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Eurosatory, un Caffè allo stand Beretta

Miscela Strategica – Nel corso di Eurosatory 2016 a Parigi abbiamo nuovamente incontrato Jarno Antonelli, Defence & Law Enforcement Communication Specialist di Beretta

Gli abbiamo presentato i primi risultati del nostro progetto di ricerca ed abbiamo approfondito alcuni temi: scenari di guerra futuri, avanzamento tecnologico ed il problema delle compensazioni (offset)

Sig. Antonelli, cosa espone Beretta a Eurosatory e qual è il tema principale del salone per voi?

Rispetto al salone in cui ci siamo incontrati per la prima volta (DSEI 2015) ci sono novità nel campo degli accessori e dell’equipaggiamento. Una nuova azienda statunitense, la STS, è entrata a far parte del gruppo Beretta come controllata della Steiner. Ha sede nell’Ohio ed è specializzata nella produzione di visori notturni e di equipaggiamento per forze speciali che va a complemento del fucile d’assalto. Quindi visori notturni, sistemi di puntamento, flashlight. L’evoluzione di questi mesi non riguarda dunque le nostre armi, ma l’offerta dell’equipaggiamento per il soldato. L’arma è fondamentale, ma oggi va corredata ad abbigliamento ed equipaggiamento in funzione dello scenario, nonché strumentazione specifica. Il focus non è solo ambientale ma risente anche del corso degli eventi, storicamente parlando. Oggi c’è un focus su ambienti aridi, desertici – tessuti speciali anti-vento, anti-sabbia, camouflage – che differiscono dagli equipaggiamenti dedicati ad ambienti marini o artici. Insomma, non è solo abbigliamento tattico ma una serie di accessori sempre più irrinunciabili che accompagna e migliora l’arma al seguito. Una holding come la nostra vanta un’offerta completa.

Fig.1 – Jarno Antonelli ci mostra l’ultimo modello del Benelli M-4 con tromboncino spengifiamma, adatto a scenari urbani

Come vede i prodotti di Beretta sul campo di battaglia del futuro? In che scenari verranno impiegati?

Difficile stabilirlo con certezza, ormai le Forze armate più moderne operano in qualunque scenario. Quelli più frequenti però potrebbero essere, nei prossimi anni, l’ambiente desertico e quello urbano. Praticamente gli opposti in termini di armamento ed equipaggiamento richiesto. In ambiente urbano si tende a ridurre il potere di ingaggio dell’operatore. Si combatte in spazi ristretti, spesso con tecniche CQC. Servono armi compatte, ridotte e maneggevoli, ma precise anche a discapito del volume di fuoco. Come si fa? L’arma deve essere precisa, il calibro adatto, ma anche la strumentazione a corredo fa la differenza: sistemi di puntamento, camere termiche, laser, ecc.
Invece in ambiente desertico l’arma deve raggiungere distanze notevoli, spesso si combatte in piano quindi il tiro lungo è indispensabile. Per contro abbigliamento ed equipaggiamento devono garantire all’operatore di essere quanto più possibile abile al combattimento in condizioni climatiche difficili.

Quest’anno ha visto un’inversione di trend nelle spese per la difesa in Europa. L’Italia fa eccezione. Quali sono le conseguenze per voi?

La tendenza generale è di spendere in casa propria, ma ci sono numerose eccezioni, altrimenti non esisterebbe mercato internazionale, e questo ci permette di compensare. Ad esempio, l’India, in questi anni, è un’eccezione importantissima, perché apre un mercato molto grande e ricettivo, prima impensabile. Invece l’Italia si è rivelata meno ricettiva ai prodotti nazionali. Nel nostro settore, le armi portatili, se ne risente parecchio. Abbiamo lavorato molto con le Forze armate e dell’ordine italiane, che talvolta hanno sostenuto altre produzioni, scegliendo delle armi estere preferendole a quelle italiane, a prestazioni equivalenti o convenienti per via del prezzo. Per contro noi non abbiamo la stessa fortuna di accedere a questi mercati europei bene accolti dalle nostre forze. L’apertura non è corrisposta. Questo anche per questione di costi e per la necessità di sostenere la domanda interna. Insomma, soffriamo su alcuni mercati, su altri riscuotiamo successi anche inaspettati – Paesi arabi ed asiatici.  Al momento abbiamo compensato quello che non riusciamo a fare a casa con le vendite all’estero. I nostri competitor europei verranno sommersi dalla nuova ondata di spese domestiche a scapito dell’offerta italiana, che pure meriterebbe qualitativamente.

Fig.3 – Abbigliamento tattico in mostra

Inoltre nuovi player si affacciano sul mercato in Europa, soprattutto provenienti dall’Est. Rappresentano dei possibili partner o dei potenziali competitor?

Ci sono parecchie piccole aziende dell’Est Europa che puntano sui bassi costi. Hanno accesso alle materie prime a costi inferiori ed anche il basso costo della manodopera li aiuta, per cui tentano di proporsi per il settore militare. Ma a differenza dell’arma da caccia, che è tipicamente molto personalizzata, l’arma da guerra ha un costo elevato nella prima fase della produzione, quella dello studio e dello sviluppo, compensato in un secondo tempo dalla produzione in serie (economie di scala). A questo punto, il fatto che questa fase a loro costi meno non esaurisce le criticità. Bisogna essere in grado di rispettare i termini contrattuali, di sostenere la catena logistica del prodotto e di supportarlo. Si può vendere a prezzi molto bassi, ma in questo caso l’utilizzatore deve acquistare separatamente le parti di ricambio, ha dei tempi di attesa lunghi per riceverle, le forniture non arrivano in tempo, i problemi non si possono risolvere perché il prodotto non è garantito, eccetera. A quel punto un’arma più costosa ma all inclusive è una soluzione decisamente migliore. Ad esempio, dal 2004 abbiamo una nostra formula chimica per la produzione dell’acciaio e non è quello acquistato da Paesi terzi a basso costo e nemmeno quello che si trova sul mercato. L’attenzione che Beretta presta alla qualità è talmente elevata che si preferisce evitare il coinvolgimento di attori che potrebbero far venire meno la garanzia di qualità dei prodotti. Per intenderci, abbiamo delle consociate che hanno prodotti a basso costo, ma siamo dell’idea che quando qualcosa costa troppo poco è perché ha qualità scadente. È difficile che il prodotto sia ottimo ad un costo troppo basso, tra prodotti equivalenti lo scarto è minimo. Resistenza, precisione, affidabilità, tecnologia, qualità dei materiali, non sono caratteristiche a buon mercato, soprattutto quando bisogna congiungerle tutte. Prodotti di minor qualità vanno bene per Stati con risorse molto limitate, per cui sono costretti ad accontentarsi di quel tipo di prodotti, ma non è che questi rappresentino il futuro del settore. Quando siamo stati sopraffatti da politiche commerciali agguerrite da parte di nuovi player, abbiamo poi scoperto che i clienti non erano per niente soddisfatti, a dispetto della convenienza economica iniziale. 

Fig.4 – Uno scorcio del ricco assortimento che Beretta Holding presentava al salone Eurosatory

In che misura la necessità di provvedere delle compensazioni industriali nei Paesi in cui esportate erode il vostro know-how? Riuscite ad essere competitivi nonostante le compensazioni? 

Oggi per vendere non possiamo fare a meno degli offset. Ma per quanto ci riguarda, lo start-up produttivo avviene comunque nei nostri stabilimenti, la materia prima la prendiamo noi, facciamo noi le lavorazioni, il partner esterno si occupa del montaggio finale. Chiaramente Beretta garantisce la formazione per il personale estero perché rispetti i criteri di qualità di cui abbiamo parlato. L’utente finale ha poi un risparmio dovuto al minor costo della manodopera che tipicamente si trova in molti Paesi in cui si vende. La competitività è un problema, certamente. Ma le attrezzature speciali di cui disponiamo fanno spesso la differenza. Ad esempio abbiamo una videocamera che scatta un milione di fotogrammi al secondo per le prove balistiche, è un macchinario specifico che ha un costo molto elevato. È difficile che un’azienda che voglia proporre prodotti analoghi possa averne una. Altri esempi sono le macchine a 6-7 assi o la tomografia speciale che realizziamo – ci sono appena 25 macchine in tutto il mondo in grado di effettuare la radiografia di qualsiasi materiale presente sul pianeta. Se non possiedi queste attrezzature automaticamente il tuo livello di prodotto sarà inferiore, anche se dirigenti e personale hanno imparato a produrre con i nostri standard grazie alle licenze. La nostra fortuna è avere un livello di tecnologia molto elevato, per cui anche il training che impartiamo a persone provenienti da tutto il mondo come risultato delle compensazioni non ci crea problemi maggiori in termini di competitività futura. Il vantaggio tecnologico rimane. La Beretta vanta nel settore industriale un’eccellenza produttiva e organizzativa riconosciuta in tutto il mondo. Una popolarità che la colloca in una posizione oggi difficile da erodere.

La nostra intervista si conclude qui. Rivolgiamo un caloroso ringraziamento a Jarno Antonelli per la disponibilità!

Marco Giulio Barone

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più

Fabbrica d’Armi Pietro Beretta S.p.A. è un’azienda italiana antichissima le cui origini risalgono alla metà del 1400 e le cui prime attività documentate cominciano nel 1526. Oltre cinquecento anni di attività ed esperienza rendono Beretta un’azienda di grande caratura nazionale e internazionale. I suoi prodotti sono diffusi e rinomati e comprendono armi portatili di ogni tipo per usi che vanno dalla caccia al tiro sportivo, agli equipaggiamenti militari. L’azienda esporta i suoi prodotti in oltre 100 Paesi e produce circa 1500 armi ogni giorno. L’intero gruppo, Beretta Holding, guidato da Pietro Gussalli Beretta, comprende 26 aziende tra le quali Sako, Uberti, Tikka, Stoeger, Benelli Armi, Franchi, Steiner e Burris. Il gruppo ha un fatturato annuo di circa 640 milioni di euro e un utile netto di circa 15 milioni che la famiglia Beretta impiega in gran parte in innovazione, ricerca, e programmi di ammodernamento e ampliamento.

Questa intervista è parte dello Speciale Eurosatory 2016. Vi suggeriamo di consultarlo per approfondire i temi del salone e leggere le interviste già pubblicate. [/box]

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Marco Giulio Barone
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Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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