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Uruguay, le mille forme dell’austerità

In Uruguay, nonostante si converga sull’austerità, sono forti i dissensi interni tra la presidenza di Vázquez e il settore produttivo agro-industriale. La “Svizzera latinoamericana” cambia pelle e cerca di adattarsi ai nuovi schemi regionali e internazionali

ECONOMIA AL RIALZO, MA RIMANDATA: ORA VINCE L’AUSTERITÀ

Dopo tre anni di crescita economica contenuta, le previsioni dell’Uruguay per il 2018 sono state riviste al rialzo (3.2%) da CEPAL e FMI. L’economia della “Svizzera dell’America Latina” approfitta della buona congiuntura economica: aumento della domanda di beni e servizi a livello regionale, aumento delle esportazioni di beni basici, una migliore condizione finanziaria a livello mondiale e una ripresa della fiducia dei consumatori.
Nonostante la buona performance che ha evitato il rischio stagnazione, l’Uruguay si porta dietro importanti problemi strutturali che non sono stati risolti con la bonanza economica terminata nel 2014. Il deficit fiscale rimane troppo alto (il CEPAL ha stimato un 3,6% del PIL a settembre 2017, l’FMI un 3% per la chiusura dell’anno) e il mercato del lavoro sembra ancora impantanato. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, i dati della disoccupazione del 2018 si attesteranno sul 7,3%, come nel 2017, mentre il CEPAL stabilisce un 8%. In Uruguay, tuttavia, c’è chi contesta il metodo di calcolo dei dati e aggiunge i lavoratori scoraggiati e i sotto-occupati, raggiungendo così un tasso del 17%. L’altro lato della medaglia è dato dall’aumento dei salari reali, con un tasso d’inflazione stimato sotto il 7%. Perché, allora, ci si scontra?

“CI VEDIAMO ALLE ELEZIONI”

Nos vemos en las urnas” si sono gridati reciprocamente il presidente Vázquez e i produttori agricoli al termine della prima riunione tra l’esecutivo e il gruppo rappresentativo rurale Un Solo Uruguay, che ha guidato la maxi-protesta del 23 gennaio 2018. Una data storica per la seconda presidenza di Vázquez e per l’intera formazione Frente Amplio, durante la quale si è svolta la prima grande manifestazione di protesta contro il partito di governo in tredici anni.
Abbassamento delle tasse, austerità e oculata gestione delle risorse, sono queste le richieste formulate il 23 gennaio. L’aumento delle tasse nel 2017 e i prezzi altissimi di gasolio ed elettricità hanno strangolato i settori dell’industria e dell’agricoltura. L’origine di tutti i mali, secondo il gruppo, è da ritrovarsi nel deficit fiscale che influisce su tasse, debito, tariffe e inflazione. La soluzione, dunque, è l’austerità. Il manifesto di gennaio è pieno di riferimenti a uno Stato percepito come troppo grande e dispendioso, soffocante per le imprese che invece richiedono innovazione, investimento e stimolo alla produzione. I problemi, affermano i manifestanti, sono gli stessi della fine degli anni ’90 e dell’inizio 2000. Tra quei tempi e oggi, però, vi è una decade di crescita economica esponenziale che non è stata sfruttata per ribaltare i problemi strutturali dell’economia uruguaiana. Una colpa gigantesca, per la categoria che è riuscita a far alzare i toni al, solitamente moderato, presidente.

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Fig.1 – Una immagine della maxi-manifestazione agricola del 23 gennaio 2018.

Come ci sono riusciti? Vázquez urla, durante il vis-à-vis: “Io sono onesto”; “Siete un movimento politico”. Ed effettivamente, a leggere il manifesto di gennaio, si direbbe che Un Solo Uruguay si stia preparando per sfidare il Frente Amplio alle elezioni 2019. Il discorso sorpassa la protesta e la manifestazione del disagio: si stabiliscono posizioni politiche chiare. Si fa riferimento a ragioni ideologiche (quelle del Frente Amplio, a sinistra) alla base delle problematiche del Paese, che corrispondono ad altri tempi e che non stanno più al passo con le necessità della popolazione. In quest’ottica, vi sono dure critiche nei confronti di un Mercosur che “non esiste nei fatti” e in accordi commerciali che non hanno portato miglioramenti nel Paese. Immancabile il richiamo alle politiche sociali, le cui riforme e finanziamento devono essere portati avanti secondo l’austera gestione finanziaria.
Lo scontro è destinato a indurirsi. La sensazione è che il Frente Amplio, per cambio di leader esecutivo, scandali di corruzione e fase economica altalenante, stia iniziando a perdere colpi. D’altro canto, è più probabile che il “ci vediamo alle urne” dei manifestanti rappresentasse una promessa elettorale: non ti voteremo. Per sicurezza, comunque, Vázquez ha scelto lo scontro diretto riservato agli antagonisti politici, e non agli elettori delusi.

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Fig.2 – “Abbassate i prezzi del gasolio e dell’energia” e “gasolio produttivo”, chiedono gli agricoltori.

LA MIA AUSTERITÀ PAGALA TU

Con la seconda presidenza Vázquez (la prima è durata dal 2005 al 2010), in realtà, l’Uruguay ha già imboccato la via della riduzione della spesa pubblica. Governo e produttori, dunque, convergono sull’austerity; la distanza tra le due posizioni è determinata da chi deve farsene carico: la classe politica o quella produttiva?
In tutto questo, a pagare il prezzo più alto saranno i servizi essenziali dello Stato, come l’educazione. Durante il quinquennio di Pepe Mujica non vi è stato quel cambio radicale che il Frente Amplio aveva promesso. L’ex-presidente aveva assunto tutta la responsabilità del fallimento, attribuendo la colpa all’incapacità di comprendere e gestire un fenomeno complesso e investire oculatamente. Vázquez si era lanciato durante la campagna elettorale, e aveva promesso un cambio di DNA del settore educativo. A metà del suo secondo mandato, la promessa non è ancora stata mantenuta. Con l’attuale investimento nel settore al 4.5%, l’esecutivo lavora con l’obiettivo di investire il 6% del PIB dal 2020. L’esecutivo sta risparmiando oggi, per aumentare gli investimenti domani?
La sanità potrebbe soffrire pesantemente. Sebbene il settore rientri tra le priorità del governo, il presidente ha chiesto alla sua squadra di migliorarne la gestione, senza che vi sia bisogno di maggiori investimenti da parte dello Stato. Almeno su questo, esecutivo e produttori sembrano essere d’accordo.

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Fig.3 – I leader del Mercosur alla riunione del dicembre 2017.

DIVISIONE NEL PARTITO, RICADUTE INTERNAZIONALI

In termini geopolitici, l’Uruguay è uno Stato cuscinetto incastonato tra Brasile e Argentina. La sua politica estera, dunque, è particolarmente influenzata e delimitata dalle mosse dei giganti della regione. Tuttavia, il Paese ha saputo creare una propria strategia internazionale, che punta a coniugare accordi commerciali bilaterali e partecipazione a grandi blocchi regionali che facciano crescere le esportazioni e il tessuto economico in patria. Già membro del Mercosur, l’Uruguay di Vázquez si guarda intorno e spinge per entrare a pieno titolo nell’Alleanza del Pacifico (AP). Con uno dei suoi membri, il Cile, esiste un Accordo di Libero Scambio cui il Frente Amplio non vuole concedere piena effettività con il suo voto parlamentare. Il partito spera in una ripresa del Mercosur, che ultimamente ha dovuto fare i conti con la crisi venezuelana ed è prigioniera del gioco di Argentina e Brasile. Proprio i due giganti, soprattutto il Brasile, bloccano qualsiasi Accordo di Libero Scambio della Cina in America Latina, sempre che non includa anche loro. Montevideo, però, non molla la presa e si propone con forza come centro di investimenti cinesi sulla sponda atlantica della regione sudamericana. Sulla sponda pacifica, i cileni fanno la stessa cosa. Il ministro degli esteri uruguagio, Nin Novoa, ha affermato che farà il possibile per dare un forte impulso a un Trattato di Libero Scambio che coinvolga e sia spinto dall’intero mercato comune latinoamericano. Se la paziente insistenza dell’Uruguay dovesse funzionare, il piccolo Davide vincerebbe contro ben due enormi Golia.

Elena Poddighe

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Argentina e Uruguay si sfidano in qualsiasi ambito. Nel 2017, la sfida del settore turistico è stata stravinta dal secondo, che ha fatto registrare un record. A Montevideo si spera in un bis nel 2018. [/box]

Foto di copertina di 401(K) 2013 Licenza: Attribution-ShareAlike License

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Elena Poddighe
Elena Poddighe

Nata a Sassari nel 1993, ho studiato in Italia, Francia e Belgio. Sono laureata in Scienze Politiche e specializzata in Relazioni Internazionali. Dopo l’esperienza Erasmus ho preso sul serio l’idea che tutto il territorio europeo potesse essere casa mia, così mi sposto costantemente da un punto all’altro, scoprendo pregi e difetti di questa nostra bellissima Europa. Non so preparare il caffè e non lo bevo, ma so cucinare e soprattutto mangiare le lasagne!

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