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Razzismo nelle scuole: in Sudafrica una nuova protesta scuote il Paese

La protesta delle studentesse della Pretoria Girls High School contro il divieto di portare “acconciature afro” pone nuovamente l’opinione pubblica davanti al problema del razzismo nelle scuole e alla difficoltà, a vent’anni dalla fine dell’apartheid, di riconciliare realmente il Paese.

PROTESTE – Fine agosto, una nuova protesta per le strade sudafricane. Questa volta è un gruppo di studentesse della Pretoria Girls High School a far parlare di se chiedendo a gran voce che la propria identità afro sia rispettata. La Pretoria Girls High School è un rinomato istituto sudafricano, un tempo destinato alle giovani bianche, e che adesso accoglie le figlie della nuova classe alto-borghese sudafricana, senza far distinzione sul colore della pelle delle proprie studentesse, così come previsto dalle leggi volte a riequilibrare le diseguaglianze del passato. Ma per le giovani studentesse nere l’accoglienza che dovrebbe essere loro riservata sembra solo formale. A loro avviso, infatti, il regolamento dell’istituto sembra ancora permeato dallo spirito della gerarchizzazione razziale che ha caratterizzato il regime dell’apartheid. Sotto il mirino delle insegnanti sono finite infatti le “capigliature afro” delle ragazze: i ricci naturali tipici delle popolazioni nere, lock e nodi bantu, sono stati ritenuti non conformi al regolamento d’istituto che impone capigliature “ordinate e pulite”. La protesta delle giovani, che hanno percepito il divieto come un diretto attacco verso la propria cultura e identità, ha avuto un grande riscontro in tutto il Paese, così come sul piano internazionale, anche grazie alla mobilitazione sui social network sotto l’hashtag #StopRacismAtPretoriaGirlsHigh. La protesta delle studentesse sembra aver raggiunto l’obiettivo, infatti, dopo la mobilitazione popolare concretizzatasi in una petizione al governo, la scuola ha dovuto sospendere l’applicazione del regolamento.

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Fig. 1 – Studentesse sudafricane in divisa. In primo piano il manifesto di una campagna contro la xenofobia, lanciata ad Alexandra, città al nord di Johannesburg nel 2009

UN PO’ DI STORIA – Le ex-scuole bianche, così come tutto il sistema dell’istruzione in generale, sono una delle tante eredità degli anni dell’apartheid con cui il Sudafrica si trova a fare i conti. Il sistema scolastico si presenta infatti come un sistema biforcato in cui coesistono scuole di eccellenza, destinate a formare la classe dirigente del paese, e scuole sovraffollate con standard qualitativi molto bassi. Questa netta divisione ricalca la differenziazione tra scuole nere e scuole bianche istituzionalizzata dal Bantu Education Act del 1953.  Un atto legislativo che, con il pretesto di salvaguardare la cultura bantu, finiva per separare il percorso formativo di sudafricani bianchi, destinati a ricoprire posizioni manageriali e di leadership, da quello dei sudafricani non-bianchi, destinati a una formazione semi-qualificata, permettendone, così, un inserimento differenziato e non competitivo sul mercato del lavoro.

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Fig. 2 – Le foto di poeti bianchi di lingua afrikaans tappezzano le pareti di una scuola sudafricana

Con la fine dell’apartheid il sistema duale scolastico venne formalmente smantellato e le scuole furono aperte a tutti i cittadini. La rimozione delle barriere legislative, però, non ha portato a una significativa riconfigurazione del sistema scolastico: il numero di studenti neri iscritti in istituti storicamente bianchi resta ancora molto basso e, nonostante i numerosi fondi messi a disposizione del governo per diminuire il dislivello qualitativo delle scuole storicamente nere, quest’ultime restano caratterizzate da gravi carenze strutturali e di organico.

UNA SEPARAZIONE INCOLMABILE? – La separazione dovuta alle politiche di apartheid continua a incidere fortemente sulle reali possibilità di emancipazione dei giovani sudafricani neri che si vedono spesso negare l’accesso alle scuole di qualità proprio per l’impossibilità di raggiungere agevolmente le aree residenziali a maggioranza bianca in cui si trovano. Va inoltre considerato che le scuole di livello alto solitamente richiedono una quota di iscrizione considerevole. Le scuole sudafricane infatti, nonostante siano classificate come pubbliche, possono decidere autonomamente di richiedere ai propri studenti il pagamento di tasse anche piuttosto alte. Questa parziale privatizzazione delle scuole pubbliche fu introdotta negli anni Novanta per garantire un’istruzione di qualità in alcune scuole – ovvero le ex-scuole bianche – in modo da evitare che la classe media bianca abbandonasse il sistema scolastico statale. In questo modo, però, si è in qualche modo reiterato un sistema razzializzato in quanto pochissime famiglie nere possono affrontare le spese necessarie per accedere agli istituti ex-bianchi. Inoltre, l’accesso all’istruzione ha delle reali conseguenze sul mercato del lavoro dal momento che chi ha potuto studiare nelle scuole di eccellenza si ritrova a guadagnare fino al 40% in più per anno aggiuntivo di studio.

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Fig. 3 – Le studentesse della Sans Souci Girls High School di Newlands, Città del Capo, hanno preso parte alle proteste del 2 Settembre 2016 contro le politiche razziste delle scuole sudafricane

Ma anche chi riesce a uscire dalla trappola della povertà deve fare i conti con le eredità dell’apartheid. I giovani della nuova borghesia nera che riescono ad accedere alle scuole di prima classe si ritrovano molto spesso in istituti arretrati, non pronti ad accoglierli ed in cui si susseguono numerosi episodi di razzismo, specchio di una società che non è affatto pronta alla riconciliazione. Nonostante una retorica che rimanda ai temi della multiculturalità, molto spesso questi istituti restano monoculturali, e gli studenti devono adattarsi a un modello europeo. Divieti di parlare lingue diverse dall’inglese e dall’afrikaans, in un paese dove le lingue ufficiali sono ben undici, non sono nuovi in queste scuole, cosi come l’imposizione di modelli estetici occidentali come i capelli raccolti e lisci che hanno portato alla protesta delle studentesse della Pretoria Girls High School.
Il tentativo stesso di creare una cultura della diversità porta molto spesso a nuovi episodi di razzismo, come nel caso della Curro Foundation School dove nel maggio del 2015 sono state create classi differenziate secondo il colore della pelle. La decisione, oltre a essere mossa dalle pressioni di alcuni genitori di studenti bianchi, è stata motivata anche dalla volontà di creare classi in cui i ragazzi condividessero gli stessi valori culturali, rafforzando così l’idea di due popoli diversi che condividono gli stessi spazi.

SULLA NECESSITÀ DI UN’IDENTITÀ NERA – In Sudafrica il peso dell’apartheid ha creato un forte sentimento di appartenenza legato al colore della pelle: anni di segregazione e diritti negati che non possono essere cancellati senza una vera rivoluzione. Non basta dire che in Sudafrica ogni persona, indifferentemente dal colore della propria pelle, ha gli stessi diritti. Purtroppo non basta neanche promulgare leggi che cercano di ribadire questo concetto.

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Fig. 4 – Non solo Pretoria: alle proteste di questo mese si sono unite per sfoggiare le loro ricce chiome afro centinaia di studentesse sudafricane

Le ragazze della Pretoria Girls School non hanno vissuto gli anni della segregazione razziale ma risentono ancora le conseguenze, materiali e simboliche, di quel periodo. Non voler rinunciare ai propri capelli naturali può essere considerato un importante gesto politico: si dice no a una società che impone una cultura bianca e occidentale proponendola come “normale” e immutabile. È “il nuovo Sudafrica”, quello dei giovani africani neri liberi che dovrebbero avere pieni diritti e piene possibilità, che si scontra con “il vecchio Sudafrica” dove «le persone bianche sono sofisticate e hanno i capelli lisci. Ed è la regola», come ha recentemente scritto in un commento su questa vicenda Jay Naidoo, ministro ai tempi del Governo di Mandela. Naidoo aggiunge che in questo contesto «chiedere a qualcuno di stirare i propri capelli è esattamente come chiedergli di strofinare la propria pelle perché nera». Bisogna ribadire nella quotidianità, nei piccoli gesti che sembrano quasi insignificanti, che il Sudafrica è un Paese nuovo dove non può più esistere una gerarchia tra le persone.

Marcella Esposito

 [box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Qui trovate il report dell’UNICEF sul ruolo delle scuole nella costruzione della pace in Sudafrica.[/box]

Foto di copertina di DFID – UK Department for International Development Rilasciata su Flickr con licenza Attribution License

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Marcella Esposito
Marcella Esposito

Laureata in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa, da anni mi occupo dello studio della situazione socio-politica in Africa Orientale e in particolare della Tanzania, paese che amo e che ho potuto conoscere in profondità grazie ai miei viaggi e alla conoscenza della sua splendida lingua, il swahili. Mi interesso di governance urbana, informalità e sviluppo locale, ma anche di come identità di genere, razza e classe si interfacciano nel contesto dell’Africa sub-sahariana. Per il Caffè Geopolitico mi occupo di Africa Meridionale.

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