venerdì, 19 Dicembre 2025

APS | Rivista di politica internazionale

venerdì, 19 Dicembre 2025

"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

Associazione di Promozione Sociale | Rivista di politica internazionale

Home Blog Page 384

Una scelta strategica per Trump

Caffè AmericanoLa scelta del Vice Presidente è la più strategica che i candidati debbano affrontare. Da poco sono stati resi noti i nomi che Donald Trump sta considerando per la nomina, alcuni probabili, altri meno. Vediamo chi sono in questo nuovo Caffè Americano.

Il “modello nordico”

La crisi economica e finanziaria mondiale nasce dallo scoppio della bolla dei subprime negli Stati Uniti, avvenuto oramai quasi un decennio fa. Quando questa ha varcato l’Atlantico e ha contagiato l’Europa, l’infezione si è palesata sotto forma di crisi dei debiti sovrani, mostrando tutte le lacune del Vecchio continente.

L’economia spagnola, tra ripresa e incertezze

La crisi economica del 2008 pose un freno al progresso dell’economia spagnola; a peggiorare la situazione fu la gestione della crisi da parte del governo socialista di Zapatero tra il 2008 e il 2011. Le riforme implementate dal governo popolare hanno portato a dei miglioramenti sostanziali; ciononostante, persistono serie difficoltà per la ripresa completa dell’economia spagnola, in particolare per quanto riguarda il tasso di disoccupazione.

L’accordo di Parigi: un traguardo o solo la prima tappa?

Dalla chiusura dei negoziati di Parigi sono ormai trascorsi sei mesi e dallo scorso Dicembre si sono succeduti numerosi eventi che hanno visto sempre come protagonista la tematica ambientale.

Francia-Portogallo, tattiche di una finale

EuroCaffè Si giocherà stasera la finale degli Europei tra Francia e Portogallo. Di fronte due squadre che ingaggeranno una sfida tattica e intensa, ma anche due Nazionali sulle quali le migrazioni hanno lasciato forti impronte.

Brexit e social media: dove abbiamo sbagliato

Le analisi delle conversazioni social nei giorni precedenti al referendum britannico sul Brexit hanno largamente previsto la vittoria del Leave sul Remain: è quindi giunto il momento di interrogarci se i social media siano oggi un luogo adatto all’attività politica non propagandistica.

#WhatWeHaveDone si chiedono gli inglesi su Twitter in queste ore, due giorni dopo l’annuncio che il referendum su Brexit ha sancito in maniera inequivocabile il trionfo di “Leave” su “Remain”.
Risultato scontato per alcuni, come se si chiedesse oggi ai tedeschi di votare “si” o “no” all’ingresso di nuovi immigrati dalla Siria o agli italiani se votare “si” o “no” al bail in, e che era stato largamente previsto da numerose ricerche indipendenti che hanno misurato le conversazioni relative a Brexit sui social media nelle settimane precedenti al voto.
Pochi numeri, ma essenziali: sebbene secondo Talkwalker nelle ultime 24 ore del referendum il numero di hashtag associati a Remain avesse sorpassato di 10 punti percentuali quelli del Leave, è diventato presto evidente quanto questo recupero sia stato tardivo, rispetto al grande sforzo messo in atto sui social media dagli attivisti pro-Brexit nelle settimane precedenti il referendum.
Una predominanza che emerge in primo luogo su Twitter, dove secondo una ricerca condotta da EuVisions nel periodo che va dal 4 aprile al 9 giugno 2016 ogni attivista pro-Brexit riconducibile all’UKIP (il partito di Nigel Farage, tra i principali sostenitori della campagna per il Leave) ha pubblicato in media 48 tweet, rispetto ai 18 degli attivisti Liberal e Tories, e agli 8,6 dei Labour.

“Contenuti, slogan e hashtag a favore del Leave sono stati quelli più attivamente propagati e discussi – è la conclusione degli autori del report – a dimostrazione che anche piccoli gruppi organizzati e coordinati tra loro possono diventare decisivi, all’interno di dibattiti fortemente polarizzati”.

Per fortuna o no, Twitter non è più l’unica piattaforma di riferimento tra i social media quando si tratta di un tema specifico: la perenne crisi di utenti e la riduzione significativa del loro engagement ne fanno ormai solo una tra le tante piattaforme su cui le persone discutono e si informano su un argomento.
Brexit segnala infatti, forse per la prima volta, il riconoscimento di Instagram quale piattaforma di propaganda politica (non di dibattito, e vedremo perché).
Secondo una ricerca compiuta da un ricercatore dello Oxford Internet Institute Vyacheslav W. Polonski, anche su Instagram gli utenti in favore del Leave hanno dimostrato una maggiore attività, pubblicando fino a 5 post in più degli utenti in favore di Remain, ricevendo il 25,3% in più di “cuori” e il 19,7% in più di commenti, su un totale di 28.940 immagini e 13.310 hashtag riferiti a Brexit.

“Su Instagram, tranne in casi isolati – è il commento dell’autore della ricerca – ogni gruppo ha utilizzato i suoi hashtag. Gli euroscettici e gli attivisti del Leave sono stati più appassionati, attivi ed espliciti nell’esprimere la loro opinione”.

Per concludere il quadro, anche su Facebook la predominanza del Leave sul Remain è stata schiacciante. Secondo una ricerca di CrowdTangle, una piattaforma di social media analytics partner di Facebook,  ripresa dal New York Times, tra le 20 pagine con il maggior engagement che trattano temi inerenti l’Unione Europea i post pubblicati dalle pagine del fronte “Remain” hanno prodotto 3,3 milioni di interazioni, rispetto agli 11 milioni dei post pubblicate sulla pagine pro-Leave.
Non voglio dilungarmi qui sulla qualità e i meriti delle campagne social delle opposte fazioni (sul sito della BBC c’è un’interessante sintesi a riguardo).
È evidente come, non solo sui social media, gli attivisti del Leave abbiano avuto il merito di raggiungere e riuscire a unire sotto uno stesso fronte un elettorato profondamente diverso quale può essere quello dei seguaci di Nigel Farage e quello delle tradizionali roccaforti Labour che hanno votato in massa per Brexit.

brexit-social-media1

Fig. 1 – Gli hashtag più usati su Instagram a favore e contro Brexit (Copyright Vyacheslav Polonski)

Appare un controsenso che nell’età dell’informazione possano ancora esserci persone che votano senza prima essersi informate. Eppure è un dato di fatto, se si crede ai dati di Google secondo cui tra le ricerche più frequenti compiute dagli inglesi dopo il referendum comparivano “quali sono le conseguenze del Brexit” e “che cos’è l’Unione Europea?”. E il fatto che tanti inglesi abbiano espresso sui social media il proprio rimorso per aver votato a favore del Brexit ne è una controprova.
Una possibile spiegazione risiede nel concetto di “filter bubble”. Come scrive Geert Lovink in “Ossessioni collettive” i social media sono costruiti sulla geniale intuizione, da parte dei vari Zuckerberg sparsi in giro per il mondo, che la maggior parte degli utenti social sia spinta dall’”incestuoso desiderio di essere come i propri amici”.
I social media replicano in maniera esponenziale il modello della “filter bubble” dando a ogni utente  i contenuti che gli algoritmi dei social stessi ritengano siano più in linea con gli interessi di ciascuno di noi, riducendo al minimo il margine di varietà.
Sono gli utenti stessi ad aiutare gli algoritmi dei social a chiudere la Rete su di loro, indicando con un semplice clic quali argomenti non desiderano più vedere: Facebook, in un estremo omaggio all’ipocrisia, offre a chiunque la possibilità di oscurare del tutto i post di un “amico” dal proprio newsfeed senza rompere l’”amicizia”.
Se su Twitter si pensa solo a dichiarare la propria appartenenza a uno o all’altro campo per ricevere più retweet possibili, se i gruppi di Facebook rimangono asserviti totalmente ai loro amministratori (già mi immagino cosa sarebbe successo se un’attivista del Remain avesse guadagnato notorietà e supporto in un gruppo gestito da un’attivistà del Leave), risulta evidente come i social media in questo momento non offrano alcuno spazio definito dove il dibattito tra opposte fazioni possa verificarsi e avvenire sulla base di regole di convivenza civile.

brexit

Fig. 2 – Il numero totale di post e tweet pubblicati sui social media riferiti a Brexit secondo TalkWalker.

In questo contesto è ben poco consolatorio affermare che la campagna di Brexit è solo l’ultimo degli esempi che dimostrano come i social media siano forse un terreno ideale per la propaganda politica (nel momento in cui offrono a chi può permettersi di spendervi del budget di inviare i propri messaggi a un pubblico selezionato di elettori) ma non lo sono probabilmente per il dibattito, che è alla base della costruzione di un’opinione pubblica informata e di una società migliore.
Paradossalmente, e qui vorrei tanto sbagliarmi, i social media sembrano nel lungo periodo costituire più un handicap che uno strumento a disposizione delle moderne democrazie.
Se è vero che i social offrono a chiunque la possibilità di informarsi meglio e in maniera più approfondita di quanto fosse possibile in precedenza, allo stesso tempo portano l’utente medio a chiudersi all’interno di un recinto composto da chi ha la propria stessa opinione, per partecipare alla demenziale e spesso impari lotta a chi delle due fazioni ottiene il numero di “mi piace” maggiore.
Con quale risultato, è sotto gli occhi di tutti.

Jacopo Franchi

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più

Questo articolo è uscito originalmente su Umanesimo Digitale[/box]

 

Guyana, un Paese ai margini dell’America Latina

In 3 sorsi – La Guyana, antica colonia britannica, è un piccolo Paese ai margini del continente sudamericano, da cui è divisa da storia, lingua ed interessi politici

Ai margini della capitale: Parigi

In 3 sorsi  Saint-Denis e Clichy-sous-Bois, banlieues industriali ai margini di Parigi, sono universi periferici al centro della nazione in cui crimini, traffici illeciti e situazioni di degrado sociale accadono a pochi chilometri dal cuore della Ville Lumière. È qui che hanno trovato appoggio alcuni terroristi della cellula franco-belga responsabili degli attacchi del 13 novembre e del 22 marzo

Lo scandalo Volkswagen (5): USA ed Europa a confronto

In base agli accordi con le autorità d’oltreoceano, Volkswagen Group dovrà risarcire i clienti truffati riacquistando o riparando i veicoli diesel 2 litri con emissioni di NOx non a norma. Oltre a ciò dovrà investire pesantemente in soluzioni a basse emissioni. Il tutto per un costo di 14,733 miliardi di dollari, la class action più costosa nella storia d’America.

Germania-Francia: dualismo europeo in semifinale

EuroCaffèLa seconda semifinale di Euro2016 vede scontrarsi Germania e Francia per raggiungere il Portogallo in finale. Oggi avversarie sul campo e insieme (non proprio volentieri) alla guida dell’UE, ma in passato hanno combattuto a più riprese.  

Il Consiglio europeo all’ombra della Brexit

Il 28 e 29 giugno si è tenuto a Bruxelles il Consiglio europeo, inevitabilmente egemonizzato dalla discussione sulla Brexit e sul futuro della “nuova” UE a 27 senza Regno Unito.
Ma si è discusso anche di immigrazione e politica estera dell’UE. Il summit certifica il nuovo ruolo dell’Italia nell’Unione, sorta di “terzo incomodo” tra Francia e Germania

Messico, scontri ad Oaxaca per la riforma della scuola

Sale a 11 morti il bilancio delle violente proteste degli insegnanti contro la riforma dell’istruzione del Governo neo-liberale di Enrique Peña Nieto, nello stato messicano di Oaxaca. A poco più di una settimana dal massacro di Nochixtlán, in un clima di guerriglia urbana, sempre più persone si uniscono alla causa degli insegnanti