen ha annunciato un finanziamento pari a 75 milioni di euro per la risposta all’emergenza di Gaza.
La risposta umanitaria comunque non sarà mai sufficiente se una risposta politica che tuteli i civili e preveda un cessate il fuoco immediato non verranno implementati nel breve periodo. La diplomazia umanitaria necessita di attori in grado di mediare nelle crisi, nel rispetto del diritto internazionale umanitario e della tutela dei civili durante un conflitto. Il 18 ottobre, gli stati Uniti hanno imposto il proprio veto nel Consiglio di Sicurezza circa una risoluzione avanzata dal Brasile che prevedeva il cessate il fuoco immediato e l’apertura di corridoi umanitari per la risposta all’emergenza. La risoluzione aveva ottenuto il supporto di 12 membri del Consiglio, due permanenti (Francia e Cina), e altri due astenuti (Russia e Regno Unito).
Se adottata, la risoluzione avrebbe condannato ogni violenza e ostilità contro i civili, inclusi gli attacchi di Hamas avvenuti a partire dal 7 ottobre e chiesto il rilascio immediato di tutti gli ostaggi e la protezione di tutto il personale medico e umanitario presente a Gaza, insieme alla revoca dell’ordine imposto ai civili e al personale ONU di evacuare tutte le aree a nord di Wadi Gaza. Avrebbe inoltre sollecitato la fornitura continua, sufficiente e senza ostacoli di beni e servizi essenziali ai civili, tra cui elettricità , acqua, carburante, cibo e forniture mediche, ai sensi del diritto internazionale umanitario.
Francesca Giordano e Altea Pericoli
Immagine di copertina: “borders / frontiere” by Paolo Cuttitta palestine is licensed under CC BY