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Un caffè con Marco Valigi

Intervista a Marco Valigi, docente di Studi Strategici presso l’Università degli Studi Roma Tre e curatore del libro Caspian Security Issues – Conflicts, Cooperation and Energy Supplies. Un’ottima occasione per approfondire alcuni temi che riguardano i Paesi della regione del Caspio. In primo piano sono naturalmente le questioni energetiche, alle quali tuttavia l’opera invita a riflettere con un approccio multidisciplinare

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Marco Valigi, professore di Studi Strategici presso l’UniversitĂ  degli Studi Roma Tre

Nell’opera Caspian Security Issues è stata adottata una definizione del termine “sicurezza” che va oltre la dimensione militare. Quali sono le caratteristiche e le dinamiche dell’area che hanno indotto a una tale scelta?

– La scelta che è stata fatta può essere definita un compromesso. L’intenzione è stata quella di evitare l’uso estensivo del termine. In questi casi, la parola sicurezza finisce per dire tutto e niente. Allo stesso tempo, però, si è voluto evitare di incappare in un atteggiamento opposto, ovvero di utilizzare una definizione eccessivamente rigida del temine sicurezza, leggendolo solo in termini di uso della forza. In tal modo è stato possibile studiare temi militari, ma anche altre questioni come la sicurezza energetica, il controllo dei giacimenti e delle infrastrutture di trasporto, i conflitti interetnici e quelli per l’influenza su certe aree geografiche – si pensi alla Georgia.

L’aspetto forse più noto del Mar Caspio è appunto la sua rilevanza per l’estrazione di idrocarburi. Recentemente è stato approvato il progetto TAP per il trasporto delle forniture energetiche. Come ritiene possa incidere un tale sviluppo sul futuro dell’azione politica dell’UE nell’area?

– In realtĂ  l’Europa è la grande assente nella regione. Inoltre il Nabucco e non il TAP è tuttora – nonostante le notevoli difficoltĂ  incontrate dall’iniziativa – il gasdotto politicamente supportato dalla Commissione Europea. Detto questo, l’utilitĂ  del TAP merita di essere sottolineata. I Paesi caucasici, infatti, hanno modo di creare un vincolo pragmatico con l’Europa in qualche misura capace di tutelarli di fronte all’assertivitĂ  russa. L’Europa mediterranea – e l’Italia in particolare – per contro disporrĂ  grazie al TAP di un canale di approvvigionamento in grado di contenere sia gli effetti dell’instabilitĂ  politica che sta attraversando il Nord Africa e soprattutto la Libia, sia le conseguenze di eventuali frizioni con Mosca.

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Fig.1 – Manifestazioni georgiane contro l’influenza della Russia 

Quali opportunità sono presentate all’Italia dal TAP?

– E’ molto importante parlare di Italia quando si fa riferimento al TAP. La rilevanza è grande per i Paesi dell’Europa meridionale, ma per il nostro in particolar modo. Le capacitĂ  di trasporto dell’infrastruttura in parte lo confermano: 10 miliardi di metri cubici di gas annui non sono in grado di soddisfare il fabbisogno energetico del mercato europeo, ma sono comunque rilevanti per i consumi nazionali italiani. In particolare, però, meritano di essere approfonditi gli effetti politico-diplomatici prodotti dal TAP sui Paesi collegati a quell’infrastruttura, su tutte un aumento di interdipendenza tra le parti. Per quanto concerne l’azione italiana, comunque, non va dimenticato che il fulcro dell’azione della compagnia di bandiera è il Kazakhstan. In quel Paese, infatti, c’è il noto giacimento di Kashagan le cui reali potenzialitĂ  sono in parte ancora sconosciute, ma in relazione al quale ENI si è mossa con grande dinamismo. L’ingrediente mancante, forse, è proprio una strategia diplomatica chiaramente indirizzata verso il Caucaso e il Caspio.

Il 13 novembre è stata annunciata la creazione della compagnia che costruirà ed opererà il gasdotto TAPI (Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan, India). Ritiene che il progetto andrà in porto? E quali sarebbero le conseguenze per i Paesi coinvolti?

– Ci sono enormi incognite sul futuro di questo progetto. Da un lato c’è l’India, attore complesso sia sul piano politico interno si su quello internazionale, il quale tuttavia ha bisogno di ulteriori approvvigionamenti energetici. Dall’altro, ci sono invece i territori attraverso i quali dovrebbe snodarsi condotta, l’Afghanistan e il Pakistan, la cui instabilitĂ  è ben nota. Per quanto concerne l’implementazione del progetto, avranno un ruolo centrale i negoziati con i diversi potentati locali, soprattutto dopo che la chiusura della missione ISAF. Se il TAPI fosse poi implementato, a beneficiare della notevole domanda indiana sarĂ  in primo luogo il Turkmenistan.

Considerata la centralità degli idrocarburi nelle politiche dell’area, essi potrebbero essere giocare un ruolo strategico in vista della risoluzione di certi conflitti?

– Credo che ciò sia possibile, penso soprattutto al caso Armenia-Azerbaigian. I bisogni energetici di Erevan potrebbero infatti creare opportunitĂ  per la diplomazia. Al solito, però, molto dipende dalle mosse della Russia. Senza fare della fantapolitica è interessante seguire gli sviluppi della diplomazia in relazione alle questioni energetiche. Accanto agli scenari competitivi, infatti, vale la pena ipotizzarne anche altri di tipo cooperativo.

La Russia è il principale attore regionale. Gli eventi accaduti quest’anno e le lezioni impartite dalla crisi ucraina hanno avuto conseguenze per la posizione russa nell’area caspica?

– Non credo che ci siano state conseguenze. Il focus al momento è l’Ucraina e non si registrano escalation in altre aree. Da questo punto di vista ciò che avviene lì è un chiaro monito per tutti gli attori nella regione: la crisi si protrae e Mosca non appare intenzionata a cedere. La stessa Georgia, d’altro canto, non sembra intenzionata a ripetere i tentativi del 2008. In questo quadro, però, non va dimenticata la differenza che esiste tra i casi georgiano ed ucraino e quelli azero o turkmeno. Nei primi due, infatti, la posta in gioco erano l’allargamento di NATO ed Unione Europea a discapito del cosiddetto Near Abroad russo. Peraltro, Mosca, e Putin, si sono dimostrati sinora attori razionali e le cui azioni risultano caratterizzate da un certo grado di prevedibilitĂ . Questo, tutto sommato, costituisce un elemento di certezza, almeno in vista dell’elaborazioni di adeguate risposte politiche e militari.

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Fig.2 – Una moschea di fronte ad un edificio di nuova costruzione a Baku

A tenere banco in questi giorni c’è anche la crisi in Medio Oriente. Gli eventi mediorientali possono essere destabilizzanti per il Caucaso?

– Il mio invito è quello di evitare associazioni automatiche tra Paesi a maggioranza musulmana e radicalismo. Prendiamo il caso azero: si tratta di una nazione di fede islamica – sciita – ma da sempre contraddistinta da una forte vocazione laica. Allo stesso tempo altri Stati dell’area hanno adottato una linea dura nei confronti del radicalismo. Una delle preoccupazioni principali delle loro leadership, infatti, è di non essere associati a Paesi mediorientali come l’Afghanistan. Il vero rischio sta nella porositĂ  delle frontiere, la quale consente il transito o l’infiltrazione di elementi esogeni e potenzialmente minacciosi, soprattutto per la stabilitĂ  interna dei diversi regimi della regione. Da quest’ultima infatti dipendono sia le attivitĂ  di estrazione, sia la capacitĂ  di attrarre i capitali e il know-how delle principali compagnie petrolifere.

Matteo Zerini

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Matteo Zerini
Matteo Zerini

Laureato magistrale in Relazioni Internazionali presso la Statale di Milano, frequento ora il master Science & Security presso il King’s College di Londra. Mi interesso soprattutto di quanto avviene in Europa orientale, Russia in particolare, e di disarmo e proliferazione, specie delle armi di distruzione di massa.

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