Il Paese latinoamericano è sempre più determinante dal punto di vista militare all’interno degli equilibri regionali e delle strategie delle grandi potenze. Dall’equilibrio, però, si rischia di precipitare nel disordine. Narcotraffico e rapporti con l’Iran sono i temi più caldi
IL NARCOTRAFFICO, L’ORO BIANCO
È da ormai anni che il Venezuela non gode più di un’economia in salute e i guadagni provenienti dalle esportazioni di petrolio non raggiungono più i livelli visti sotto il Governo di Hugo Chávez. Il Paese, ormai sempre più vicino al punto in cui i conflitti sociali endemici diverranno un rischio per la stabilità regionale latinoamericana, ha però una nuova fonte di guadagno: il traffico di droga.
A riportare lo stato attuale del regime venezuelano sono Mario Ivan Carratù – vice ammiraglio, comandante della Casa Militar durante la presidenza Pérez (prima di Chávez) – e Alberto Franceschi – fra i fondatori del Partito socialista venezuelano dei lavoratori e deputato della Costituente del 1999 –. In una intervista, entrambi evidenziano come le dinamiche interne del proprio Paese possano costituire un pericolo per la regione e, non da meno, per gli Stati Uniti – dove entrambi si sono rifugiati e da cui denunciano il regime venezuelano –.
Un elemento che merita adeguata attenzione è il fatto che il Venezuela non risulti Paese produttore di cocaina, ma infarstruttura di smercio. Stando a quanto riferito da Franceschi, l’intermediario centrale per l’acquisizione della cocaina da esportare sarebbero le FARC, le quali eserciterebbero il controllo su una superficie di circa mezzo milione di kmq di territorio venezuelano – attraverso cui si dipanano le rotte della droga protette da sguardi indiscreti.Insomma, il narcotraffico è diventato un driver assai rilevante nella regione.
Del resto, la stessa Colombia sperimenta un ruolo determinante dei gruppi legati al narcotraffico all’interno delle proprie dinamiche politiche: occorre ricordare che Rodrigo Londoño Echeverri, noto anche come Timochenko, sia stato ufficialmente annunciato come candidato alla presidenza per le FARC da parte di Iván Márquez durante una conferenza stampa. Echeverri, guida delle FARC, è ritenuto responsabile di innumerevoli crimini, fra cui omicidio, sequestro, reclutamento di bambini soldato, stragismo, sparizioni.
NARCOTRAFFICO E POLITICA
Il narcotraffico venezuelano non coinvolge esclusivamente potenti organizzazioni criminali; persino membri influenti del Governo ricoprirebbero un ruolo centrale all’interno del processo. La DEA ed il Dipartimento del Tesoro americano puntano al vice presidente Tareck El Aissami, a cui sono stati congelati più di 3 miliardi di dollari e due aerei privati, che sarebbero serviti per trasportare 5 tonnellate di cocaina al giorno – secondo le stime – verso gli Stati Uniti. La reazione del Governo americano è consistita, oltre che il congelamento del suo patrimonio sul suolo nazionale, nel vietare qualsiasi relazione commerciale che coinvolga il vicepresidente venezuelano.
Ma anche il numero due di Chávez e vicepresidente del PSUV – nonché ex presidente dell’Assemblea Nazionale – Diosdato Cabello sarebbe un ulteriore tassello nel complesso schema criminale. Stando alle affermazioni del testimone, Cabello sarebbe l’artefice di una rete di riciclaggio che adopera banche e società controllate dal Governo per occultare i profitti del traffico di cocaina.
Fig.1 -Tareck El Aissami, vice presidente del Venezuela
LA QUESTIONE DI HEZBOLLAH
Il narcotraffico venezuelano è legato a doppio filo con un ulteriore fenomeno in allarmante espansione e che ha trovato in America Latina un terreno di sviluppo estremamente vantaggioso: il terrorismo. Di nuovo El Aissami svolgerebbe un ruolo cardine all’interno del corridoio creatosi fra Venezuela ed Iran, partner fondamentale per Caracas dai tempi di Mahmud Ahmadinejad.
Il caso è esplodo il 14 febbraio 2017, quando la CNN ha pubblicato un articolo riguardante un documento di intelligence del 2013, risultato del lavoro congiunto di numerosi Paesi latinoamericani, che evidenzierebbe legami fra El Aissami ed alcuni affiliati ad Hezbollah. Il documento confidenziale parla di 173 passaporti e documenti di identità venezuelani concessi ad individui provenienti dal Medioriente, compresi membri dell’organizzazione sciita.
I fatti risalirebbero ai primi anni 2000, sotto la presidenza di Chávez, e sarebbero proseguiti nei tempi successivi. Come ricorda il servizio della CNN, il passaporto venezuelano permette l’ingresso in più di 130 Paesi senza necessità di visto, fra cui 26 Paesi dell’Unione Europea, fatto che contribuisce a riprodurre un quadro dell’estensione e della serietà della questione.
Il testimone chiave della vicenda è l’ex consulente legale dell’ambasciata venezuelana in Iraq, rifugiatosi a Toledo ed intervistato dal canale televisivo statunitense proprio nella città spagnola. Egli parla di uno “schema per vendere passaporti e visti per migliaia di dollari al di fuori dell’ambasciata”. Inoltre, riferisce che una volta fornite le prove delle condotte irregolari da lui scoperte agli ufficiali venezuelani, venne accusato di aver rivelato materiale sensibile. Nel mentre, egli aveva messo al corrente delle sue scoperte anche gli ufficiali statunitensi.
Il ruolo di Tareck El Aissami all’interno di tale vicenda sarebbe determinante, dal momento che ai tempi era il ministro per l’immigrazione. Secondo il documento di intelligence citato in precedenza, egli avrebbe garantito la naturalizzazione di cittadini provenienti da diversi Paesi, soprattutto siriani, giordani, libanesi, iracheni ed iraniani.
Il canale creatosi sotto Chávez, secondo Mario Molina, avrebbe aperto le porte venezuelane all’Iran al fine di aggirare le sanzioni contro il programma nucleare, considerando anche il fatto che il Venezuela sia provvisto di grosse quantità di uranio. È però il narcotraffico ad essere divenuto un ulteriore terreno di collaborazione fra il Governo venezuelano e il radicalismo islamico: infatti, il traffico di droga diretto verso l’Europa passa per l’Africa occidentale ed il Maghreb. L’apertura verso l’Iran condotta da Chávez ha favorito l’inserimento di Hezbollah nella regione latinoamericana e, di conseguenza, ha permesso al gruppo sciita di inserirsi nel commercio di droga per finanziare le proprie attività. L’appetibilità della rotta del Maghreb apre anche alla possibilità di accordi con al-Qaeda e l’ISIS, punto su cui sia Carratù Molina che Franceschi concordano.
L’IRAN E L’AMERICA LATINA: UN LEGAME STRATEGICO
Sebbene il narcotraffico e la crescente presenza di gruppi islamisti sciiti a nord del Cono Sur siano già di per sé indicatori rilevanti di un crescente legame fra America Latina e Medioriente, essi non sono gli unici scenari in cui Teheran e Caracas mostrano una rinnovata collaborazione: l’alleanza militare fra i due Paesi, entrambi considerati due attori geopolitici contrapposti all’ordine internazionale, trova ulteriori terreni su cui esprimersi e risulta determinante per definire i futuri equilibri regionali.
Un significativo segnale di avvicinamento diplomatico fra Venezuela ed Iran è il sostegno espresso dal ministro degli Esteri venezuelano Jorge Alberto Arreaza Montserrat alle politiche regionali della Repubblica Islamica, definite dallo stesso ministro come costruttivo all’interno dei un incontro con l’ambasciatore iraniano a Caracas Mostafa Alayee. Inoltre, nei primi giorni di settembre 2017, Venezuela ed Iran hanno organizzato un incontro a Teheran fra i loro ufficiali, la cui conclusione è stata la riconosciuta necessità di portare avanti una collaborazione bilaterale su differenti temi, soprattutto nel commercio, coinvolgendo tanto i settori governativi quanto i capitali privati.
Un secondo momento fondamentale è stata l’affermazione del comandante della Marina iraniana, l’ammiraglio Hossein Khanzadi, del 22 novembre 2017: durante la sua prima conferenza stampa successiva al proprio insediamento, il comandante ha infatti affermato che le forze navali di Teheran navigheranno nel golfo del Messico. Al fine di condurre operazioni militari di tale portata, il comandante ha annunciato lo sviluppo di più avanzate navi e sottomarini entro il nuovo anno. Una volta raggiunta la destinazione, prevede che la flotta inizi un giro di visite ufficiali presso le nazioni circostanti, fra cui il Venezuela.
Si tratta certamente di una risposta politica alla tensione che si respira nel Golfo Persico, ma la mossa di Teheran rende manifesti due dati di fatto: l’Iran potrebbe sviluppare ulteriormente il proprio apparato militare; Teheran sa di avere degli alleati nella regione, i quali saranno pronti ad accogliere a braccia aperte le sue navi – in caso contrario non avrebbe pensato alla mobilitazione –.
Fig.2 – Chavez ed Ahmadinejad, in una foto scattata a Teheran nel 2006.
L’INTERESSE RUSSO
L’Iran non è tuttavia l’unica nazione interessata ad estendere la propria presenza militare in America Latina in generale ed in Venezuela in particolare: l’eventualità di un tracollo sociale ed economico della Repubblica Bolivariana è un’ipotesi contro cui la Russia sta prendendo le proprie contromisure.
L’importanza del Venezuela per il Cremlino è cresciuta con l’aumento del prezzo del petrolio e con l’atteggiamento filorusso del governo di Chávez, il quale ha attirato investimenti ed aiuti militari provenienti da Mosca. Fra gli effetti di questo scambio, come ricorda War Is Boring, vi è il fatto che il Venezuela sia oggi dotato della migliore forza aerea dell’America Latina.
La Russia rimane legata al Governo di Maduro nonostante le mobilitazioni sociali e l’interesse che l’attuale regime sopravviva è sostenuto dall’industria petrolifera. Tuttavia, le capacità d’intervento nella regione sono chiaramente minori se comparate, ad esempio, con il caso siriano, per ovvi motivi geografici. Il rischio sempre più concreto di un inasprimento delle tensioni interne allo Stato latinoamericano preoccupano sempre più la stampa militare russa, come è possibile leggere nell’articolo di Kostantin Strigunov pubblicato su Voenno-promyshlennyi kur’er (in inglese Military-Industrial Courier).
Sebbene esso non rappresenti l’attuale policy ufficiale della Russia, risulta interessante per via dell’influenza esercitata dalla rivista nel dibattito fra esperti del settore strategico-militare. La prima assunzione di Strigunov è il fatto che l’opposizione venezuelana sia legata agli Stati Uniti, nel tentativo di produrre una “rivoluzione colorata”. Sebbene non vi siano prove per sostenere tale posizione, Strigunov sottolinea come per Mosca sia necessario prepararsi all’eventualità di un supporto sempre più intenso, che coinvolga anche “formazioni irregolari di mercenari” con il compito di rovesciare un Governo ostile agli USA.
Non potendo ovviamente intervenire direttamente nella regione, Strigunov afferma che il sostegno dell’attuale Governo sia l’opzione più favorevole agli interessi russi. Per farlo, la Russia deve rafforzare i propri legami con l’ALBA (Alianza bolivariana para América Latina y el Caribe). Un secondo passo è il supporto dal punto di vista dell’intelligence militare nelle operazioni di contrasto condotte dal Governo venezuelano.
Bisogna tenere presente che tale strategia non sia diversa da quella adoperata in precedenza dalla Russia all’interno di simili scenari – si pensi alla crisi ucraina –, dunque le prescrizioni di Strigunov non aggiungono molto alla dottrina strategica russa. Ciononostante, è utile osservare come le priorità individuate dall’autore mostrino l’importanza che il Venezuela ricopre all’interno delle manovre del Cremlino in America Latina. Date le premesse, proprio a Caracas troveranno il proprio punto d’incontro numerose trame geopolitiche, le cui conseguenze rischiano di estendersi fino alle porte dell’Occidente attraverso i tortuosi sentieri della droga e delle armi.
Riccardo Antonucci
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””] Un chicco in più
L’esercito venezuelano è la principale garanzia di sopravvivenza del Governo di Maduro. Eppure, persino al suo interno si sperimentano alcune turbolenze. Per sapere di più, clicca qui.
[/box]
Foto di copertina di National Crime Agency Licenza: Attribution License