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Venezuela tra sangue, caos e la partita del riconoscimento internazionale

Ristretto Analisi veloce sugli avvenimenti delle ultime ore in Venezuela. Tentato golpe o sollevazione popolare?

Sembra non esserci ancora un vincitore tra Nicolas Maduro, 56enne ex autista al potere dal 2013, vincitore delle contestatissime elezioni di maggio, e Juan Guaidò, 35enne ingegnere informatico e presidente dell’Assemblea Nacional, in mano all’opposizione e autoproclamatosi nuovo Presidente del Venezuela. Caracas è stata attraversata da due corte contrapposti stanotte (ora italiana), Petare, sobborgo orientale della capitale, la favela più grande del continente insieme a La Rocinha di Rio, lascia la storica fede chavista e alimenta gli scontri.

Le forze di polizia, vero bastione del regime, hanno aperto il fuoco e si sono registrati dei morti. Il titolare della difesa, generale Vladimir Padrino Lopez, ha scritto in un eloquente tweet che le Forze Armate “non accettano un presidente imposto da oscuri interessi o che si è autoproclamato a margine della legge“. Le Fanb (forze armate regolari) hanno ricevuto anche il sostegno dei Colectivos, milizie volontarie dalla funzione “politica”. Si contano 14 morti. Ma se la situazione militare sembra essere ora in stallo non possiamo dire lo stesso per quella diplomatica.

IL RICONOSCIMENTO INTERNAZIONALE

Bolsonaro il primo a riconoscere il nuovo presidente, poi Trump e il gruppo di Lima; diplomatici americani espulsi, entro 72 ore devono lasciare il suolo bolivariano, ma il tycoon ha prontamente replicato di non riconoscere l’attuale governo. Trump sa che non può intervenire in altro modo; è bloccato dal veto di Putin e dall’atteggiamento della Cina. Anche Erdogan, che recentemente si è recato a Caracas, fa vedere che non apprezza gli insorti. Alla difficoltà militare si aggiunge, per gli insorti, il fatto di non essere appoggiati da tutti: Messico e Bolivia rimangono fedeli alla linea del socialismo, oltre a Cuba.

Più che un tentativo di golpe, organizzato e strutturato in maniera scientifica, la vicenda appare davvero una sollevazione popolare che nulla ha di ideologico. “Più che ‘l dolor potè il digiuno” (XXXIII canto, Inferno dantesco), sembra questa la molla. Che porterà probabilmente altro sangue e nessun risultato apprezzabile, a breve. Ma che ha avuto il merito di fungere da “prova generale”; le varie potenze sono dovute uscire allo scoperto ed ora gli schieramenti sono sostanzialmente formali. Trump ha definitivamente rispolverato l’interesse per l’area aggiornando la “dottrina Monroe”. E i venezuelani avranno compreso che il lavoro da fare per uscire dall’impasse è ancora parecchio.

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Andrea Martire
Andrea Martire

Appassionato di America Latina, background in scienze politiche ed economia. Studio le connessioni tra politica e sociale. Per lavoro mi occupo di politiche agrarie e accesso al cibo, di acqua e diritti, di made in Italy e relazioni sindacali. Ho trovato riparo presso Il Caffè Geopolitico, luogo virtuoso che non si accontenta di esistere; vuole eccellere. Ho accettato la sfida e le dedico tutta l’energia che posso, coordinando un gruppo di lavoro che vuole aiutare ad emergere la “cultura degli esteri”. Da cui non possiamo escludere il macro-tema Ambiente, inteso come espressione del godimento dei diritti del singolo e driver delle politiche internazionali, basti pensare all’accesso al cibo o al water-grabbing.

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