In 3 sorsi – Dopo il golpe militare dello scorso 1° febbraio il Myanmar è caduto in un profondo stato di crisi. La popolazione civile si è ampiamente schierata contro il Governo militare, accusato di essere violento e antidemocratico.
1. IL COLPO DI STATO DI FEBBRAIO
Dopo le elezioni parlamentari avvenute l’8 novembre 2020, vinte dalla Lega Nazionale per la Democrazia (LND), in Myanmar si sono avute forti contestazioni del risultato elettorale. I maggiori oppositori di tale risultato sono stati i militari, i quali, da quel momento, hanno continuamente chiesto di annullare le elezioni a causa di presunti brogli. Questa opposizione ha raggiunto infine l’apice il 1° febbraio scorso, data in cui le forze militari birmane (conosciute anche come Tatmadaw), guidate dal generale Min Aung Hlaing, hanno messo in atto un golpe.
Come conseguenza del colpo di Stato sono stati tratti in arresto molti membri importanti del LND, fra cui il Consigliere di Stato Aung San Suu Kyi e il Presidente Win Myint, immediatamente sostituiti da figure di spicco vicine al generale Min Aung Hlaing. Inoltre, dopo aver preso il controllo della capitale Naypiydaw, i militari hanno dichiarato lo stato d’emergenza sostenendo, dapprima, che nuove elezioni democratiche si sarebbero dovute svolgere entro un anno, salvo poi rettificare affermando che non si tornerà alle urne prima del 2023.
Fig. 1 – Manifestazione a Yangon contro la giunta militare, luglio 2021
2. DAL COLPO DI STATO ALL’INIZIO DELLA GUERRA CIVILE
Dopo il colpo di Stato la situazione in Myanmar è sensibilmente peggiorata: in principio la popolazione civile ha protestato pacificamente contro il golpe, chiedendo al Governo militare di riportare la democrazia. A tali richieste il Governo ha risposto con grande violenza, sparando contro i dimostranti ed eseguendo numerosi arresti per le strade di Yangon. Una volta compresa la situazione sempre più gruppi di civili, prima in maniera indipendente e poi in maniera organizzata, si sono alleati per combattere contro il regime, questa volta impugnando le armi. Gli oppositori hanno deciso di costituirsi in un unico gruppo compatto chiamato Forza di Difesa del Popolo, composto da molti politici e funzionari della LND: l’obiettivo è quello di eliminare il regime imposto dai militari e riportare al potere il Governo legittimo. Ma i militari non sono certo rimasti a guardare: hanno infatti inizialmente messo fuori legge ogni altro partito di opposizione, dichiarandoli “gruppi terroristici”, e poi hanno provocato un confronto armato che ormai ha assunto le fattezze di una guerra civile. Finora sono morte circa 770 persone negli scontri fra la giunta militare e i suoi oppositori, mentre altre 4mila persone sono state arrestate.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Oppositori del regime si addestrano con i ribelli Karen nella foresta, maggio 2021
3. LE CONSEGUENZE, I POSSIBILI SVILUPPI DEL CONFLITTO E I RISCHI PER LA NAZIONE
Secondo gli esperti la comunità internazionale si è mossa con eccessivo ritardo sulla questione: mentre molti Paesi occidentali, fra cui Canada, Stati Uniti e Nuova Zelanda, hanno infatti subito condannato il golpe, altri Stati partner del Myanmar, fra cui il Giappone e la Cina, hanno tardato a condannare le iniziative del nuovo regime militare. Seppur in modo riluttante il 21 maggio il Giappone ha minacciato di bloccare momentaneamente gli ODA (Overseas Development Aid), fondamentali per lo sviluppo del territorio. Inoltre, l’Assemblea generale dell’ONU il 18 giugno ha votato l’embargo delle armi nei confronti della giunta militare con 119 voti a favore e 36 astenuti, fra cui Russia e Cina. Proprio Pechino si era proposta a marzo come mediatore, salvo poi astenersi dal votare l’embargo essendo il principale partner commerciale del Myanmar nel settore delle armi. Secondo gli esperti per riportare l’equilibrio a Naypiydaw sarà necessaria una decisa presa di posizione da parte della comunità internazionale con azioni sia di mediazione che di sanzione, con la consapevolezza che nuovi ritardi potrebbero risultare fatali per un Paese che versa già in una situazione estremamente critica.
Niccolò Ellena
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