Giovedì 11 febbraio il generale saudita Ahmad al-Assiri ha dichiarato che l’Arabia Saudita si prepara a un intervento diretto in Siria, non escludendo l’invio di truppe di terra. Nel frattempo arriva la notizia di un possibile cessate il fuoco. Ma quali le conseguenze? Vediamole qui, in 10 punti
1) CESSATE IL FUOCO? – Nella notte tra l’11 e il 12 febbraio a Monaco è stato raggiunto un primo accordo su un possibile cessate il fuoco tra le fazioni principali che combattono in Siria, esclusi i gruppi terroristi dello Stato Islamico e di Jabhat al-Nusra (affiliato ad al-Qaeda). Questo tentativo appare per ora fragile, ma su tutto gioca l’incognita di cosa faranno i principali attori regionali, soprattutto Iran e Arabia Saudita, che influenzano alcune fazioni sul terreno. Proprio quest’ultima ieri, per voce del generale Ahmad al-Assiri, portavoce della coalizione saudita anti-Houthi in Yemen, ha confermato come definitiva la decisione di voler intervenire piĂą direttamente nel conflitto in Siria, non escludendo l’invio di truppe di terra. Tale possibilitĂ si ventilava da settimane, ed è ancora incerto se si tratti di una provocazione per costringere gli avversari a trattare o sia davvero il preludio a un’operazione per ora non ben definita. Nel secondo caso, non è da escludere che anche in caso di sconfitta dei ribelli non affiliati allo Stato Islamico o ad al-Nusra l’Arabia Saudita decida di inviare comunque truppe di terra: nominalmente per combattere appunto contro i terroristi (è anche ora la motivazione ufficiale per un intervento) ma in realtĂ Â per assicurare che l’area sunnita della Siria non torni sotto il controllo del rivale Assad una volta sconfitto il nemico comune.
2) NON PIU’ TANTO GUERRA PER PROCURA – La decisione comunque è maturata negli ultimi mesi, a partire dall’intervento russo che ha scombinato gli equilibri di forza in Siria e che ha mostrato come i gruppi ribelli locali (di tutti i tipi) non siano piĂą in grado di rovesciare il Presidente Bashar al-Assad. In una valutazione simile a quanto fatto per lo Yemen, per Ryhad il fallimento degli alleati locali mostra come unica opzione oggi quella di intervenire e metterci faccia (e truppe) direttamente. In generale, questo si inserisce nell’attuale conflitto tra Iran e Arabia Saudita, per il quale vanno considerati vari aspetti. Innanzi tutto lo scontro continuo per procura in vari Paesi della regione (soprattutto, in vario modo, in Siria, Iraq, Libano, Yemen, Bahrein) dovuto al desiderio di ridisegnare gli equilibri regionali a proprio vantaggio (o mantenere quelli precedenti) in seguito agli eventi delle Primavere Arabe, che al di lĂ delle valutazioni hanno riaperto equilibri che prima sembravano consolidati. I due Paesi infatti da un lato non hanno volontĂ di scontrarsi direttamente militarmente per i rischi di tale azione, pur proseguendo in programmi di armamento in alcuni casi considerevoli. Dall’altro lato però la mossa saudita, se davvero verranno inviate truppe sul terreno, mostra l’intenzione di influenzare piĂą direttamente gli eventi che, lasciati a loro stessi, stavano precipitando.
3) IL FATTORE CINA – Esistono però dei limiti. Uno di questi è costituito dalla Cina, che fa affari sia con i sauditi sia con gli iraniani, importa idrocarburi da entrambi ed è il principale partner di entrambi. Recentemente il Presidente cinese Xi Jinping ha svolto un tour regionale, toccando Ryhad, e Teheran: per la Cina l’interesse principale è che gli idrocarburi continuino a fluire verso est… e una guerra aperta avrebbe il doppio effetto negativo di far alzare eccessivamente i prezzi per il possibile shock sui mercati e potenzialmente bloccare in parte produzione e/o export se si iniziassero a colpire petroliere e/o impianti. In quest’ottica, anche solo una situazione che porti le compagnie di assicurazione navali ad alzare i prezzi (rendendo piĂą costoso il trasporto) o addirittura rifiutarsi di assicurare le navi (anche solo per minaccia che succeda) sarebbe deleterio sui prezzi globali. Entrambe le cose sono giĂ avvenute in passato e non possono infatti essere escluse. Dunque la Cina sta giocando (giĂ da anni) un ruolo “sotterraneo” di riduzione delle tensioni aperte tra i due stati e si può pensare che questo sia sufficiente ad evitare lo scontro aperto – soprattutto se sommato al fatto che anche altri attori internazionali (USA in primis) in questo momento vogliono la stessa cosa per motivi di stabilitĂ regionale.
4) COMPROMESSO? NO GRAZIE – Infatti entrambi i Paesi vedono il loro scontro come un “gioco a somma zero” (zero-sum game – situazione win-lose) dove ogni compromesso viene visto come inaccettabile. In teoria la chiave sarebbe una mediazione regionale (con Occidente, Russia e potenzialmente Cina a mediare) che veda un passaggio a punti di vista win-win (cioè all’idea che un compromesso porti vantaggi a entrambi). Proprio per il caso della Siria, noi stessi abbiamo spiegato su quali basi potrebbe essere possibile. Eppure oggi fare questo passaggio risulta particolarmente difficile per veti incrociati e perchĂ© entrambi sono ancora nella fase di credere di poter vincere totalmente, prima o poi. Qui per l’Arabia Saudita gioca un ruolo chiave la posizione e l’opinione del Ministro della Difesa saudita Principe Mohammed bin Salman, figlio del re e fautore di una politica molto interventista e poco prudente, che finora si è dimostrata però di poco successo.
5) PROBLEMI INTERNI – L’Arabia Saudita vive una situazione di stabilitĂ interna non proprio rosea. La variabile del prezzo del petrolio di fronte a budget statali molto onerosi sta giĂ spingendo l’Arabia Saudita a rivedere il proprio modello economico in prospettiva futura, come espresso proprio dal Principe Mohammed bin Salman, attualmente il vero potere nel Paese. Ma il suo programma è ambizioso, vedrebbe una ridefinizione del contratto sociale tra monarchia e tribĂą e non è esente da criticitĂ e critiche. Il piano non è di veloce realizzazione ed è da vedere se il Principe saprĂ davvero convincere gran parte dell’establishment ad appoggiare il piano – c’è una disputa tra “vecchia” guardia, timorosa di tali cambiamenti, e i nuovi consiglieri del giovane principe, considerati piĂą spregiudicati.
6) TROPPE COSE TUTTE INSIEME – L’Arabia Saudita è oggi in situazione di overstretch – è impegnata in molti fronti e fa fatica a gestirli tutti. Lo Yemen sta diventando un problema dal quale è difficile uscire e le spese aumentano, peggiorando la questione budget. L’accordo nucleare tra Iran e 5+1 ha anche indebolito il rapporto tradizionale con gli USA: in una recente intervista all’Economist, Il Principe Mohammed ha auspicato che gli USA intervengano di piĂą – ma gli interessi qui divergono, soprattutto su come trattare con l’Iran.
7) ATENE PIANGE, SPARTA INVECE RIDE – L’Iran è meno vulnerabile in tal senso e ha la prospettiva che la cessazione delle sanzioni per effetto dell’accordo sul nucleare apra a uno sviluppo economico piĂą differenziato – al di lĂ degli investimenti energetici. La struttura delle societĂ civile è giĂ piĂą aperta allo sviluppo economico non legato solo al petrolio, al netto della resistenza dell’apparato dei Pasdaran, che controllano parti chiave dell’economia del Paese. E in Siria la Russia sta dando una mano non indifferente, cosa che ha permesso agli iraniani di dividere il peso del conflitto con Mosca. In altre parole: l’Iran, al contrario dei sauditi, non è in overstretch: gestisce ancora bene i vari fronti nei quali è impegnato
8) QUINDI? – Tutti questi elementi suggeriscono alcuni scenari futuri possibili. Un accordo sulla Siria sarebbe un preambolo di futuri altri accordi per la stabilizzazione almeno di Siria e Iraq: al momento, nonostante le pressioni occidentali e russe, ogni accordo come il cessate il fuoco appare molto fragile. Ognuno punta a ottenere il massimo, a discapito degli avversari e sul campo si continuerĂ a combattere. Il rischio è avere tregue di breve periodo ma nulla di duraturo. Allo stesso tempo, anche in caso di fallimento delle iniziative di pace, rimane difficile (non impossibile ma difficile) che si verifichi un conflitto aperto e diretto tra Iran e Arabia Saudita, per i motivi evidenziati sopra. ContinuerĂ però lo scontro per procura, probabilmente intensificandosi.
9) LA VARIABILE CHIAVE – Tutto questo ha una variabile: per l’Arabia Saudita, il tempo non è infinito. Sta cercando di alzare la posta in Yemen e in Siria per vincere/guadagnare punti importanti velocemente con uno sforzo sempre maggiore, ma il suo limite è quanto il suo sistema economico attuale possa reggere. Premesso che non si avrĂ nessun collasso a breve a causa delle ingenti riserve valutarie, basso debito ecc… lo status quo non può continuare per sempre. La vera variabile qui è non tanto il prezzo del petrolio in quanto tale (che, basso, determina i deficit di budget), ma piuttosto la capacitĂ saudita di cambiare la propria economia e sistema prima che le tensioni interne esistenti, lo sforzo militare e il budget non così florido a causa dei prezzi ridotti si combinino fino a far esplodere il sistema. A quel punto o si arriverĂ a una monarchia costituzionale (scambio diritti per riduzione sussidi) o a una qualche forma di instabilitĂ Â (ad esempio rivolte piĂą forti). E’ vero che la previsione di molti è di un rialzo dei prezzi del petrolio nel medio-lungo termine, ma anche le spese stanno aumentando ed è da capire – in assenza di uno shock dei prezzi petroliferi – se gli aumenti di spesa mangeranno gli aumenti di prezzo troppo velocemente perchĂ© il Paese ne tragga un beneficio. SarĂ comunque qualcosa da verificare nel lungo termine e non a brevissimo.
10) BLACK SWAN – In tale ottica non è nemmeno da escludere qualche evento improvviso che cambi i termini dell’intero confronto (in gergo “Cigno Nero” – Black Swan), come una possibile congiura di palazzo contro il re saudita e suo figlio, se la vecchia guardia o altri rami della famiglia preferissero usare lo scontento contro il nuovo corso per accogliere abbastanza consensi da legittimare un colpo di mano. In tal caso, l’intera politica saudita, sia interna sia esterna, potrebbe cambiare anche radicalmente.
Lorenzo Nannetti
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą
Entra in gioco anche la NATO?
Nel complesso panorama mediorientale c’è perfino la possibilità che intervenga la NATO, su richiesta turca, nominalmente contro lo Stato Islamico ma in realtà anche come contrappeso regionale alla presenza russa. La proposta è ancora in via di discussione, nel frattempo la NATO ha deciso di impiegare le sue navi per contrastare il traffico di esseri umani nel mare Egeo tra Turchia e Grecia. A essere impiegato sarà lo Standing NATO Maritime Group Two (SNMG2), guidato dal Contrammiraglio (tedesco) Jörg Klein. L’SNMG2, che ha recentemente terminato un’esercitazione con la marina turca, è ora composto da tre vascelli: la nave rifornimento classe-Berlin FGS Bonn (sigla di riconoscimento A1411, tedesca), la fregata classe-Barbaros TCG Barbaros (F-244, turca) e la fregata classe-Halifax HMCS Fredericton (FGH 337, canadese).
Questa mossa ha un valore piĂą politico che pratico e vuole ridurre le frizioni tra i membri NATO sulla questione migrazione, considerando che all’atto pratico un intervento NATO in Siria comunque non cambierebbe molto il livello di intervento occidentale, rimanendo limitato ad attacchi aerei, addestramento e uso di forze speciali.[/box]
Foto: Foreign and Commonwealth Office
Foto: Henry Patton