Recep Tayyip Erdogan con una netta vittoria ha conquistato la presidenza della Repubblica al primo turno il 10 Agosto scorso. L’attenzione adesso si sposta su chi sarà il nuovo Primo Ministro che prenderà il posto del neo-eletto Presidente
FINE SECONDO ATTO – L’ennesimo discorso dalla balconata segna la fine del secondo atto all’interno di questo periodo elettorale in Turchia (il primo sono state le elezioni amministrative svoltesi il 30 Marzo scorso). Cambiano gli attori ma resta invariato il protagonista principale. Recep Tayyip Erdoğan vincendo le elezioni segna un nuovo punto nella sua già mirabolante carriera politica diventando il nuovo presidente della Repubblica di Turchia. Prima di lasciare la sua casa di Istanbul per recarsi nella capitale a celebrare la vittoria il neo-eletto presidente ha deciso di fare una sosta nella moschea di Eyüp per rendere grazie a Dio per questo risultato. Questa moschea, importante meta di pellegrinaggio per il mondo mussulmano, era ai tempi dell’impero il primo luogo in cui si recavano i sultani ottomani dopo essere ascesi al trono. Dopo questo gesto dall’alto valore simbolico Erdoğan ha tenuto il suo consueto discorso dal balcone della sede del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) di Ankara riservando parole conciliatorie verso tutti e affermando che anche chi non ha votato per lui in quel giorno ha vinto. Unici non invitati alla festa i sostenitori del predicatore Fetullah Gülen. Quello dello studioso è stato l’unico nome proprio pronunciato all’interno del discorso e ai suoi seguaci è stata promessa battaglia dichiarando che “chiunque minacci la nostra sicurezza nazionale troverà noi sul loro cammino”.
INTERLUDIO – Come molti avevano previsto la vittoria è stata netta, 51,64% contro il 38,56% di İnsanoğlu (Partito Repubblicano del Popolo – CHP e Partito del Movimento Nazionalista – MHP) e il 9,8% di Demirtaş (Partito Popolare Democratico – HDP). Il candidato congiunto dei due principali partiti di opposizione non è riuscito a raggiungere la soglia del 40% non centrando l’obiettivo di portare Erdoğan al secondo turno, previsto qualora nessun candidato avesse raggiunto il 50% più 1 dei voti espressi. Con la sola eccezione di Ardahan, situata al confine tra Turchia e Georgia, le uniche provincie in cui è riuscito ad imporsi sono situate nei pressi del litorale mediterraneo, zona tradizionalmente progressista ed ostile all’AKP. Soddisfacente invece il risultato di quello che era considerato l’outsider della corsa, Selahattin Demirtaş. Il leader dell’HDP, uno dei principali rappresentanti delle rivendicazioni del popolo curdo, è riuscito a raccogliere quasi il 10% dei consensi, spiccando un notevole salto rispetto al 5,9 registrato alle amministrative del 30 Marzo scorso. Il suo successo si è basato principalmente su un forte radicamento nelle aree a sud est del paese, raggiungendo risultati vicini all’80% nelle provincie situate lungo il confine iraniano, ma anche grazie a risultati ragguardevoli anche in altre zone del paese (superiori all’8%, ad esempio, ad Istanbul e Mersin). Questo risultato è visto anche come la ragione per la quale Erdogan, pur vincitore al primo turno, non è arrivato addirittura al 58% che alcuni osservatori ipotizzavano per lui.
PAUSA DI RIFLESSIONE – Un dato rilevante è stato quello dell’affluenza che si è attestata attorno al 74,4%, attestandosi ad un livello decisamente più basso di quanto ci si potesse aspettare alla vigilia della tornata elettorale. Stando ai primi dati emersi sembra che a non recarsi alle urne siano stati soprattutto coloro che avrebbero votato CHP e del MHP, ovvero i potenziali sostenitori di Insanhoğlu. Gli elettori infatti sembra non abbiano premiato la scelta dei partiti di candidare in maniera congiunta una personalità esterna all’agone politico. Una parte consistente dei nazionalisti dell’MHP ha espresso durante la campagna elettorale la propria contrarietà a questa scelta sentendosi scarsamente rappresentata dal segretario generale dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica. Al contrario i voti che sono stati destinati ad Erdoğan sono quasi del tutto comparabili con quelli ottenuti alle scorse amministrative. Nonostante le traversie dell’anno 2013, ed inizio 2014, che hanno visto il partito di governo sconquassato dalle proteste di Gezi prima e dagli scandali di corruzione poi, a livello elettorale l’AKP ha mantenuto le prestazioni degli anni passati. Questo risultato è ascrivibile a tre fattori principali. Il primo è di ordine economico, nonostante il rallentamento registratosi negli ultimi anni l’AKP sta ancora beneficiando dell’onda lunga degli anni 2000 in cui, grazie alle ottime performance economiche, sono state messe in atto politiche sociali di sostegno alle fasce più basse di reddito nelle pianure anatoliche. Il secondo fattore riguarda proprio Erdoğan è la sua capacità di costruire un forte legame personale con la propria base elettorale che si identifica in lui al punto da costruire un vero e proprio culto della personalità. Il terzo fattore invece riguarda l’imponente macchina organizzativa dell’AKP che riesce a penetrare quasi tutte le arterie della società e a mobilitare un’ingente quantità di risorse a favore del partito di governo.
INIZIO TERZO ATTO – La stagione delle elezioni in Turchia però non può ancora dirsi conclusa sino a che non si svolgerà il terzo atto, ovvero le elezioni politiche previste per Giugno 2015. Nel cammino di avvicinamento a questo momento il primo nodo da sciogliere è quello che riguarda la nomina di un nuovo primo ministro che prenda il posto che per 11 anni è stato di Erdoğan. Per mesi si è parlato della possibilità che tale ruolo potesse essere ricoperto da Abdullah Gül. L’ipotesi di una versione turca di uno scambio alla Putin-Medvedev incontra però alcuni ostacoli. Il primo è di natura tecnica in quanto la Costituzione turca prevede che il primo ministro sia scelto tra i membri del parlamento escludendo di fatto l’ex presidente. Il secondo è di natura politica in quanto l’AKP ha fissato il congresso straordinario per la nomina del nuovo segretario del partito (carica che in Turchia per prassi è sempre detenuta dal Primo Ministro) per la data del 27 Agosto, ovvero il giorno prima del termine ufficiale del mandato presidenziale di Gül. Una volta estromesso, almeno per il momento, l’ex presidente dalla partita la scelta sembra destinata a ricadere su uno dei fedelissimi di Erdoğan. I nomi più gettonati sono stati quello del ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu e quello del vice-primo ministro Bülent Arinç. Con il congresso dell’AKP e l’insediamento di Erdoğan si aprirà in maniera netta il terzo atto di questo periodo elettorale che si concluderà nel Giugno del prossimo anno (anche se non è da escludere a priori il fatto che si possa giungere ad elezioni anticipate). Mentre le opposizioni saranno probabilmente occupate a mettere insieme i pezzi di questa sconfitta l’AKP sarà alle prese con il non facile compito di trovare una personalità che possa assumere la leadership del partito e guidare la transizione sino alle elezioni. Erdoğan, dal canto suo, ha promesso che sarà un presidente estremamente attivo e che farà uso di tutti i poteri riservatigli dalla Costituzione. Considerato il carisma che lo caratterizza, e la legittimazione derivante dall’elezione popolare, difficile credere che siano solo promesse elettorali.
Filippo Urbinati