Caffè Lungo – L’Unione avrebbe a disposizione almeno due armi dirompenti da opporre a Trump, ma i Paesi membri sono ancora divisi.
L’AGGRESSIVA POLITICA DEI DAZI DI TRUMP STA DANDO I SUOI FRUTTI?
Il 12 maggio scorso, al termine di negoziati tenuti a Ginevra, il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha comunicato che gli Stati Uniti abbasseranno i dazi sulle importazioni cinesi dal minacciato 145% al 30%, mentre la Cina dal canto suo ridurrà le tariffe reciproche sui beni USA dal 125% al 10%. Quanto duratura sarà questa decisione è tutto da vedere, trattandosi in effetti di una sospensione di 90 giorni. L’annuncio comunque segna una tregua nella guerra dei dazi scatenata da Donald Trump, a poca distanza dall’accordo USA-Gran Bretagna sulla stessa materia. L’8 maggio era stato il Presidente degli Stati Uniti ad annunciare trionfalmente il deal raggiunto con il Regno Unito, in base al quale resterebbe comunque in vigore il dazio universale del 10% imposto sulle merci britanniche. Anche il Primo Ministro britannico Keir Starmer ha definito l’accordo “storico”.
Sembrerebbe dunque che l’aggressiva politica dei dazi messa in campo da Trump stia dando i suoi frutti, permettendo per il tramite di minacce iperboliche la conclusione di accordi favorevoli alla bilancia commerciale e, soprattutto, alle casse degli Stati Uniti.
In realtà, è ancora da dimostrare che il metodo “estorsivo” di Trump, consistente nell’impaurire le vittime per costringerle ad accordi a loro sfavorevoli, stia veramente funzionando. Per ora abbiamo degli annunci, relativi ad accordi su cornici molto generali. Ma i dettagli sono ancora tutti da negoziare.
Piuttosto, sembra plausibile che gli accomodamenti negoziali annunciati con tanta enfasi mascherino, almeno in certa misura, una resa dell’Amministrazione statunitense alla realtà, imposta dalle reazioni negative dei mercati (soprattutto dei bond, necessari per sostenere l’alto debito pubblico) e, probabilmente, anche da pressioni del mondo imprenditoriale, bancario e finanziario statunitense.
Fig. 1 – L’incontro tra Vance, Meloni e von der Leyen il 18 maggio a Roma
COSA FA L’UE?
L’UE Potrebbe cedere al ricatto del 10%, magari cercando di limare qualcosa accettando di acquistare GNL (gas naturale liquefatto) e armamenti americani. Oppure rispondere rilanciando. Il fatto che i vertici UE temporeggino non è casuale, infatti le posizioni all’interno dell’Unione sono ancora divise e fluide. A chi sostiene la linea dura, come la Francia, si oppone chi teme di avere la peggio nel gioco al massacro delle rappresaglie, come alcuni Paesi dell’Europa centrale, e chi sembra terrorizzato all’idea di schierarsi, vedi l’Italia. Probabilmente, sarà decisivo l’atteggiamento del nuovo Cancelliere tedesco Friedrich Merz, alla cui posizione è ragionevole ritenere che la Commissione di Ursula von der Leyen, competente a trattare per l’UE, si allineerà. Merz ha una storia politica “filo-atlantica”, ma anche di grande attenzione al mondo imprenditoriale e bancario, al limite del conflitto d’interesse, visto il suo passato di uomo d’affari e lobbista. Da alcune sue dichiarazioni sembra aver metabolizzato la transizione degli USA da alleato imprescindibile a minaccia possibile, sicuramente in materia di sicurezza, ma anche nei rapporti economici. Soprattutto, sembra intenzionato a non accettare l’imposizione di divisioni tra gli europei (accordi statali bilaterali). Non potrebbe essere altrimenti, vista la competenza UE.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Il Commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic
DUE ARMI ‘FINE DI MONDO’
Se i Paesi dell’UE decidessero di rispondere con le maniere forti al ricatto trumpiano, avrebbero a disposizione almeno due strumenti potenzialmente dirompenti: il ricorso al regolamento anti-coercizione e la tassazione delle imprese high-tech.
Il primo strumento prevede la constatazione della coercizione economica. Secondo il regolamento, “c’è coercizione economica quando un Paese terzo applica o minaccia di applicare una misura che influisce sul commercio o sugli investimenti con l’obiettivo di impedire la cessazione, la modifica o l’adozione di un atto particolare da parte dell’Unione o di uno Stato membro, o di ottenere dall’Unione o da uno Stato membro la cessazione, la modifica o l’adozione di un atto particolare, interferendo così nelle scelte sovrane legittime dell’Unione o di uno Stato membro”, precisando che i criteri da considerare sono “l’intensità, la gravità, la frequenza, la durata, l’ampiezza e l’importanza della misura del paese terzo”. Constatata la coercizione, alla UE spetta poi la decisione sulle misure di rappresaglia, che “Deve essere reciproca e proporzionata”. Non è difficile stabilire che i dazi generalizzati al 10% imposti urbi et orbi, nonché le minacce di tariffe ulteriori, sono utilizzati dall’Amministrazione americana come leva ricattatoria per ottenere forzatamente concessioni di vario tipo (commerciali e regolatorie). Non è necessaria l’unanimità per attivare il regolamento anti-coercizione: è sufficiente una maggioranza qualificata di 15 Paesi su 27, purché rappresentino almeno il 65% della popolazione totale dell’UE.
L’altra “arma fine di mondo” sarebbe un’effettiva tassazione delle grandi aziende high-tech statunitensi, in particolare sotto forma di una tassa unica a livello europeo sui ricavi pubblicitari dei servizi digitali, come prospettato da von der Leyen. In questo modo si colpirebbero al cuore (nel portafoglio) i grandi finanziatori di Trump: Meta e Google da soli gestiscono quasi il 90% del mercato pubblicitario globale e non possono rinunciare ai dati di 450 milioni di cittadini europei. In generale, l’imposizione di una tassa del genere sarebbe una misura di fiscalità, per cui sarebbe necessaria una decisione unanime dei 27 per imporla. A fronte delle misure unilaterali imposte dagli Stati Uniti, però, secondo gli esperti l’imposizione sui ricavi pubblicitari sarebbe classificabile come un dazio doganale applicato all’intero mercato unico, come misura di reciprocità, dunque rientrerebbe nella competenza della Commissione Europea, a prescindere da eventuali posizioni dissenzienti di alcuni Paesi membri. Ma la Commissione, per ovvi motivi, conduce i negoziati commerciali e definisce le misure da prendere nei limiti di un mandato i cui parametri sono comunque definiti dagli Stati membri. Soprattutto, non agisce se non coperta politicamente da una maggioranza più che solida. Finché i Paesi europei rimarranno su linee diverse, anche la Commissione sarà bloccata.
Paolo Pellegrini
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