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Lo sviluppo del fenomeno jihadista in Bosnia-Erzegovina

I Quaderni del Caffè  Tra i pochi Paesi europei a maggioranza musulmana assieme all’Albania (senza dimenticare il Kosovo), la Bosnia è sempre più oggetto di reportage giornalistici che paventano un focolare jihadista in espansione. È davvero così? Scopriamolo insieme

UN NUOVO SERBATOIO DI COMBATTENTI? – Secondo la recente vulgata, il Paese servirebbe da serbatoio di foreign fighter per le forze islamiste che combattono in Medio Oriente, la cui formazione sarebbe favorita dalla totale incapacità del fragile Stato bosniaco di combattere con successo il radicamento e la diffusione dei gruppi fondamentalisti. Uno sguardo più accurato, invece, ridimensiona questo quadro allarmistico ed inserisce il fenomeno jihadista nel contesto storico, politico e socio-economico bosniaco, privo di facili sensazionalismi, ma vittima di pericolose omissioni da parte di persone che non comprendono bene il funzionamento della società locale. Questo Quaderno si propone di offrire una panoramica dei temi principali e le possibili prospettive future.

La copertina del Quaderno N.11

UN PO’ DI STORIA – La Bosnia che esce dalla guerra nel novembre del 1995  è un Paese diviso ufficialmente nella propria Costituzione, allegata agli accordi di pace stipulati a Dayton. Un complesso sistema di checks and balances tra i tre popoli costituenti – bosgnacchi, serbi e croati – suddivide il Paese in tre entità definite in base alla composizione nazionale degli abitanti. Anche le cariche elettive devono essere allocate in base a rigidi criteri di appartenenza etnica. Oltre ad escludere i cittadini che non appartengono ai tre popoli costituenti, come rom ed ebrei, questa etno-crazia della politica si traduce in una struttura elefantiaca, che permette a corruzione, nepotismo e voto di scambio di prosperare. All’immobilismo della politica si aggiunge una situazione economica disastrosa (è arrivato al 46% il tasso di disoccupazione), che spinge i segmenti più istruiti della popolazione ad emigrare nei Paesi membri dell’Unione Europea. Unione Europea che per la Bosnia continua a rimanere un sogno; un’aspirazione legittima, ma percepita come lontana, continuamente posticipata. Nel miraggio dell’integrazione europea, in Bosnia la questione identitaria è ancora un rebus irrisolto. Nel corso dell’ultimo censimento nazionale l’opzione “bosniaco” non era disponibile sulla scheda da compilare, a conferma di un processo di nation-building mai davvero intrapreso che spinge i membri delle tre comunità nazionali ad accettare l’appoggio di attori esterni, come Serbia, Croazia e Turchia, per sentirsi tutelati. Questa polarizzazione è dovuta anche ad un maggiore senso di appartenenza alle rispettive comunità religiose – cattolica, musulmana ed ortodossa – riesploso dopo mezzo secolo di repressione jugoslava dettata dall’ateismo. È in questo quadro che va inserito il fenomeno jihadista.

JIHADISTI BOSNIACI – I foreign fighter bosniaci seguono varie dinamiche di radicalizzazione.
Uno dei ruoli chiave è giocato dai predicatori itineranti, che girano per il Paese, probabilmente con l’aiuto delle comunità neo-salafite che abitano villaggi isolati nell’entroterra, mal tollerate dalla comunità islamica ufficiale. Oltre ad indottrinare al “verbo radicale”, promettono incentivi economici e curano la parte logistica della partenza per il fronte.
L’alta frammentazione istituzionale dello Stato bosniaco spesso permette agli jihadisti di sfuggire alle maglie della legge. Tuttavia, su pressione internazionale, sono stati introdotte leggi più dure per sradicare il fenomeno.
Accanto al contrasto alla partenza dei foreign fighter, la deradicalizzazione e reintegrazione di coloro che tornano e dei lupi solitari (jihadisti “fai da te” che organizzano e compiono attentati sul suolo bosniaco) costituiscono le altre sfide alla stabilità interna dello stato bosniaco.
L’analisi qui presentata intende  fare chiarezza sul fenomeno jihadista in Bosnia, interpretate esclusivamente alla luce di dati certificati. Come recita un popolare modo di dire bosniaco, “to je to”, “così è”; questo è lo stato dell’arte, senza fronzoli né semplificazioni.

Simone Benazzo

Lo studio completo può essere scaricato gratuitamente compilando il form qui di seguito e cliccando sul link che apparirà.

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[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più

Il progetto editoriale dell’autore segue la borsa di studio da lui conseguita per la partecipazione alla summer school Engaging Conflict, tenutasi a Torino dal 6 al 17 luglio 2016, supportata da Il Caffè Geopolitico.

Foto di copertina di gardnergp rilasciata con licenza Attribution License

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Simone Benazzo
Simone Benazzo

Classe ’91, il mio nido è in Valtellina. Faccio i primi voli a Bologna, per poi atterrare a Torino, dove studio Scienze Internazionali. Al momento sono a Sarajevo a collezionare storie. Mi interesso di Bosnia, Caucaso e migrazioni. Collaboro con varie testate di settore.

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