Analisi – Dodici mesi dopo il mezzo addio di Nazarbayev, il Kazakistan è ancora alla ricerca di un’identitĂ politica definita e di uno stabile sviluppo economico e sociale. In questo reportage esclusivo, realizzato lo scorso inverno, scopriamo le tante contraddizioni e le fragili speranze del Paese centro-asiatico.
LA NEVE PER LE STRADE
D’inverno le temperature nel nord del Kazakistan scendono a meno 20 gradi. Quest’anno, a causa dei cambiamenti climatici, fa decisamente più caldo e a giorni relativamente freddi, con meno 15 gradi, si alternano periodi con il termometro che sale anche sopra lo zero. Alla fine dello scorso febbraio il Buran – il vento che soffia dall’Artico e investe la steppa dopo aver attraversato da nord-est la Siberia – ha portato insolite e abbondanti nevicate. Un manto bianco di quasi un metro copre Nur-Sultan, la capitale del Paese. I mezzi del Comune non sono ancora riusciti a pulire completamente le strade, i larghi boulevard che rigano la città a scacchiera sono già percorribili, ma le vie secondarie, incassate fra i moderni palazzi alti anche 50 piani, sono bloccate da veri e propri muri bianchi, impenetrabili. Gli scavatori lavorano incessantemente e, insieme a grandi camion arancioni, provvedono a liberare la città dalla neve che la soffoca.
Fig. 1 – Slogan patriottico all’aeroporto di Nur-Sultan: “Educando un figlio, noi educhiamo il popolo” | Foto: Christian Eccher
ELMURAT NELLA CAPITALE “VETRINA”
Elmurat lavora come tassista. Data la scarsa possibilità di movimento in città , ha deciso di aspettare i viaggiatori all’aeroporto e di portarli con la sua potente e comoda automobile giapponese fino a uno dei boulevard del centro, da dove potranno poi proseguire a piedi verso la destinazione finale. Nur-Sultan è una città finta, che nulla ha a che vedere con il resto del Kazakistan: una vetrina voluta dall’ex Presidente Nursultan Nazarbayev, che negli anni Novanta ha spostato la capitale da Almaty a una piccola, insignificante città del nord, subito ribattezzata Astana, che in kazako vuol dire “capitale”. Il centro urbano, uno dei tanti che sono disseminati nella steppa, è cresciuto in poco meno di vent’anni: Nazarbayev ha chiamato architetti da tutto il mondo per progettare torri altissime, dai profili sghembi e arditi. La città è una piccola New York, con grattacieli e palazzi dalle facciate cangianti e multicolori illuminate dai led. Nel marzo del 2019 Nazarbayev si è dimesso e ha lasciato il posto a Zhomart Tokayev, il suo ex Ministro degli Esteri, che ha subito cambiato il nome di Astana in Nur-Sultan, in onore al vecchio Presidente.
Fig. 2 – I grattacieli della capitale kazaka, ribattezzata recentemente in onore dell’ex Presidente Nazarbayev | Foto: Christian Eccher
E DOPO NAZARBAYEV ANCORA NAZARBAYEV?
“Il nostro caro Nazarbayev ha venduto tutto ai cinesi. Non c’è più nulla di kazako in Kazakistan”, ripete come un mantra Elmurat a tutti coloro che si siedano sui sedeli posteriori del suo taxi. Nei confronti di Nazarbayev esiste un vero e proprio culto della personalità : in tv si esaltano le sue gesta, la sua immagine giganteggia ovunque. La più prestigiosa Università di Nur-Sultan si chiama proprio Nazarbayev. L’ex Presidente è ancora la figura chiave del Paese: è lui che muove i fili della politica interna ed estera. Presiede inoltre il Consiglio di Sicurezza – che ha un ruolo chiave nel controllo di ogni aspetto della vita pubblica – e il partito politico Nur Otan, che ha la maggioranza assoluta in Parlamento. Qualcosa, però, si sta incrinando, la gente non crede più ciecamente alla propaganda di regime. Questo accade non solo perché Tokayev fa di tutto per gettare fango sulla famiglia di Nazarbayev, la cui figlia Dariga non nasconde il desiderio di prendere in futuro il posto che era del padre alla guida del Paese. A denudare sempre di più il re è soprattutto la situazione politica interna: la corruzione, la mancanza di lavoro, l’impoverimento generale dovuto al calo del prezzo del petrolio hanno fatto sì che da marzo a dicembre 2019 in molte città del Kazakistan il popolo scendesse in piazza. In alcuni casi le manifestazioni sono state brutalmente represse, in altre tollerate. In ogni caso, lo scontento popolare aumenta di giorno in giorno.
Fig. 3 – La sede del Nur Otan, partito dell’ex Presidente Nazarbayev | Foto: Christian Eccher
LA CINA, YOUTUBE E IL CANE CHE BRUCIA
In realtà ciò che dice Elmurat non è vero. Nazarbayev non ha venduto il Kazakistan ai cinesi. Semplicemente, la Cina è un partner strategico del Kazakistan nella costruzione delle nuove Vie della Seta che permetteranno a Pechino di portare le merci dall’Oriente all’Europa in pochissimi giorni. Le aziende cinesi, quindi, sono sempre più presenti sul territorio kazako e, di conseguenza, aumenta anche il numero dei cittadini cinesi che risiedono soprattutto ad Almaty e a Nur Sultan. Le Autorità kazake, se da un lato considerano gli investimenti stranieri necessari alla crescita del proprio Paese e alla sua futura posizione strategica a livello mondiale, dall’altro lato sono preoccupati di un’eventuale invasione dal confine orientale: i kazaki sono circa 18 milioni e vivono su un territorio immenso e in gran parte deserto; i cinesi sono quasi un miliardo e mezzo e hanno bisogno di spazio. Stanno lentamente colonizzando – illegalmente – alcune zone della Siberia russa, lo stesso potrebbero fare con le steppe dell’Asia Centrale. In più, il Governo di Pechino sta attuando una dura politica repressiva nello Xinjiang, la regione degli Altai che confina proprio con il Kazakistan e in cui vivono gli uiguri, una popolazione turca che parla una lingua simile a quella dei kazaki e che vorrebbe proclamare l’indipendenza o quanto meno ottenere una reale autonomia in materia fiscale e legislativa. Nello Xinjiang c’è anche una componente etnica kazaka, che vive in quella regione da secoli e alla quale Pechino riserva lo stesso trattamento degli uiguri. I kazaki che sono riusciti a scappare dai campi di rieducazione cinesi, che sono veri e propri campi di concentramento, trovano spesso riparo a Nur-Sultan e raccontano di condizioni di prigionia inumane ed estremamente difficili. Il Governo kazako approfitta anche di questi racconti per mettere in piedi una vera e propria campagna mediatica contro il popolo cinese, campagna che sta però dando esiti preoccupanti e non voluti: quello che doveva essere un semplice mezzo per creare diffidenza nei confronti di eventuali, futuri invasori, sta generando fra i sudditi di Nazarbayev odio profondo e malcelato razzismo. Ai semafori, quando scatta il rosso ed è costretto a fermare il suo bolide, Elmurat mostra ai proprio clienti alcuni video che girano su Youtube: in uno si vede un ragazzo cinese che dà fuoco al proprio cane vivo, in un altro c’è un kazako che asserisce di aver visto dei cinesi affamati mangiare dei bambini. Dopo averli bolliti, naturalmente.
Christian Eccher
“Presidential palace” by Francisco Anzola is licensed under CC BY