In 3 sorsi – La decisione del Primo Ministro Allawi di rinunciare alla candidatura all’inizio di marzo è parsa come una vittoria dei manifestanti iracheni, i quali, tuttavia, continuano a scontrarsi con le scelte del Presidente Salih e con la nomina lo scorso 17 marzo di un nuovo candidato, Adnan al-Zorfi, che ha però rinunciato alla carica.
1. LA RINUNCIA DI ALLAWI
Sembra che i manifestanti che ormai da mesi occupano le strade irachene abbiano ottenuto una vittoria nei confronti del vecchio establishment al Governo: l’ex candidato alla posizione di Primo Ministro Muhammad Allawi si è dimesso lo scorso primo marzo, dopo i numerosi tentativi di formare un gabinetto che non hanno riscontrato un voto unanime in Parlamento. L’ex premier ha dichiarato di aver provato con tutte le forze a creare un Governo indipendente per il popolo, ma di aver affrontato diverse difficoltà , tra cui alcuni contrasti con altri partiti non inclini a trovare un punto d’incontro per risolvere la situazione.
Gli iracheni continuano comunque a scendere in strada per protestare contro la classe dirigente al potere, giudicata corrotta e non curante dei numerosi problemi esistenti, e chiedono a gran voce che il Governo dia loro il diritto di scegliere un candidato che sia al di fuori del vecchio ordinamento. Sono stati proprio i leader delle proteste nella città di Nassiriya a esprimere il mese scorso la volontà di far candidare Alaa al-Rikaby, un’ex farmacista a capo delle manifestazioni, come Primo Ministro. La battaglia che gli iracheni stanno combattendo è proprio in nome di un Governo con personalità nuove, che provengano da contesti diversi da quelli conosciuti finora, e che riesca finalmente ad aiutare il Paese a uscire dalla profonda crisi in cui imperversa da troppo tempo.
Fig. 1 – Manifestanti iracheni durante una protesta anti-governativa in piazza Tahrir a Baghdad, 1° marzo 2020
2. IL NUOVO CANDIDATO E LE OPINIONI
Dopo un nuovo periodo di tensioni crescenti, la scelta del Presidente Salih è ricaduta su Adnan al-Zorfi, ex-segretario generale del movimento iracheno Al-Wafa. Il candidato sembrava avere l’appoggio della coalizione al-Nasr, ma non il sostegno del blocco sciita vicino all’Iran, il quale non ha accettato di buon grado la sua nomina. Le reazioni interne ed esterne al suo mandato non hanno tardato ad arrivare: c’è chi lo definisce come anticostituzionale e illegale, e anche chi, come il capo della diplomazia americana Mike Pompeo, aveva dichiarato che Al-Zorfi avrebbe avuto l’appoggio internazionale (e statunitense) soltanto nel momento in cui fosse riuscito a formare un Governo non corrotto, in grado di rispettare la sovranitĂ irachena, i diritti fondamentali dell’uomo e i desideri del proprio popolo. All’inizio di aprile, però, Al-Zorfi ha rinunciato alla carica, in seguito alle pressioni interne da parte delle forze politiche sciite. Il 9 aprile il Presidente Salih ha annunciato la terza candidatura in dieci settimane da quando l’ex premier al-Mahdi ha dato le dimissioni a fine novembre. Mustafa al-Kadhimi, capo dell’Intelligence, è l’uomo scelto dal Presidente per formare il nuovo Governo dell’Iraq, decisione che sembra incontrare il benestare dell’Iran, ma non quello dei manifestanti.
3. LE TENSIONI INTERNE E LE INFLUENZE ESTERNE
Lo scenario in cui si presenta il nuovo premier pare non essere dei migliori: l’Iraq continua ad affrontare una situazione di estremo disagio, non solo dovuto alle continue proteste e all’impossibilitĂ di avere un nuovo Governo, ma anche all’instabilitĂ sempre piĂą crescente dei rapporti con le forze esterne e contrapposte che esercitano nel Paese una propria influenza, in particolare americana e iraniana.
L’insofferenza nei confronti della presenza americana è riscontrabile negli attacchi contro le basi militari USA sul territorio iracheno. Risalgono alle prime settimane di marzo le notizie di nuovi attentati che hanno colpito, tra i tanti obbiettivi, anche una base militare americana a Taji (tra l’11 e il 14 marzo), a nord di Baghdad. Si calcola che da fine ottobre 2019 siano stati 23 in totale gli attacchi che hanno mirato a punti di interesse statunitensi nel Paese. L’inizio delle proteste e la morte di Qassem Solemaini e di Abu Mahdi al-Mouhandis, vicecomandante della milizia irachena filo-iraniana Hashd al-Shaabi, avevano spinto l’Iraq a chiedere un ritiro delle forze militari americane e dei Paesi della coalizione, anche per evitare ogni possibilitĂ di trasformare il suolo iracheno in terreno di scontro tra Iran e USA.
Dalla fine di marzo le truppe americane hanno cominciato a ritirarsi dalla base di Qayyarah, dopo che nuovi attacchi avevano colpito la Green Zone a Baghdad, dove è presente anche l’ambasciata americana. Il ritiro delle truppe da questa base è in linea con gli accordi presi giĂ dalla fine dello scorso anno, quando le milizie irachene avevano dimostrato la capacitĂ di fronteggiare lo Stato Islamico senza la necessitĂ di un appoggio esterno.
Marta Madotto
Immagine di copertina: “iraq” by The U.S. Army is licensed under CC BY