Analisi – La presa di Kabul dei talebani ha generato diverse reazioni anche in Africa. I loro alleati jihadisti nel Sahel celebrano la vittoria (a differenza dell’IS) mentre i più si dicono preoccupati di un epilogo simile in altri Paesi, al momento improbabile. Resta forte e diffuso il timore verso il disimpegno occidentale, così come i dubbi sulla strategia.
SAHEL: L’ACCOGLIENZA DELLA VITTORIA TALEBANA
I jihadisti online, con l’eccezione dell’ISIS, hanno ampiamente elogiato le rapide conquiste territoriali ottenute dai talebani e la presa del potere in Afghanistan, con alcuni che hanno evidenziato i benefici a lungo termine per il movimento che vuole applicare una versione oscurantista della shari’a nei territori che controlla.
Tra loro il leader di Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin (JNIM), Iyad ag Ghali, dal 2017 fedele ad Ayman al-Zawahiri (emiro di al-Qaeda) e Hibatullah Akhundzada (leader supremo dei talebani), ha celebrato con entusiasmo il momento “storico”, congratulandosi con il gruppo talebano per le imprese politico-militari.
Fig. 1 – Iyad Ghali nel comunicato diffuso per congratularsi con i talebani per le vittorie militari, 10 agosto 2021 (Wassim Nasr – @SimNasr, France24)
SIMILITUDINI E DIFFERENZE
Quello che ora preoccupa gli osservatori internazionali è che l’insurrezione armata in Africa occidentale in generale, e nel Sahel in particolare, che ha già avuto una espansione notevole negli ultimi anni, agisce in condizioni strutturali simili all’Afghanistan: corruzione e impreparazione delle Forze Armate, debole autorità statale, forti sentimento anti-occidentale ma dipendenza da aiuti esterni.
A differenza dei talebani, però, i gruppi che combattono in Africa occidentale non sono una forza coesa, quanto un insieme di varie milizie i cui obiettivi si allineano solo a volte – si pensi a JNIM, che è una coalizione con al proprio interno sensibilità e persino etnie diverse, o alla competizione globale tra IS e al-Qaeda, che ha visto i rispettivi affiliati combattersi tra loro e cambiare alleanze ed equilibri.
In ogni caso quanto accaduto a Kabul è per i salafiti-jihadisti, ora galvanizzati, la testimonianza che la pazienza paga e porta alla vittoria dei mujahiddin contro gli imperialismi. Una situazione che creerà verosimilmente forte preoccupazione in quegli attori che da anni combattono o semplicemente sono vittime della continua violenza jihadista: in Mali, nel Sahel in generale, in Somalia, Nigeria, Mozambico e così via (solo per restare in Africa).
Fig. 2 – Un gruppo di soldati dell’esercito francese pattuglia la foresta di Toga Gala, nel nord del Burkina Faso, nell’ambito di un’operazione insieme ai Paesi del G5 Sahel, 9 novembre 2019
TIMORE PER IL DISIMPEGNO E ALTERNATIVE
Con il timore di una débacle occidentale anche altrove il Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha aperto al dialogo con i talebani, dimostrando preoccupazione soprattutto per il futuro del Sahel: “Temo oggi che la capacità di risposta della comunità internazionale e dei Paesi della regione non sia sufficiente di fronte alla minaccia”, ha dichiarato all’emittente francese France24.
L’obiettivo del Segretario ONU è una forza antiterrorismo africana con mandato ai sensi del cap. VII del Consiglio di Sicurezza che possa garantire la legalità dell’uso della forza. Da anni Guterres cerca di conferire al contingente del G5 Sahel un mandato ONU accompagnato da forti sostegni collettivi, ma il principale finanziatore delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti, è contrario a questa strategia.
Un approccio diverso invece quello dell’Unione Europa, che nell’aprile del 2021 riguardo al Sahel ha affermato la necessità di rafforzare anche la risposta non militare alla lotta armata islamista attraverso una strategia integrata.
Fig. 3 – Il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres siede in una moschea a Mopti, nel Mali centrale, insieme a leader locali e fedeli, 30 maggio 2018
CAMBI DI PARADIGMA
È stato chiaro sin dagli accordi di Doha quanto la nuova strategia statunitense fosse incline a un riposizionamento sullo scacchiere globale attraverso un cambio di paradigma, che all’ingerenza negli affari interni dei Paesi ha gradualmente sostituito la non-ingerenza e, nel caso dell’Afghanistan, il ritiro (diciamo nel nome dell’America First).
Come continuerà l’impegno europeo nel Sahel – area di importanza strategica fondamentale sia per i flussi migratori che per le economie criminali – rimane in qualche modo un’incognita.
Per quanto riguarda più propriamente l’insurrezione jihadista l’interventismo occidentale ha fallito nella propria missione di contrasto, pacificazione e nation building e la sostanziale passività dopo i colpi di Stato in Ciad, Mali e in ultimo Guinea rappresenta l’impotenza nei confronti degli autocrati, fonte anch’essi di risentimento nella popolazione e leva di propaganda jihadista. Entro il 2022 è prevista la chiusura delle basi francesi a Timbuctu, Kidal e Tessalit, a dare seguito alla fine dell’Operazione Barkhane (tra l’altro molto criticata per l’alto numero di vittime civili causate dalle tattiche di remote warfare), sostituita da Takuba, che va a limitare le operazioni dispiegando le forze speciali soprattutto a supporto delle Forze Armate maliane e rappresenta più che altro la volontà politica di alcune potenze europee di operare congiuntamente.
Oltre a proteggere e mettere in sicurezza le aree a rischio, però, è auspicabile almeno considerare una prospettiva di dialogo con e tra le parti in causa, riconoscendo la matrice insurrezionale e politica a un conflitto che non presenta solo la matrice terroristica.
Daniele Molteni
“Sahel instability hurts Algeria desert tourism | انعدام الاستقرار في منطقة الساحل تضر بالسياحة الصحراوية في الجزائر | L’instabilité au Sahel affecte le tourisme du désert en l’Algérie” by Magharebia is licensed under CC BY