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Droni, missili e satelliti: il Giappone si difende così

In 3 sorsi – Un Paese pacifista da settant’anni, due vicini scomodi e oggi sempre più minacciosi, uno storico alleato. Oggi il Giappone guarda alle nuove tecnologie per difendersi da possibili attacchi, sulla terra o nello spazio

1. UNA SITUAZIONE DIFFICILE – Quattro missili balistici che decollano contemporaneamente dalla Corea del Nord verso il Mare del Giappone sono una scena che nessuno nel Giappone stesso, nella Corea del Sud e nella comunità internazionale nel suo complesso, avrebbe mai voluto vedere. Sapere poi che tre su quattro hanno raggiunto la ‘zona economica esclusiva’ giapponese, a 250 km dalla costa, deve aver risvegliato gli incubi peggiori di un Paese che del nucleare porta ancora le cicatrici. Era marzo. Da allora si sono susseguiti altri lanci, alcuni falliti e uno invece riuscito: un razzo lanciato quasi verticalmente “con la massima angolazione in considerazione della sicurezza del Paesi vicini”, come affermato in modo “magnanimo” dal leader nordcoreano Kim Jong-un. Con diversa traiettoria avrebbe potuto volare per 4.500 km fino all’isola di Guam, territorio statunitense.
Di fronte a questa minaccia e in un contesto di tensione nelle relazioni con la Cina per l’irrisolta disputa sulle isole Senkaku/Diaoyu di forte interesse strategico, militare e commerciale per entrambi i Paesi, il Premier giapponese Shinzo Abe sta intensificando i suoi sforzi per una modifica dell’art. 9 della Costituzione. Questa è la pietra su cui poggia l’intera impostazione pacifista dell’organizzazione statale giapponese sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Una modifica che potrebbe permettere al Giappone di intraprendere azioni militari al di là della pura autodifesa. Nel frattempo il Ministero della Difesa ha deciso di stanziare un cospicuo budget per il rafforzamento del sistema anti-missile e per lo sviluppo di tecnologie da utilizzare nello spazio, la nuova frontiera delle strategie di difesa (e in futuro forse non solo quella).

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Fig.1 – La televisione sudcoreana trasmette la notizia del lancio di quattro missili balistici dalla Corea del Nord, marzo 2017

2. MISSILI ANTI-MISSILE – Il budget del Ministero della Difesa giapponese per il 2017 prevede, per contrastare possibili attacchi con missili balistici, l’aggiornamento dei cacciatorpediniere equipaggiati con il sistema statunitense di difesa antiaerea e missilistica Aegis. Allo stesso tempo le autorità giapponesi vorebbero acquistare un buon numero di missili anti-missile, cioè in grado di essere lanciati dalle navi e intercettare i vettori nemici a corto e medio-raggio. A sostegno di queste iniziative il Governo di Tokyo ha stanziato finora 64,9 miliardi di yen (circa 524 milioni di euro). È di pochi mesi fa, inoltre, la notizia che il Giappone potrebbe dotarsi, come già la Corea del Sud, del sistema di difesa missilistica statunitense THAAD (Terminal High Altitude Area Defense). Tutto questo, però, non basta a rassicurare il Governo Abe e i suoi principali partner internazionali: nessun sistema è sicuro al 100% e in più tutti questi missili, compreso il THAAD, sono progettati per colpire vettori nella loro fase finale, di discesa, con la conseguenza che a quel punto un fallimento sarebbe irrimediabile. Inoltre i detriti dei missili intercettati, contenenti potenzialmente materiale chimico o radioattivo, ricadrebbero molto vicini ai loro obiettivi con gravi conseguenze per la popolazione civile. Già dagli anni ‘80 si è pensato a una soluzione drastica, che eliminasse il problema alla radice: colpire i missili direttamente in fase di lancio, quando la velocità è inferiore ed è quindi più facile colpire il target senza il rischio di errori. In questo caso i detriti ricadrebbero presumibilmente sul territorio del Paese di lancio oppure, nel caso di un missile dalla Corea del Nord al Giappone, in mezzo al mare. Questa soluzione apparentemente vincente presenta però non pochi problemi tecnici: tanto per citarne uno, si tratterebbe di intercettare per esempio un missile con una gittata di 1000 km – la distanza che separa la Corea del Nord dalle coste giapponesi – in soli 100 secondi, ovvero il termine della spinta dei motori che rende possibile la rilevazione all’infrarosso. Vi è poi il problema politico di dover giustificare l’abbattimento e la distruzione di un missile sul suolo di un altro Paese senza poter dimostrare inequivocabilmente che tale missile fosse diretto contro il proprio territorio né che portasse una testata chimica o nucleare. Il Paese colpito potrebbe infatti affermare che il suo razzo era stato costruito per scopi pacifici, come la messa in orbita di un normale satellite per le telecomunicazioni. Se il problema ‘politico’ è di difficile risoluzione, quello tecnologico potrebbe invece essere superato in un prossimo futuro.

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Fig. 2 – Esercitazioni delle Forze di Auto-Difesa giapponesi ai piedi del monte Fuji nel 2005

3. I DRONI E LO SPAZIO – Sta infatti cominciando a farsi strada la possibilità di utilizzare droni (UAV – Unmanned Aerial Vehicle) posizionati a un’altitudine di 17.000 metri ed equipaggiati con sensori a infrarossi capaci di rilevare un missile a quasi 600 km di distanza dallo spazio aereo nordcoreano, il che darebbe tempo sufficiente ad attivare una risposta. I missili anti-missile (da poco più di 200kg. l’uno) in questo caso partirebbero non dalle navi o da terra, come nei sistemi cui si è accennato prima, ma direttamente dai droni. Si tratterebbe di utilizzare tecnologie che già esistono. Al momento solo gli Stati Uniti stanno sviluppando questo genere di droni e potrebbero venderli in futuro ai propri alleati nel Pacifico. Nel frattempo, a supporto delle operazioni delle sue Forze di Auto-Difesa, il Giappone ha lanciato a gennaio il suo primo satellite militare per telecomunicazioni, progettato per incrementare l’invio di dati in banda larga e rendere quindi più efficienti le comunicazioni su un territorio vasto e composto da numerose isole, tra cui quelle contese con la Cina.

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Fig. 3 – Il razzo H-IIA, con a bordo il primo satellite giapponese di telecomunicazioni militari, decolla dal Tanegashima Space Center nella prefettura di Kagoshima, gennaio 2017

Le autorità giapponesi stanno anche preparando un programma Space Situational Awareness (SSA) per il monitoraggio degli oggetti in orbita allo scopo di evitare possibili collisioni con satelliti di altri Paesi. Tale sistema dovrebbe entrare in funzione verso il 2020. Il confronto tra Tokyo e i suoi rivali regionali oggi non è più quindi solo convenzionale: è arrivato ormai anche nello spazio.

Claudia Filippazzo

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

La sicurezza nello spazio non è importante solo dal punto di vista del singolo Stato. Uno scontro tra satelliti in orbita, intenzionale o meno, non comprometterebbe solo la funzionalità dei satelliti coinvolti, ma darebbe origine anche a una moltitudine di detriti che, nell’orbita “bassa” (quella più affollata da altri satelliti), si troverebbero a viaggiare – incontrollati – a una velocità di circa 27.000 km/h, creando il rischio di collisioni a catena. [/box]

 

Foto di copertina di NASA Goddard Photo and Video Licenza: Attribution License

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Claudia Filippazzo
Claudia Filippazzo

Giornalista professionista, inizia la sua carriera come praticante nelle sedi ANSA di New York e Washington. La sua passione per la politica internazionale la porta ad approfondire la conoscenza dell’area dell’Estremo Oriente. Per due anni risiede e lavora a Tokyo, come responsabile delle pubbliche relazioni e dell’ufficio stampa della Camera di Commercio Italiana in Giappone e direttore della rivista camerale. Consegue poi un Master in Istituzioni e Politiche Spaziali per approfondire, tra gli altri, i temi legati allo sviluppo delle telecomunicazioni, dei servizi di navigazione satellitare e dell’osservazione della Terra. Completa il corso in Earth Observation from Space organizzato dall’ESA (European Space Agency), studiando i cambiamenti ambientali e i flussi migratori legati alle variazioni climatiche e alla crescente pressione demografica in diverse aree del pianeta

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