In 3 sorsi – Il Presidente Biden ha affermato di voler rientrare nel JCPOA. Il ritorno americano però deve affrontare vari ostacoli, fra cui la questione del programma balistico iraniano, il dilemma delle sanzioni economiche e una possibile nuova Amministrazione iraniana a partire dal 2021.
1. IL JOINT COMPREHENSIVE PLAN OF ACTION (JCPOA)
Il JCPOA viene firmato il 14 luglio 2015 e rappresenta il compromesso politico e diplomatico raggiunto dai rappresentanti permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (P5), dalla Germania, in qualitĂ di rappresentante dell’Unione Europea, e dall’Iran. Esso riguarda il tentativo di limitare lo sviluppo e l’uso di tecnologie nucleari a fini bellici da parte di Teheran. L’accordo sancisce l’interruzione temporanea di attivitĂ finalizzate alla realizzazione iraniana di un programma nucleare, sia civile che militare. Tuttavia l’accordo include una “road map” che prevede un progressivo allentamento delle restrizioni da parte di vari attori internazionali come Stati Uniti, Nazione Unite e Unione Europea, a patto che la Repubblica Islamica ne osservi le clausole. Infatti l’accordo mira alla normalizzazione della posizione iraniana, riportandola a rispettare le clausole del trattato di non proliferazione. In cambio la Repubblica Islamica otterrebbe la rimozione delle devastanti sanzioni economiche adottate da parte di Stati Uniti, Unione Europea e Nazione Unite, oltre al ripristino delle relazioni commerciali con Paesi europei e non. Per evitare che l’Iran violasse l’accordo, quest’ultimo aveva concordato anche con gli altri partecipanti un regime d’ispezioni straordinario implementato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA). Nonostante le misure austere, l’accordo siglato dall’Amministrazione Obama era stato fortemente criticato da parte dell’opposizione repubblicana in merito al suo carattere temporale e alla mancata inclusione del programma balistico iraniano. Quest’ultimo era stato tralasciato vista l’intransigenza di Teheran al riguardo, che mai avrebbe accettato un accordo in cui esso veniva incluso.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – L’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, e il Ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, partecipano a un incontro ministeriale dei P5+1 a margine della 73esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. New York, 25 settembre, 2018
2. TRUMP E L’AVVENTO DELLA CAMPAGNA DI MASSIMA PRESSIONE
Negli Stati Uniti l’accordo sul nucleare si reggeva su un equilibrio precario, alla luce delle imposizioni dell’allora Senato, a maggioranza repubblicano, che richiedeva al Presidente l’obbligo di certificare ogni sei mesi l’aderenza dell’Iran alle misure previste e la sua utilitĂ nel perseguimento dell’interesse nazionale. Di conseguenza nel 2016 l’elezione del Presidente repubblicano Trump ha segnato l’inizio della fine della partecipazione statunitense al JCPOA. Il Presidente Trump aveva giĂ espresso il suo malumore verso l’accordo ricalcando le critiche repubblicane in merito al programma balistico e alla sua temporaneitĂ , ma funzionari di prim’ordine come James Mattis erano riusciti a farlo desistere dall’opzione del ritiro, almeno fino all’8 maggio 2018. In questa data Trump ha reintrodotto le sanzioni economiche nei confronti dell’Iran, automaticamente sancendo il ritiro statunitense dal JCPOA. Nei mesi a venire l’Amministrazione ha progressivamente incrementato le misure coercitive per riportare l’Iran al tavolo delle negoziazioni, fallendo nel suo obiettivo primario di produrre un nuovo accordo, ma devastando l’economia iraniana e gli scambi commerciali con UE e altri Paesi. Queste politiche sono state rinominate come “campagna di massima pressione“, la quale ha visto una escalation di azioni militari tra Stati Uniti e Iran nei vari teatri di conflitto regionali.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Un partecipante protesta contro l’accordo sul nucleare iraniano durante un raduno del movimento Tea Party di fronte al Campidoglio a Washington. Washington, D.C., 9 settembre 2015
3. AMERICA IS BACK
“America is back” sono le parole che il Presidente eletto Joe Biden ha pronunciato in varie occasioni a seguito della vittoria sulla Presidenza degli Stati Uniti d’America. Un ritorno che concerne l’utilizzo della diplomazia come strumento naturale e ideale per affrontare le sfide americane e globali nei prossimi quattro anni di mandato. Il ritorno americano suggerisce che Biden voglia rientrare nel JCPOA, fatto confermato dalle sue affermazioni, oltre all’aver ripescato nella sua squadra di Governo molte personalitĂ dell’Amministrazione Obama. Ma rientrare nell’accordo non è semplice come sembra. Gli iraniani hanno iniziato a infrangere tutte le clausole dell’accordo internazionale, mentre americani ed europei stanno nuovamente provando a includere il programma balistico e a estrapolare concessioni inerenti ai conflitti regionali. A tal proposito il Presidente Rouhani ha ribadito come il programma balistico non sia negoziabile e che per ritornare alla normalitĂ del JCPOA gli Stati Uniti debbano necessariamente rimuovere le sanzioni. Mossa che difficilmente si materializzerĂ se l’Iran non sarĂ disposto a promettere qualcosa in cambio. Recentemente l‘Iran ha iniziato ad arricchire l’uranio fino al 20%, in una mossa per estromettere ulteriori concessioni da parte degli altri attori seduti al tavolo. In aggiunta a ciò, le elezioni presidenziali iraniane a giugno 2021 sembrano restringere la finestra temporale di un rientro americano, visto che queste molto probabilmente vedranno la fine dell’era Rouhani e l’insediarsi di un Presidente appartenente all’ala conservatrice, ideologicamente piĂą ostile agli USA e a un negoziato diplomatico. In conclusione il JCPOA dovrĂ affrontare due ostacoli per poter sopravvivere, uno di natura politica e l’altro di natura temporale.
Augusto Sisani
Immagine di copertina: Photo by brainin is licensed under CC BY-NC-SA