Analisi – Sono passati 40 anni dalla Rivoluzione islamica che segnò l’ascesa al potere in Iran dell’Ayatollah Ruhollah Khomeini. Un ruolo chiave lo giocò ‘Ali Shari‘ati, teorico di un pensiero islamico rivoluzionario.
L’IDEOLOGIA ISLAMISTA
Per Shari’ati era necessario proporre un’alternativa alla dicotomia capitalismo-marxismo. Ispirato dal lavoro di Frantz Fanon, figura chiave del movimento terzomondista, Shari‘ati si fece promotore di un’ideologia islamista che sfruttava le categorie concettuali marxiste (che avevano particolarmente successo sui rawshanfikr, ovvero gli intellettuali impegnati) e le applicava ai princìpi islamici. E così la comunità diventava una società rivoluzionaria, l’imam un leader carismatico, il jihad uno sforzo di liberazione dall’oppressore, i miscredenti degli osservatori passivi e il shahid (martire) un eroe rivoluzionario. Era la riscoperta dello sciismo rosso, la religione autentica della giustizia sociale, della rivolta contro l’oppressore e della liberazione delle masse, frutto di una rilettura selettiva del Corano e delle esperienze dello stesso Shari‘ati. Era allo stesso tempo la fine dello sciismo nero, la religione della lamentela, della passività, frutto del tradimento messo in atto dagli ulema.
IL PENSIERO RIVOLUZIONARIO NELL’IRAN DI OGGI
La creazione di una simbologia che mobilitava le masse, il rifiuto, condiviso da Khomeini, della democrazia, la riscoperta del martirio come tema trasversale nella storia sciita e lo sviluppo di un’ideologia islamica permisero alla popolazione iraniana, e soprattutto ai giovani intellettuali, di avviare una resistenza attiva contro un sovrano considerato ingiusto, che minava una visione del mondo unitaria e basata sul tahwid. D’altra parte il trionfo del principio khomeinista del velayat-e faqih, il governo dei giureconsulti, la definizione di un’architettura istituzionale articolata, la burocratizzazione dello Stato e il naturale ridimensionamento della mobilitazione rivoluzionaria hanno via via eroso la forza del discorso ideologico di Shari‘ati.
Oggi, a quarant’anni di distanza, le idee rivoluzionarie di Shari‘ati hanno perso gran parte del vigore inziale. Il clero è ormai pienamente politicizzato e inoltre si è vista la nascita di una seconda generazione, rappresentata in passato dall’ultra-conservatore Ahmadinejad, che sta cercando di ritagliarsi uno spazio sempre più ampio nella scena politica iraniana. L’età avanzata di Khamenei, la morte nel 2017 del dominus della politica Rafsanjani e la crisi del Governo Rouhani, criticato sia da riformisti sia da conservatori, lasciano ipotizzare una nuova fase del regime di Teheran nei prossimi anni. E mentre i temi del martirio e dell’attivismo, pilastri dello sciismo rosso di Shari‘ati, sono ancora presenti nel discorso politico della Repubblica Islamica, l’idea di una ribellione contro lo status quo e contro un regime oppressivo si è ridimensionata. È difficile pensare che il contributo di Shari‘ati, ancora valido per spiegare il ruolo della religione come motore trainante della politica, mobiliti la società civile, soprattutto se si considera il potere dei Guardiani della Rivoluzione – i Pasdaran– e dei Basij e le ambizioni regionali di Teheran. L’Iran attuale non cerca più infatti una Rivoluzione del sistema interno, ma ambisce piuttosto a un ruolo chiave nel Medio Oriente.
Francesco Teruggi
Immagine di copertina: murales con l’immagine di Khomeini che invita ad arruolarsi fra le fila dei Basij. | Fonte: Ensie & Matthias (CC BY-SA 2.0)