Analisi –Sono passati 40 anni dalla Rivoluzione islamica che segnò l’ascesa al potere in Iran dell’Ayatollah Ruhollah Khomeini. Un ruolo chiave lo giocò ‘Ali Shari‘ati, teorico di un pensiero islamico rivoluzionario.
IL CONTESTO
Per comprendere al meglio la Rivoluzione islamica occorre delineare alcuni aspetti contestuali che hanno gettato le basi per gli eventi del 1979. In particolare sono tre le dimensioni principali che meritano un approfondimento.
Innanzitutto, occorre prestare attenzione alle radici socio-politiche della Rivoluzione. In questo caso è possibile identificare tre momenti chiave nel Novecento che hanno portato al trionfo dell’Islam politico sciita. Il primo risale al periodo costituzionale (1906-1907), quando esperti religiosi e mercanti cercarono di adottare un Parlamento. Il dibattito portò a una divisione fra gli esperti religiosi (ulema): mentre la maggioranza sostenne la riforma costituzionale, una minoranza capeggiata da Fadallāh Nūrī si oppose fortemente, contestando la compatibilità fra una Costituzione di ispirazione occidentale, che prevedeva un Parlamento, e la legge islamica, che riconosce in Dio il solo sovrano. Proprio per questo motivo Nūrī, giustiziato nel 1909, verrà elogiato da Khomeini per aver sottolineato la preminenza della giurisprudenza religiosa nelle questioni politiche.
Un secondo momento è identificabile nel golpe orchestrato da CIA e MI6, rispettivamente i servizi segreti americani e britannici, ai danni del Primo Ministro Mossadeq nel 1953, reo di aver nazionalizzato la compagnia petrolifera anglo-iraniana. In un’epoca di nazionalismo e riscoperta dell’identità persiana, le interferenze esterne (in particolare degli USA) crearono un senso di impotenza, risentimento e anti-americanismo che sarebbero culminati nel 1979, prima con la Rivoluzione e poi con la presa dell’ambasciata americana a Teheran, quando 52 funzionari statunitensi furono tenuti in ostaggio per 444 giorni. Lo Shah Muhammad Reza Pahlavi cercò dunque una nuova legittimità, che coincise con una serie di riforme avviate a partire dal 1963, note come “Rivoluzione Bianca”. Questo terzo momento, caratterizzato dalla revisione dell’architettura burocratica statale, dall’avvio di programmi sociali ed educativi e da un’ambiziosa riforma agraria, contribuì fortemente allo sviluppo del Paese, ma innescò anche tensioni politiche e sociali, che trovarono infine una valvola di sfogo nella Rivoluzione.
Un secondo fattore che ha contribuito agli eventi del 1979 è quello economico, fortemente intrecciato al programma riformistico avviato dallo Shah. Nella seconda metà degli anni Settanta l’Iran visse infatti una netta diminuzione dei profitti provenienti dal petrolio e un deciso aumento dell’inflazione, che insieme a un rapido processo di urbanizzazione contribuì all’impoverimento delle classi dei lavoratori, quadruplicatasi in numero a causa delle riforme iniziate dal Palazzo.
Infine non va trascurata la componente religiosa. Nel corso della storia gli ulema consolidarono il proprio potere grazie alla collusione prima con la dinastia Safavide e poi con quella Cagiara e riuscirono progressivamente a entrare in controllo di alcune funzioni riservate all’Imam in Occultamento. Secondo lo sciismo duodecimano, la corrente maggiormente seguita in Iran, il dodicesimo Imam, discendente di ‘Ali e quindi guida dell’intera comunità, non sarebbe morto, ma solo “nascosto”, pronto a fare ritorno alla fine dei tempi. In epoca recente, essi assunsero un atteggiamento più quietista, volto a proteggere il proprio status e culminato con il ritiro della religione nella sfera privata.
Fattori socio-politici (costituzionalismo, anti-americanismo, tensioni nella società civile…), aspetti economici (inflazione e riduzione dei profitti legati al greggio) e un particolare ruolo assunto dal clero nel corso della storia, e in particolare nel Novecento, posero le basi per un discorso di natura ideologica e rivoluzionaria che vede in ‘Ali Shari‘ati la sua massima espressione.
Fig. 1 – Il grande bazar di Qom
IL PENSIERO DI ‘ALI SHARI‘ATI: COLUI CHE ISPIRO’ LA RIVOLUZIONE
‘Ali Shari‘ati, nato a Kahak nel 1933 e formatosi in Iran e in Francia, ha rappresentato l’alchimista della Rivoluzione islamica. La visione del mondo di Shari‘ati è basata sull’idea di tawhid, l’Unità e Unicità di Allah. Ma il sociologo va oltre, sostenendo che il tawhid rappresenti «l’unità della natura con la meta-natura, dell’uomo con la natura, dell’uomo con l’uomo e di Dio con il mondo e con l’uomo». Questo precetto implica dunque l’assenza di contraddizioni nel creato e di differenze nel mondo: in questo modo vengono meno tutte le disuguaglianze esistenti, essendo gli uomini uguali e ugualmente sottomessi a Dio. Considerando queste premesse, non è difficile capire le critiche che Shari‘ati muove alla sua contemporaneità e che si assestano a due livelli: il rigetto delle ideologie esterne all’Islam e i giudizi negativi su alcune posizioni assunte dalle autorità nel mondo islamico.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – La moschea blu, Isfahan, Iran
Per quanto riguarda le prime, l’autore rivolge le attenzioni alle due grandi ideologie del secondo dopoguerra: capitalismo e comunismo. Egli rifiuta il capitalismo per tre motivi principali: l’esaltazione dell’individuo a discapito della società, la marginalizzazione del sacro e la riduzione dell’uomo a una macchina finalizzata alla massimizzazione del profitto. Allo stesso modo rifiuta in parte il marxismo per altre tre ragioni: il materialismo dialettico, l’ateismo e l’utilizzo del potere statale per incrementare la produzione, senza alcun beneficio per le classi operaie. Pur non condividendone alcuni aspetti, si ispirerà a quest’ultimo per l’elaborazione del suo pensiero.
Shari‘ati non è comunque accomodante neppure nei confronti del mondo islamico. Da un lato i regnanti hanno tradito il principio del tawhid, imponendosi come superiori al resto della popolazione e ricusando i propri doveri, quali l’assicurare la giustizia e il garantire l’uguaglianza; dall’altro gli ulema hanno distorto l’essenza dello sciismo, appropriandosi della simbologia religiosa, abbracciando un’idea quietista e colludendo con il potere politico, senza avocare a sé il diritto di esercitare il potere sui credenti.
Francesco Teruggi