Il popolo più povero del continente americano è stato chiamato ad eleggere il proprio presidente e a rinnovare il parlamento. Gli ultimi giorni di campagna elettorale sono stati caratterizzati dal ritorno, dopo sette anni di esilio, dell’ex presidente Jean-Baptiste Aristide. La sfida tra Manigat, ex first lady, e Martelly, cantante popolare e populista con nessuna esperienza politica alle spalle, pare abbia visto prevalere il secondo. Riuscirà Haiti a emergere dalla sua immensa e drammatica crisi post-terremoto?
IL SECONDO ROUND – Il 20 marzo è stata la giornata del ballottaggio tra i candidati alla guida del Paese. È stata anche una giornata di tensione, seppur sicuramente in maniera inferiore rispetto al clima del 28 novembre, quando gli elettori, frustrati e costretti a scegliere tra diciannove candidati diversi, avevano devastato i seggi. Tuttavia, le voci di brogli (seppur molto più flebili rispetto al primo turno) si fanno sentire. In alcune zone del Paese vi sono stati incidenti che avrebbero portato alla morte di due persone; inoltre, molte schede siano arrivate in ritardo, ed alcuni elettori non è stato permesso votare. Una delle questioni chiave di questo appuntamento elettorale riguardava proprio l’affluenza alle urne, che si è tenuta tra il 23 e il 30 %; una cifra alta, considerando che nel recente passato si è a fatica superato il 20%. Sarà poi interessante capire la distribuzione dei votanti; pare che la gran partedi questi sia ubicato nel dipartimento Ovest, quello di Port-au-Prince.
TORNA ARISTIDE – In questo scenario, il 18 marzo è rientrato in patria l’ex sacerdote Jean-Bernard Aristide, dopo sette anni di esilio in Sudafrica. L’ex presidente, il primo di Haiti a essere eletto democraticamente nel 1990, è amato dai poveri, ma è accusato di corruzione e di aver represso violentemente gli oppositori durante i suoi anni al potere. Appena atterrato, Aristide ha denunciato l’esclusione del suo partito dalle elezioni. Anche diversi tra i sostenitori di Aristide hanno comunque deciso di recarsi ai seggi, stanchi di vivere nelle tende dopo che le loro case sono state distrutte dal terremoto del gennaio 2010.
TRA LA CHIOCCIA E IL RIBELLE – I due candidati hanno entrambi promesso cambiamento, sviluppo, e ammodernamento dell’economia. Certo i due profili sono completamente diversi. Mirlande Manigat, 70 anni, studiosa di diritto costituzionale, ex senatrice e moglie dell’ex presidente Leslie Manigat, è la chioccia, Martelly è il figlio ribelle. Il cantante di kompa, noto come Sweet Micky, spera che le folle dei giovani presenti ai suoi concerti possano aiutarlo a completare la sua trasformazione da divo a capo di stato ben vestito e rispettato.
I risultati definitivi arriveranno il 16 aprile prossimo. Dunque, ci sarà ancora molto da attendere. In ogni caso, i dati ufficiosi sembrano dare a Martelly la vittoria, con il 67,57% dei voti. Viene da domandarsi se una persona finora completamente estranea alla politica che ha avuto una vita segnata da eccessi e da droga, tanto da non riuscire a portare a termine nè la carriera scolastica, nè quella militare possa essere la persona migliore per guidare la ricostruzione di Haiti. Certo Martelly ha dalla sua il consenso popolare: con slogan di svolta contro corruzione e malgoverno, la sua sembrava una candidatura populista da outsider, cresciuta col tempo. In ogni caso, la maggioranza del Parlamento sarà sempre saldamente in mano al partito del presidente uscente Preval,il cui candidato è stato escluso per brogli dal secondo turno, ripescando di fatto Martelly.
LE SFIDE – Di fatto, il 20 marzo si è aperta una nuova fase politica per il Paese che segnerà il futuro dell’isola. Il principale compito del nuovo presidente sarà quello di iniziare la ricostruzione del Paese e restituire la dignità al popolo haitiano, indebolito e sconfortato da decenni di dittature e colpi di Stato, e soprattutto dal devastante terremoto dell’anno scorso e dalle sue conseguenze (tremila vittime di colera, un milione e mezzo di abitanti ancora alloggiati in tende e ripari improvvisati). Al di là di tutto, le elezioni e l’affluenza sembrano un segnale di speranza perché il Paese riesca ad andare avanti.
Adele Fuccio
Leggi qui altri due articoli del Caffè sulla vicenda:
- Le elezioni al tempo del colera (29/11/2010), relative al primo turno;
- Elezioni per il cambio? (19/03/2011), scritto alla vigilia del ballottaggio.