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Thailandia, ritorno alle urne all’ombra dei militari

Analisi – Il 24 marzo la Thailandia torna al voto, riavviando dopo quasi cinque anni il processo democratico. Le ultime elezioni risalgono al 2014, quando la Commissione elettorale decise di invalidare l’esito delle urne, innescando così il golpe dei militari contro il Governo Shinawatra. Oggi il capo dell’Esercito Reale thailandese, Apirat Kongsompong, promette che le consultazioni, attese e finora non prive di sorprese, si svolgeranno senza disordini.

TUTTI AL VOTO

L’aria a Bangkok è cambiata. Non è per via della nube di smog che discende in queste settimane sulla metropoli asiatica, ma perché è in corso la campagna elettorale. Più volte rimandato dai militari con la scusa che le elezioni avrebbero coinciso con i preparativi per l’incoronazione di re Maha Vajiralongkorn, la cui data ufficiale è fissata per il 4 maggio, l’appuntamento del 24 marzo si avvicina e presenta grosse sorprese. Anzitutto, per quel che riguarda l’esecutivo. I partiti – sono 83 quelli riconosciuti dalla Commissione elettorale centrale – hanno presentato le liste definitive dei 2.810 candidati. Ogni movimento politico ha indicato almeno tre personalità considerate adatte a concorrere per la carica di Primo Ministro. I profili dei 68 aspiranti sono stati vagliati dall’Assemblea Nazionale della Morale. Il Palang Pracharath (PP), partito conservatore fondato da ex militari della giunta al potere, ha candidato l’ex generale nonché attuale premier Prayut Chan-o-cha. Il capo del Consiglio Nazionale per la Pace e l’Ordine (CNPO) dal maggio 2014 non solo non si è dimesso dalla carica che ad oggi ricopre, ma si è detto disposto a portare avanti la campagna elettorale. Anche l’attuale vicepremier, l’economista Somkid Jatusripitak, compare nella lista del PP. Il Partito Liberale (Seri Ruam Thai) ha presentato ricorso alla Commissione elettorale contro la decisione del PP di candidare Prayut.

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Fig. 1 – Prayut Chan-o-cha, attuale Primo Ministro della Thailandia

LE FORZE IN CAMPO

Tra i tre candidati premier del Phuea Thai (PT) spunta il ministro della Salute del Governo Thaksin, Khunying Sudarat Keyuraphan. Secondo un sondaggio del National Institute of Development Administration (NIDA) pubblicato a novembre, Sudarat appariva come la candidata ideale per gran parte dei thailandesi, poco sopra Prayut. Il PT è il partito politico vicino agli Shinawatra, rinato dalle ceneri dei movimenti precedenti banditi nel 2007 e ancora nel 2008. Il PT presenterà i propri candidati alla Camera solo nelle circoscrizioni dove ritiene sicura la vittoria. Thaksin e Yingluck Shinawatra, entrambi premier in passato, sono fuori dai giochi, ma rimangono molto popolari nelle aree interne rurali del Paese e nel Nord-Est, dove i militari hanno cercato di imporre la loro presenza in maniera molto repressiva, come non accadeva dai primi anni Novanta. A differenza del PT e del PP, l’altro grande partito conservatore, il Partito Democratico (Prachathipat), ha candidato solo l’ex premier Abhisit Vejjajiva. Sfruttando una clausola costituzionale che consente di nominare come premier una personalità non eletta all’Assemblea Nazionale, lo scorso 8 febbraio il Thai Raksa Chart (TRC), alleato del PT, ha provato a coinvolgere in politica la principessa Ubolratana Rajakanya, sorella maggiore del Re. Il futuro Rama X, successore dell’amatissimo Bhumibol Adulyadej, ha mal digerito la scelta del TRC, definendola «altamente inappropriata». In Thailandia, gli esponenti della monarchia devono tenersi equidistanti dalla politica. La candidatura è stata respinta dalla Commissione elettorale per via dello status reale della Principessa, status che non avrebbe perso nel luglio 1972, a seguito del matrimonio con l’americano Peter Jensen. Il TRC, e indirettamente Thaksin, avrebbero cercato di ingraziarsi la corte, puntando su una principessa molto popolare. La nomina aveva non solo permesso al partito di raggranellare un discreto numero di consensi tra l’opinione pubblica, ma avrebbe anche evitato che la giunta lanciasse attacchi contro il partito e il suo candidato più rappresentativo. Dopo un lungo soggiorno negli Stati Uniti, Ubolratana fece poi ritorno in Thailandia, dove ricevette il titolo di “Tunkramon Ying”, ovvero “figlia della regina reggente”, mantenendo di fatto il suo legame con la monarchia. È particolarmente attiva nel cinema e nella filantropia, dove ha curato un progetto sulla lotta alla droga tra i giovani. La Commissione elettorale ha promesso di valutare la possibilità di squalificare il TRC per aver gettato la Principessa nell’agone politico. La Commissione ha adito la Corte Costituzionale per chiedere la dissoluzione del movimento, cosa avvenuta proprio nelle ultime ore a seguito di una pronuncia della Corte stessa contro i principali leader del partito. Intanto la campagna elettorale è continuata regolarmente, smentendo il timore che Prayut potesse usare il caso come pretesto per estendere il proprio potere e rinviare nuovamente il voto. Un altro contendente colpito dai militari è il leader del Phak Anakhot Mai, Thanathorn Juangroongruangkit. Già incriminato l’estate scorsa per aver diffuso sulla rete notizie apparentemente false, Thanathorn rischia ora di essere bandito per 20 anni dalla politica per aver pubblicato una propria biografia dal contenuto mendace.

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Fig. 2 – Discorso della principessa Ubolratana al Pusan International Film Festival del 2010

LA NUOVA COSTITUZIONE

La nuova Costituzione, la ventesima da quando in Thailandia fu abolita la monarchia assoluta nel 1932, è entrata in vigore nell’aprile 2017 dopo aver ottenuto il via libera del referendum popolare del 2016. Appare ad alcuni commentatori come l’ennesimo tentativo di esautorare il potere civile. Il potere legislativo è detenuto dall’Assemblea Nazionale, composta dalla Camera dei Rappresentanti e dal Senato. 194 dei 250 seggi del Senato, in carica 5 anni e non elettivo, saranno cooptati dal CNPO, sei saranno riservati alle Forze Armate, uno al Segretario permanente della Difesa e uno al Capo della Polizia nazionale. I restanti 50 seggi andranno a esponenti della società civile, divisi in dieci categorie enumerate dalla Commissione elettorale. La Camera dei Rappresentanti sarà invece formata da 500 deputati, che rimarranno in carica 4 anni: 375 saranno eletti con voto uninominale, i restanti 125 dalle liste di partito. La Camera Bassa avrà il compito, assieme al Senato, di eleggere il premier. Ciò potrebbe costituire un problema costituzionale: il candidato nominato al Senato potrebbe infatti non ottenere la maggioranza alla Camera, creando uno stallo istituzionale. In caso di disaccordo, potrebbe concretizzarsi il pericolo di un altro colpo di Stato. La legge elettorale predisposta avvantaggia i partiti più piccoli, che potranno ottenere seggi anche senza vincere una circoscrizione. Ciò a scapito dei movimenti ben finanziati e con maggiore esperienza politica. Come prescritto all’articolo 65 della nuova Carta, il prossimo Governo dovrà rispettare il piano ventennale di sviluppo disposto dai militari, che prevede anche la realizzazione di progetti infrastrutturali rientranti nella Belt and Road Initiative cinese e nell’Eastern Economic Corridor, pena la deposizione e l’arresto. L’articolo in questione nacque dall’idea di respingere le politiche populiste approvate dagli Shinawatra, colpevoli di aver svuotato le casse dello Stato. Per emendare la Costituzione servono i tre quarti della maggioranza dei due rami del Parlamento, quindi anche l’approvazione di un terzo del Senato. I militari si identificano come i difensori della monarchia e i guardiani dell’ordine democratico thailandese. Questa ennesima riforma non depotenzia i poteri del Re, ma ne aumenta il prestigio. La Carta prescrive inoltre che la monarchia costituzionale non può essere oggetto di revisione costituzionale. Quello a cui ci si trova di fronte è un perfetto esempio di “autoritarismo costituzionale“, con il potere equamente diviso tra corte e militari, le due istituzioni nazionali di quello che Paul Chambers ha chiamato «Stato parallelo», che a partire dagli anni Novanta hanno costantemente svuotato il potere civile.

Raimondo Neironi

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Raimondo Neironi
Raimondo Neironi

Dottorato di ricerca in Storia internazionale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Per il “Caffè”, mi occupo di tre temi: politica, economia e ambiente; e due aree del mondo: Sud-est asiatico e Australia.

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