Il conflitto tra l’esercito regolare della Repubblica democratica del Congo e le forze ribelli è ancora da risolvere, ma la sua complessità e la frammentazione dei movimenti coinvolti rendono molte vie d’uscita del tutto improbabili. La Conferenza internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi può essere d’aiuto?
TRATTATIVE FALLITE – Le trattative per la pace tra le Autorità congolesi, ruandesi e ugandesi e i ribelli che combattono per il controllo dell’Est della Repubblica democratica del Congo (RDC) hanno portato alla firma di accordi di pace, con l’integrazione degli insorti nell’esercito regolare, già nel 2000. Recentemente, l’accordo di Addis Abeba, siglato il 24 febbraio 2013, ha raccomandato il rispetto degli impegni per la pace e la sicurezza da parte di tutti gli attori coinvolti nel conflitto nel Nord Kivu (RDC, Ruanda, Uganda e soggetti privati). Purtroppo però tutti questi patti, che tra l’altro hanno impegnato la comunità internazionale, finora non sono stati abbastanza per la totale pacificazione della RDC, vittima di un conflitto che dura da più di quindici anni.
LA CIRGL – Nell’ambito degli sforzi per la pace, e in base al principio secondo il quale le crisi nei Paesi dell’area hanno una dimensione prima di tutto regionale, le Risoluzioni nn.1291 e 130 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (entrambe del 2000) hanno sollecitato la creazione di una conferenza internazionale per la pace e lo sviluppo nei Grandi Laghi, realizzata nel 2004, con l’adozione da parte di 11 Stati di una dichiarazione apposita, la cosiddetta Dar es-Salaam Declaration, volta a individuare le cause dei conflitti nella regione e a trovarne le vie d’uscita. Nel 2006 fu invece approvato a Nairobi il Patto di Sicurezza, Stabilità e Sviluppo, che includeva anche la Dichiarazione di Dar es-Salaam. Questi due documenti sono divenuti, di fatto, le fondamenta della Conferenza internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL), composta da Angola, Burundi, Repubblica centrafrica, Repubblica del Congo, Repubblica democratica del Congo, Kenya, Ruanda, Sudan, Sud Sudan, Tanzania, Uganda, Zambia.
L’ANGOLA PRENDE IN MANO LA PRESIDENZA CIRGL – La sconfitta militare dei ribelli di M23 in Congo nel novembre 2013 è avvenuta due mesi prima che l’Angola assumesse il turno di Presidenza della CIRGL per il periodo 2014-2016. La vittoria di Kinshasa ha condotto le Autorità angolane a complimentarsi con quelle congolesi, poiché essa potrebbe rappresentare l’avvio della stabilizzazione del Nord Kivu. Tuttavia, durante il discorso d’apertura del V summit della CIRGL, José Eduardo dos Santos, Presidente dell’Angola e chairman della Conferenza, ha riconosciuto come sia ancora necessario trovare soluzioni realistiche e durature ai conflitti che tuttora persistono nella regione, mentre Mary Robson, rappresentante dell’ONU presso l’Organizzazione, ha dichiarato che c’è ancora molta strada da percorrere affinché la regione dei Grandi Laghi sia trasformata in una zona di pace, sicurezza e stabilità .
IL SUMMIT DI LUANDA DEL 25 MARZO: PUNTO DI SVOLTA? – Il 25 marzo scorso, i rappresentanti di cinque Stati membri della CIRGL (Angola, Repubblica del Congo, RDC, Ruanda e Uganda) e il Presidente del Sudafrica, invitato speciale, hanno partecipato al cosiddetto “mini-vertice” tenutosi a Luanda, in Angola. Dos Santos durante l’incontro ha sostenuto che «nonostante l’evoluzione positiva degli ultimi tempi, resta la preoccupazione per le informazioni sugli avvenimenti negativi nell’Est della RDC, [con riferimento] ai gruppi ribelli delle Forze democratiche alleate (ADF) e delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (FDLR). La necessità è intraprendere azioni a più livelli sul piano politico, sociale, e, qualora siano inevitabili per la pace completa e definitiva, anche militare». La posizione di dos Santos è stata la base del documento conclusivo del summit, la Dichiarazione di Luanda, nella quale, inoltre, si è incoraggiato il Governo congolese a promulgare un’amnistia nei confronti degli ex ribelli di M23.
LA LEGITTIMITĂ€ DI UN’AZIONE MILITARE DELLA CIRGL – Sarebbe quindi possibile che la CIRGL intervenisse in Congo? Gli accordi di Addis Abeba del 2014, conclusi per porre fine al conflitto nelle regioni orientali della RDC, hanno stabilito due meccanismi volti a valutare l’attuazione degli impegni sanciti: uno a livello nazionale, che riguarda le AutoritĂ statali, l’altro a livello internazionale, che prevede il controllo da parte degli attuali dodici Stati membri firmatari della CIRGL (tra cui l’Angola), dell’ONU, dell’UA e della South African Development Community (SADC). In piĂą, la CIRGL può procedere anche con delle raccomandazioni nell’ambito di vertici straordinari, come quello di Luanda, elaborate da una triade costituita dal Presidente della Conferenza in carica, dal suo successore e dal suo predecessore.
Detto ciò, se da un lato i princìpi fondanti della CIRGL forniscono la legittimazione ad avviare azioni congiunte (anche militari) e la possibilità di realizzare summit straordinari qualora lo si ritenga urgente, come appunto avvenuto il 25 marzo, dall’altro lato c’è il rischio che, considerato l’attivismo di Luanda, taluni Stati non presenti al vertice (per esempio Zambia, Tanzania o Kenya) pensino che l’eventuale intervento armato contro le ADF e le FDRL sia una mossa geopolitica voluta dalla sola Angola. Perciò, se l’operazione militare fosse ritenuta attuabile, sarebbe raccomandabile creare una forza congiunta costituita da tutti i Paesi membri interessati.
PIĂ™ DUBBI CHE CERTEZZE – D’altronde, se è vero che a livello della SADC, di cui fanno parte anche Angola, Sudafrica e RDC, non ci sarebbero problemi nell’individuare la coalizione per affrontare le forze ribelli, allo stesso modo, trattandosi di un conflitto transnazionale, Ruanda e Uganda si sentirebbero esclusi da una vicenda che li riguarda da così vicino (FDRL filo-ruandese, ADF filo-ugandese), e protesterebbero per il coinvolgimento della stessa SADC in una questione che chiama in causa innanzitutto la CIRGL. In questo senso l’Angola, interessata a promuovere la pace in un Paese con cui condivide un’estesa frontiera terrestre, dovrebbero lavorare in seno all’Unione Africana, la quale sembra piĂą propensa ad affidare l’intervento nel Congo orientale non giĂ alla Standby Force della SADC, nĂ© alle truppe della CIRGL, ma piuttosto a una missione multilaterale (SADC, ComunitĂ economica degli Stati dell’Africa centrale – CEEAC, CIRGL) con un’operazione umanitaria che includesse anche l’ONU.
Tuttavia, parte dei membri della CIRGL non si lascia quasi mai coinvolgere nelle missioni di pace in Africa, per ragioni finanziarie e di politica estera, anche quando si tratta di Paesi confinanti, la cui instabilità si ripercuote nei propri territori e nelle proprie strutture sociali (l’eccezione è il Kenya, impegnato in Somalia). Inoltre, si teme una possibile incapacità decisionale da parte dell’UA rispetto alla vicenda RDC, poiché ogni Stato si muove sulla base sia dei propri interessi politici ed economici, sia di quelli della ex madrepatria colonizzatrice. Per questi motivi l’Angola, nel caso in cui essa volesse sostenere fino in fondo un’azione militare in Congo, magari guidandola, avrebbe a che fare anche con le aziende multinazionali che operano nella regionee che in molti casi hanno contatti diretti con i gruppi ribelli, in aree ricche di risorse indispensabili alle nuove tecnologie (per esempio il coltan).
Un altro problema sorgerebbe anche nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con le potenze occidentali che difficilmente sarebbero favorevoli a un ulteriore dispiegamento, oltre a quello di MONUSCO: una soluzione, pertanto, potrebbe essere l’integrazione di una nuova missione con a capo l’Angola in quella già esistente, prevedendone una modificazione di ruoli e obiettivi.
Issau Quintas Agostinho