L’America Latina è il continente che meglio degli altri ha saputo assecondare gli obiettivi “del Millennio” stabiliti dalla Fao; a fronte di un 14,4% della popolazione che soffriva di denutrizione negli anni 1990-1992, e di fronte all’obiettivo di portare tale cifra non oltre l’8% entro il 2020, questa era scesa al 5% del totale giĂ nel 2014.
UNA NUOVA STAGIONE ANCHE ALIMENTARE – In questa caso la “catena del valore” è certamente partita dai successi dei governi progressisti di fine anni ’90 che hanno portato equitĂ sociale e lottato contro l’analfabetismo. Secondo il Cesvi, l’indice della fame nascosta nella regione è calato del 53%. Di pari passo è cresciuto l’engagement ambientale, complice il summit RIO+20 del 2012.
L’America Latina vive, in generale, una fase di grande trasformazione politica che ha poi riflessi notevoli anche sulla food security. Il continente ha ormai guadagnato una relativa stabilità politica e sociale; il contrasto con Washington è ormai ridotto ad alcuni Paesi (Venezuela, Ecuador e Bolivia), ma più per ragioni di ordine ideologico e di rispetto dei diritti umani piuttosto che per un reale interesse di influenza da parte della Casa Bianca. Anzi, l’amministrazione Obama ha progressivamente abbandonato la dottrina Monroe per concentrarsi su un altro tipo di alleanze commerciali con i paesi del TTP.
Stabilità economica e politica (non ancora ovunque, ma largamente più diffuse rispetto solo al recente passato) non hanno però impedito al continente di essere preda del land grabbing, soprattutto anglosassone, ma ora anche di matrice cinese.
PANORAMICA SULLA FOOD SECURITY LOCALE – Le potenze regionali sono cresciute molto; stando al Brasile, ai successi di Lula nel campo alimentare e della food equality, coincisi con l’affrancamento dalla povertĂ e dall’analfabetismo di almeno 40 milioni di persone, stanno trovando riscontro i recenti sforzi verso la tutela ambientale, in generale e idrica soprattutto, della Rousseff. Il Brasile non ha ancora scelto se proseguire sulla via dello sviluppo dei biocarburanti (che sottraggono ettari preziosi alle colture e fanno salire il prezzo del mais) o se dedicarsi di piĂą alla zootecnia da carne, mettendo a repentaglio la biodiversitĂ amazzonica. L’aspetto che piĂą di altri sarĂ messo in luce ad Expo sarĂ proprio lo sviluppo tecnologico del Paese, ormai divenuto una potenza economica globale, ma nel mezzo di una difficile fase di stagnazione. L’accresciuta influenza politica è evidente anche dall’essere riusciti a portare Josè Graziano da Silva ai vertici della FAO.
L’Argentina vive un momento turbolento  e si riaffaccia lo spettro del default. Tuttavia, ha conseguito grandi successi nel campo della food security. Successi che vengono da lontano, almeno dagli anni ’40 del secolo scorso quando era il “granaio del mondo”; non a caso il tema scelto per Expo è “L’Argentina ti nutre”.
Insieme ai vicini Brasile, Uruguay e Paraguay, ha costituito il Mercosur. I quattro Paesi sono grandi produttori agricoli e sono tra loro complementari in termini di catena del valore. Il potenziale di questa regione quanto a produzione di cibo è enorme: l’offerta eccede di gran lunga il consumo e negli ultimi anni il Mercosur è divenuto il più grande esportatore netto di cibo al mondo. Le potenzialità a livello di risorse naturali, ma anche di competenze umane, potrebbero essere ulteriormente sfruttate attraverso politiche volte a rafforzare la catena del valore, ad esempio tramite investimenti infrastrutturali e abbattimento di barriere commerciali, specialmente non tariffarie, le stesse che i prodotti argentini incontrano in giro per il mondo.
Il padiglione di Montevideo, sull’onda lunga dei successi mondiali di JosĂ© Mujica, si dedica ai progressi nella vita dei cittadini. Il pay-off è “La vita cresce in Uruguay”.
Il Cile punta tutto su un viaggio esperienziale tra i diversi ecosistemi, deserti, fiumi, valli e montagne, mostrando come la vita cresce in ognuno di essi e con quali strumenti la si preserva. E come l’uomo si può relazionare, in maniera sapientemente costruttiva, con essi. Non a caso, se il 2014 è stato “l’anno internazionale dell’agricoltura familiare”, il 2013 ha celebrato la quinoa, lo pseudo – cereale delle Ande su cui punta tutto la Bolivia, a riprova dello sforzo dell’ONU di indirizzare i produttori verso il local.
Forse la partecipazione piĂą sorprendente sarĂ quella della Colombia, che non è soggetta al mutare della stagionalitĂ data la sua vicinanza geografica all’equatore. I cambiamenti di clima hanno come unica variabile l’altitudine: all’interno del territorio colombiano si può passare da 0 a oltre 5000 metri sul livello del mare e attraversare tutti i cinque “piani termici” esistenti al mondo (pisos termicos de Colombia). BogotĂ vuole portare un messaggio di pace (sarĂ dovuto alla fine della lotta con le Farc?) e si concentra sul cibo sostenibile, vero obiettivo cui tendere a livello planetario.
Cambiando versante politico, Cuba fotografa il momento di transizione politica e sociale chiamando il padiglione “Sulla strada dell’indipendenza alimentare”, mentre El Salvador punta tutto sul caffè, celebrandone la sostenibilità nella produzione. Il poverissimo Haiti è presente nel cluster Cereali e Tuberi e valorizza la propria tradizione agroalimentare. Per analogia, la confinante Repubblica Dominicana vuole dare maggiore potere proprio ai produttori agricoli.
La cucina messicana, patrimonio Unesco dal 2010, esalta la biodiversità che questo estesissimo stato possiede; il tema è “Messico, il seme per un mondo nuovo: cibo, diversità ed eredità ”. Purtroppo non partecipa il Paese col più alto tasso di biodiversità al mondo, il Costarica. Mancherà anche il Perù, altro Paese avviato verso la sconfitta della denutrizione e che già guarda lontano, essendo promotore dell’alleanza con la sponda del Pacifico cui anche Obama sta guardando con interesse.
PROSPETTIVE – Complessivamente, quindi, il continente si presenta in buone condizioni all’appuntamento meneghino. Se consideriamo che la maggior parte delle terre ancora coltivabili si trova proprio nell’America Latina possiamo comprendere l’importanza del ruolo che il continente potrĂ giocare nella food security futura, soprattutto alla luce delle ampie possibilitĂ di produrre energia a buon mercato grazie all’innovazione tecnologica (soprattutto in Brasile) ed alla disponibilitĂ di materie prime (soprattutto in Argentina).
Non è un caso che la Cina abbia già stabilito delle basi commerciali e tecniche nel continente. Tuttavia, giocare o meno un ruolo da player mondiale nei prossimi 20 o 30 anni dipenderà in buona parte dal grado di integrazione, soprattutto politica, che le potenze latine decideranno di avere. La partita del futuro è global ed essere local potrebbe non bastare.
Andrea Martire
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